Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11147 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/05/2011, (ud. 09/03/2011, dep. 20/05/2011), n.11147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7284-2010 proposto da:

B.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE PARIOLI 47, presso lo studio dell’avvocato CORTI PIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSSI LIVIO giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2009 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO dell’8/7/09, depositata il 28/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. DI IASI Camilla;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FEDELI

Massimo.

Fatto

FATTO E DIRITTO

B.R. propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Iva, Irpef e Irap relativo all’anno 2000, la C.T.R. Lombardia riformava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso del contribuente. In particolare, premesso che il risultato dell’applicazione dei parametri costituisce una presunzione semplice superabile dalla allegazione di circostanze che ne dimostrino l’inapplicabilità al caso concreto, i giudici d’appello rilevavano che le circostanze evidenziate dal contribuente non erano tali da vanificare la presunzione proposta dall’Ufficio, posto che era stato dedotto solo in maniera generica lo svolgimento anche di attività dipendente, senza consentire all’Ufficio un raffronto tra le due attività in termini di ore impegnate, e che la circostanza che l’attività libero-professionale fosse svolta solo da un anno non poteva ritenersi decisiva, posto che il contribuente nello svolgimento dell’attività autonoma avrebbe potuto avvalersi dei rapporti rivenienti dalla pregressa attività ospedaliera.

Col primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 183, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e ss., nonchè artt. 53 e 113 Cost. anche in relazione agli artt. 2697 e 2729 c.c., il ricorrente si duole che i giudici della C.T.R. abbiano ritenuto pedissequamente applicabili i parametri senza considerare il fatto che il contribuente svolgeva anche attività di lavoro subordinato e che l’attività libero professionale era iniziata da meno di un anno. La censura proposta è in parte manifestamente infondata e in parte inammissibile. Giova in proposito innanzitutto evidenziare che non esiste alcuna disposizione normativa che impedisca l’applicazione dei parametri nell’ipotesi in cui il lavoro libero professionale non costituisce l’unica attività del contribuente e che la mera coesistenza di altra attività col lavoro libero professionale non determina -in caso di applicazione dei parametri all’attività libero professionale – perciò solo una violazione del principio di capacità contributiva.

E’ inoltre da rilevare che i giudici d’appello non hanno omesso di considerare che il contribuente svolgeva anche attività di lavoro subordinato e che l’attività libero professionale era iniziata da meno di un anno, ma hanno motivatamente escluso che le suddette circostanze potessero assumere il rilievo probatorio che ad esse riteneva di attribuire la parte.

Il ricorrente si duole che i giudici d’appello non abbiano ritenuto di superare le presunzioni di cui alla L. n. 549 del 1995, art. 3 e ai D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e D.P.C.M. 27 marzo 1997 con le presunzioni semplici costituite dall’esercizio di lavoro subordinato e dallo svolgimento di attività libero professionale da meno di un anno, ma in proposito è sufficiente evidenziare che, secondo la pacifica giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la valutazione delle risultanze istruttorie e la scelta, tra di esse, di quelle che siano idonee a sorreggere la decisione è riservata, salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale, al giudice del merito, il quale è soggetto solo al limite legale di dover dare, delle determinazioni prese, congrua ed esatta motivazione che consenta il controllo del criterio logico seguito (v. tra numerosissime altre cass. n. 6519 del 2004) e che, nel motivo in esame, non risulta proposta censura per vizio di motivazione. E’ poi in ogni caso da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, qualora si intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, si prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata, potendo, in caso contrario, tale motivo di ricorso risolversi in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (v. tra le altre cass. n.7394 del 2010). Il secondo motivo (col quale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.C.M. 19 gennaio 1996, art. 1, comma 2, art. 91 c.p.c., il ricorrente rileva che, secondo la disposizione citata, i parametri sono applicati in relazione all’attività prevalente del contribuente, intesa come quella dalla quale deriva la maggiore entità di ricavi o compensi, dovendo tali maggiori ricavi o compensi essere valutati sulla base della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente) è manifestamente infondato perchè, prescindendo da ogni altra considerazione, la disposizione invocata si riferisce all’ipotesi di esercizio di più attività di impresa o di più attività artistiche o professionali per le quali non è stata tenuta contabilità separata, mentre nella specie si versa nella diversa ipotesi di contemporaneo esercizio di attività di lavoro autonomo ed attività di lavoro subordinato.

Nella memoria difensiva il ricorrente sostiene che la norma invocata sarebbe applicabile in ogni ipotesi di esercizio di più di una attività. E’ invece da ritenersi che il legislatore, specificamente individuando le diverse attività, abbia inteso operare una scelta precisa, non potendo risultare irrilevante, in una elencazione analitica, la mancata indicazione dell’attività di lavoro subordinato. Tale scelta, peraltro, non è configurabile come arbitraria ed ingiustificata disparità di trattamento, attesa la disomogeneità, sul piano della relativa disciplina, dell’attività di lavoro subordinato rispetto alla altre attività elencate nella disposizione sopra citata. Il terzo motivo (col quale, deducendo violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e art. 49, comma 3 oltre che vizio di motivazione, il ricorrente si duole che i giudici d’appello non abbiano considerato che l’applicazione degli studi di settore comportava un reddito di lavoro autonomo inferiore a quello calcolato secondo i parametri e che i suddetti studi di settore dovevano ritenersi utilizzabili anche in ipotesi di loro approvazione successiva al periodo di imposta oggetto di accertamento- ) presenta diversi profili di inammissibilità. In proposito -anche prescindendo dal fatto che dalla sentenza impugnata non risulta che la questione in esame fu proposta in primo grado e riproposta in appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 56 e che in ricorso (pur rilevando di avere nell’atto introduttivo affermato che, applicando gli studi di settore, il reddito da lavoro autonomo risultava inferiore rispetto a quello calcolato secondo i parametri) il ricorrente non ha dedotto di avere proposto la questione negli stessi termini in questa sede prospettati-, è da evidenziare che non risulta indicato, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 il documento dal quale risulterebbero i dati relativi al reddito calcolato applicando gli studi di settore, con specificazione della sede processuale nella quale esso è stato prodotto (v. SU n. 7161 del 2010) e che il contenuto di tale documento non risulta neppure riportato in ricorso (se non per l’indicazione di cifre, inidonea a consentire una valutazione complessiva del testo), come sarebbe stato necessario nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.000 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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