Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11147 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. I, 10/06/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10359/2018 proposto da:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– ricorrente –

contro

C.I., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso

la cancelleria civile della Corte di cassazione e rappresentato e

difeso dall’Avvocato Matteo Anzalone per procura speciale;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il

20/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2019 da Dott. SCALIA LAURA;

udito l’Avvocato Di Meo, con delega, che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Secondo l’ante fatto di lite ricostruito da provvedimento impugnato – il decreto della Corte di appello depositato l’8.01.2018 – si ha che, il Tribunale di Palermo con ordinanza non impugnata adottata in data 11 febbraio 2016 dichiarava la sussistenza dei presupposti per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in favore di C.I..

Trasmessi gli atti al Questore di Bergamo, questi negava il rilascio del permesso di soggiorno al richiedente ritenendo che a tanto ostasse, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 4, comma 3, il precedente dal primo riportato per reati in materia di stupefacenti.

C.I. presentava pertanto ricorso al T.a.r. di Brescia avverso l’indicato provvedimento e, in esito a sentenza di declaratoria del difetto di giurisdizione, provvedeva a riassumere il processo dinanzi al Tribunale di Bergamo, chiedendo che venisse accertato il suo diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Il Tribunale di Bergamo con decreto del 21-25 settembre 2017 rigettava la domanda ritenendo il difetto di interesse del ricorrente; avverso l’indicato decreto il richiedente, ai sensi dell’art. 739 c.p.c., proponeva reclamo alla locale Corte di appello.

I giudici del reclamo con il provvedimento in epigrafe indicato accoglievano l’impugnativa proposta da C.I., nel rilievo che il Questore, una volta riconosciuto dal giudice ordinario il diritto al permesso di soggiorno, non disponesse di alcun potere discrezionale sulla concessione, o meno, del permesso e che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, non avrebbe previsto, con effetto automatico, la non ammissione in Italia dello straniero che avesse riportato condanna penale, implicando il descritto esito una verifica giudiziale sulla potenziale pericolosità del soggetto.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicato decreto l’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’Interno con tre motivi ai quali resiste con controricorso C.I..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Difesa erariale deduce la violazione dell’art. 702-quater c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il procedimento all’esito del quale era stato adottato dalla Corte di appello di Brescia il decreto impugnato si era svolto sin dal primo grado con il rito di cui all’art. 702-bis c.p.c. e ss. e, pertanto, ai sensi dell’art. 702-quater c.p.c., l’appello avverso il decreto del Tribunale di Bergamo avrebbe dovuto proporsi con citazione notificata entro il termine di trenta giorni dalla notificazione o comunicazione del provvedimento conclusivo del primo grado.

Come desumibile dall’atto di impugnazione di C., invece, il decreto di rigetto del Tribunale era stato comunicato all’appellante il 25.9.2017 là dove l’atto di appello era stato notificato a mezzo del servizio postale con spedizione tardivamente intervenuta solo in data 4.11.2017, oltre il termine di trenta giorni.

La scelta errata del mezzo di impugnazione, proposto nelle forme del reclamo per ricorso depositato presso la Corte di merito e non con appello da introdursi per citazione, avrebbe potuto, per vero, comportare la salvezza negli effetti dell’atto di impugnazione, ma ciò soltanto là dove lo stesso ed il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza fossero stati notificati nel rispetto dei trenta giorni dalla notificazione o comunicazione del provvedimento impugnato.

L’introdotto appello, pertanto, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per tardività dalla Corte di merito che non avendolo fatto avrebbe esposto a nullità l’adottato provvedimento per violazione del termine di cui all’art. 702-quater c.p.c.

1.1. Fermo il principio per il quale l’inammissibilità dell’appello proposto tardivamente è questione che può essere eccepita per la prima volta in sede di legittimità dalla parte interessata ed è comunque rilevabile d’ufficio dalla Corte di cassazione, anche quando non sia stata dibattuta davanti al giudice di secondo grado e non abbia formato oggetto di una sua pronuncia, dato che l’indagine sulla tempestività del gravame si risolve nell’accertamento di un presupposto processuale per la proseguibilità del giudizio, determinando la sua tardiva proposizione il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (Cass. 27/09/2000 n. 12794; Cass. 12/05/2003 n. 7256; sulla rilevabilità in sede di legittimità della tardività dell’appello incidentale: Cass. SU 25/06/2019 n. 16979), la dedotta questione è infondata per le ragioni di seguito indicate.

1.2. Sulla indicata premessa, si chiede a questa Corte di legittimità di stabilire nella fattispecie in esame quale sia il regime di impugnabilità del provvedimento emesso dalla Corte di appello di Brescia, sezione tutela delle persone, depositato in data 08.01.2018.

La decisione, assunta all’esito di udienza camerale ed espressamente qualificata nell’intestazione come “decreto”, risulta pronunciata dalla Corte di merito nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione, rubricato al n. 290/2017 v.g., ed introdotto dal “reclamo” di C.I. avverso il provvedimento di primo grado, il decreto del Tribunale di Bergamo in data 25.09.2017, pronunciato all’esito di udienza camerale.

Il reclamo è stato notificato insieme al decreto di fissazione dell’udienza camerale dinanzi alla Corte di appello, come rilevato dalla stessa difesa erariale (p. 4 ricorso).

Le descritte forme, osservate nel corso dell’intero procedimento che ha replicato, per la prima fase e per quella successiva del reclamo, i momenti della fissazione dell’udienza camerale e della definizione per decreto, depongono in modo inequivoco per l’individuazione del rito applicato in quello previsto, per gli affari di volontaria giurisdizione, dall’art. 737 c.p.c. e ss..

Nè può dirsi sensibilmente distonica rispetto ad un siffatto modello processuale l’evidenza, valorizzata ne ricorso per cassazione dalla difesa erariale, che il primo giudice, il Tribunale di Brescia, rectius il Tribunale di Bergamo, nel fissare dinnanzi a sè l’udienza di comparizione del giudizio introdotto in riassunzione all’esito della declaratoria di difetto di giurisdizione del T.A.R. di Brescia, abbia mandato alla parte ricorrente “per la regolare instaurazione del contraddittorio nel rispetto del termine di cui all’art. 702 bis c.p.c.”.

A fronte della pluralità degli indici sopra evidenziati e della loro univoca convergenza, l’indicato passaggio non vale a sostenere l’assoggettamento del giudizio di merito al rito sommario di cognizione, cui si lega la dedotta tardività, per inosservanza del termine di cui all’art. 702-quater c.p.c., di quanto si vorrebbe essere l’appello proposto dinanzi alla Corte territoriale di Brescia.

1.3. Con le indicate ragioni di ordine letterale e sistematico si coniugano, ancora nella finalità di ricostruzione del sistema, le previsioni del D.Lgs. n. 150 del 2011 che, agli artt. 16-20, nell’elencare le controversie regolate dal rito sommario di cognizione ex art. 702-bis c.c. e ss., fanno espresso riferimento alle controversie: in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione Europea o dei loro familiari (art. 16); in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione Europea o dei loro familiari (art. 17); in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione Europea (art. 18); in materia di riconoscimento della protezione internazionale ed aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 (art. 19); all’opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonchè agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare (art. 20).

La controversia di specie, avente ad oggetto il provvedimento della Corte di appello che – pronunciando sul diniego D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 4, comma 3 frapposto dal Questore al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in esito ad ordinanza, non impugnata, con cui il competente tribunale aveva dichiarato il diritto del richiedente ad ottenere la protezione umanitaria – ha dichiarato il diritto del richiedente al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non rientra nella ipotesi assoggettate dal cd. decreto riti al rito sommario di cognizione.

Esclusane, infatti, la riconducibilità alle controversie indicate agli artt. 16, 17, 18 e 20, certo è poi che il mezzo proposto dinanzi alla Corte di appello di Brescia non è neppure ascrivibile alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 relativa al ricorso avverso la decisione della competente Commissione territoriale dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di Corte d’appello in cui ha sede la Commissione stessa per un diverso e proprio accertamento.

1.4. Nè, d’altra parte, ritiene questo Collegio che possa predicarsi di una generale e residua ascrivibilità di controversie comunque riconducibili alla protezione internazionale al rito sommario di cognizione e tanto in difetto di una previsione di carattere generale e di chiusura in tal senso contenuta nel cd. decreto riti.

1.5. Pertanto, l’eccezione di tardività del reclamo proposto da C.I. avverso il decreto del Tribunale di Bergamo per inosservanza del termine di trenta giorni di cui all’art. 702-quater c.p.c. è infondata.

2. Con il secondo ed il terzo motivo l’Amministrazione ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 32 e 35, 35-bis, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 4, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello aveva negato ogni rilevanza alla condanna riportata dal richiedente per reati in materia di stupefacenti perchè a tanto si sarebbe frapposto il giudicato formatosi sulla ordinanza del Tribunale di Palermo in data 11.02.2016 che aveva accertato il diritto alla protezione umanitaria – successivamente alla quale il Questore aveva negato il rilascio del permesso con provvedimento del 21 marzo 2017 – e perchè detta condanna non avrebbe comportato un automatismo nel rilascio dei permessi di soggiorno.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 non escludono l’applicazione di norme di ordine pubblico che impongono la verifica della pericolosità sociale dell’interessato.

La Commissione territoriale preposta si limita, per vero, ad accertare la sussistenza o meno di ragioni umanitarie ed il tribunale davanti al quale viene impugnata la decisione della Commissione territoriale D.Lgs. n. 25 del 2008, ex artt. 35 e 35-bis non può estendere la propria competenza alla verifica dei requisiti di pericolosità sociale che sono di stretta competenza del Questore D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 4, comma 3.

2.1. I motivi sono infondati; ad essi può darsi congiunta trattazione, perchè tra loro connessi, nei termini di seguito indicati.

Nella fattispecie in esame il Questore è stato investito della richiesta di un permesso di soggiorno per motivi umanitari all’esito ed in ragione del provvedimento di riconoscimento della protezione umanitaria da parte del Tribunale di Palermo pacificamente in atti non impugnato.

Nella indicata premessa, si ha che al Questore non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa in ordine all’adozione dei provvedimenti riguardanti i permessì umanitari e tanto in coerenza con il rilievo che la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali garantiti dall’art. 2 Cost. e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e, pertanto, non è degradabile ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può pertanto rimettersi solo l’accertamento dei presupposti di fatto legittimanti la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato al legislatore (Cass. SU n. 19393 del 09/09/2009; Cass. SU n. 5059 del 28/02/2017; Cass. SU n. 30658 del 27/11/2018).

Resta invece attribuita al Questore la verifica dei requisiti ulteriori per il rilascio del permesso umanitario, nell’ambito della previsione di attuazione di cui ai D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, comma 1, lett. d) non modificata dal D.P.R. n. 334 del 2004, art. 22.

Il Questore, nella fattispecie in esame, ha negato il permesso per motivi umanitari pur essendo chiamato ad intervenire in fase di attuazione dell’ordinanza, non impugnata, del Tribunale di Palermo che aveva accolto la domanda di protezione umanitaria.

Nell’ipotesi in cui il Questore, ancorchè privo di potere discrezionale, abbia assunto irritualmente un provvedimento negativo, deve essere adito il giudice ordinario per il conseguimento della protezione umanitaria, il che è quanto nella specie accaduto.

Il giudice ordinario, adito alle indicate condizioni, ha quindi correttamente rilevato come il Questore di Bergamo, all’esito dell’operato accertamento giurisdizionale, fosse ormai tenuto al rilascio del permesso, ancora incidentalmente rilevando la Corte di appello di Brescia la mancanza nel provvedimento del Questore di ogni giudizio sulla pericolosità che fosse in concreto formulato, previa esclusione dell’operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penali riportate.

Principio, quest’ultimo, solido nelle affermazioni della giurisprudenza nazionale ed Europea (Corte di giustizia Ue nelle cause C-165/14 Alfredo Rendon Marin/Administracion del Estado e C-304/14 Secretary of State for the Home Department/CS; Consiglio di Stato 30.05.2011 n. 3240; Cass. 28/06/2018 n. 17070; Cass. 15/03/2017 n. 6666) che deve, per vero, guidare gli accertamenti dell’autorità amministrativa là dove chiamata ad esprimersi nell’esercizio dei poteri suoi propri.

3. Per le indicate ragioni, in via conclusiva, il ricorso è infondato e come tale va rigettato.

Le spese restano compensate tra le parti nella natura della controversia.

Si dà atto che non trova applicazione il raddoppio del contributo unificato alla p.A. soccombente per la quale opera il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 1778 del 29/01/2016; Cass. n. 5955 del 14/03/2014).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese di lite tra le parti.

Dà atto che non trova applicazione il raddoppio del contributo unificato alla p.A. soccombente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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