Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11146 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28087-2018 proposto da:

L.A. O L.P., elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO CAPPELLINI;

– ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DOMENICO

PETRACCA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ALBERTO SAVOINI, ANGELICA SAVOINI;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 3838/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 16/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI

MILENA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Nel procedimento definito con ordinanza della Seconda Sezione civile, 16 febbraio 2018 n. 3838, questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da L.P. (o L.P.) avverso la sentenza n. 2466 del 2013, con cui la Corte di appello di Torino aveva rigettato l’impugnazione interposta dal medesimo ricorrente avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Vercelli n. 388 del 2009, che aveva – a sua volta – rigettato la domanda di risoluzione del contratto preliminare stipulato il 03.06.1993 fra il L. (promissario acquirente) e il C. (promittente venditore), nonchè la domanda riconvenzionale dello stesso L. ex art. 2932 c.c. ed in subordine, di intervenuta usucapione ex art. 1159 c.c.

Ha premesso questa Corte che – per quanto qui di interesse – nel valutare preliminarmente l’ammissibilità del motivo di appello relativo al “fatto nuovo” del decesso dell’usufruttuaria, per cui nella persona del C. si sarebbe consolidata la piena proprietà dell’immobile oggetto del contratto preliminare, la Corte distrettuale aveva chiarito che l’evento era stato allegato per la prima volta nella comparsa di costituzione in appello e non già in primo grado, pur non trattandosi di un fatto sopravvenuto tra i due gradi di giudizio, per cui si trattava di circostanza tardivamente proposta.

Avverso siffatta decisione il L. ha proposto, con ricorso notificato il 13 settembre 2018, revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. per essere la sentenza impugnata – a suo avviso – affetta da errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa.

L’intimato C. ha resistito con controricorso.

Dovendo avvenire la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., giusta il comma 3 dell’art. 391-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati ai difensori delle parti.

Il collegio ritiene di condividere la proposta del relatore.

Con l’unico motivo di doglianza il ricorrente lamenta che la Corte abbia omesso l’esame, con conseguente omessa pronuncia, della documentazione catastale del bene in contestazione, da cui sarebbe emerso che in capo al C. – promittente venditore, con il decesso della madre, V.E. -usufruttuaria, si era consolidato il pieno diritto di proprietà, documentazione prodotta già con l’atto introduttivo in primo grado della domanda ai sensi dell’art. 2932 c.c..

La censura è priva di pregio.

L’oggetto della revocazione attiene al mancato esame della documentazione catastale dell’immobile oggetto delle pretese, rivelando il ricorrente che a fronte di siffatti atti, il Collegio di legittimità e la Corte distrettuale, prima, avrebbe dovuto entrare nel merito della controversia.

L’odierna domanda di revocazione denuncia sostanzialmente un preteso errore di giudizio.

L’art. 391-bis c.p.c. stabilisce che “Se la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta (…) da errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), la parte interessata può chiederne (…) la revocazione”. Quest’ultima disposizione prescrive che “Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione (…) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa” e precisa che “Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso, se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (vedasi tra le tante Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a p. 3.4; conf. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2017, nn. da 30995 a 30997). Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perchè siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto.

In sintesi estrema la combinazione dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4) non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione. Sicchè non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione.

Inoltre, quanto all’effettività della tutela giudiziaria, anche la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonchè l’ordinata amministrazione della giustizia (Corte giust., 03/09/2009, Olimpiclub; 30/09/2003, Kobler; 16/03/2006, Kapferer; conf. Corte EDU, 28/07/1998, Omar c. Francia; 27/03/2014, Erfar-Avef c. Grecia; 03/07/2012, Radeva c. Bulgaria); il che convalida il contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di “sviste” o di “puri equivoci” senza che rilevino a pretesi errori di valutazione (Corte Cost. n. 17 del 1986; Corte Cost. n. 36 del 1991; Corte Cost. n. 207 del 2009).

Dunque le interpretazioni letterale e sistematica, ma pure quelle costituzionalmente e convenzionalmente orientate, dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4) portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali), oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di precedente controversia, rispondendo la “non ulteriore impugnabilità in generale” all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass. 29 aprile 2016 n. 8472). Il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l’inammissibilità di ogni censura ivi non compresa (Cass. 7 maggio 2014 n. 9865).

Nella specie, il ricorrente assume che la Corte, nella decisione dall’esito negativo per lui, avrebbe omesso la valutazione dei fatti, soprattutto quanto al regime degli atti processuali.

Il che significherebbe, a suo dire, che la Corte, nella revocanda sentenza, sarebbe incorsa in errore, giacchè avrebbe dovuto esaminare il gravame sulla base degli atti catastali.

Però, se questa è la interpretazione del proprio assunto, dato dalla stessa difesa del ricorrente, è del tutto evidente che manca la deduzione di un qualsivoglia errore di fatto, proponendosi solo pretesi errores in iudicando e in procedendo estranei al perimetro del rimedio revocatorio.

E d’altra parte con il primo motivo del ricorso (ordinario) per cassazione il L. non aveva posto alcuna critica alla preliminare statuizione della tardività della deduzione del decesso dell’usufruttuaria volta ad avvalorare la circostanza del consolidamento del diritto dominicale, allegata solo nella comparsa di costituzione in appello (e non già in primo grado), come ben evidenziato dal C. nel controricorso, ma la diversa questione della valenza probatoria delle visure catastali. A siffatta censura il provvedimento oggi impugnato ha dato puntuale risposta, avendone fatto oggetto di apposito esame (v. pagg. 5 e 6 dell’ordinanza), con la conseguenza che la censura formulata non riguarda la ‘percezionè del dato processuale da parte del giudice, ma di un punto controverso sul quale l’ordinanza ebbe a pronunciare (art. 395 c.p.c., n. 4), come tale sottratto allo scrutinio del giudice della revocazione.

Ciò comporta l’inammissibilità del ricorso per revocazione.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

Vertendosi in ipotesi di giudizio di revocazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro, 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 11 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 giugno 2020

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