Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11145 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 28/04/2021), n.11145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9958-2019 proposto da:

COMUNE DI FOLIGNANO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati FRANCO CARILE, ALBERTO TASSO;

– ricorrente –

Contro

A.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIBIA 25,

presso lo studio dell’avvocato LUCA BONTEMPI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MAURIZIO VINCENZO VANNUCCI;

avverso le sentenze nn. 776/2018, 777/2018, 778/2018, 779/2018,

780/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE delle MARCHE,

depositate il 10/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO

RAGONESI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, con cinque identiche sentenze, rigettava i ricorsi proposti da A.D. avverso cinque distinti avvisi di accertamento ICI relativi agli anni 2007, 2008, 2009, 2010, 2011.

Avverso dette decisioni la contribuente proponeva distinti appelli innanzi alla CTR Marche che, con le sentenze indicate in epigrafe, accoglieva le impugnazioni.

Avverso le dette sentenze ha proposto ricorso per Cassazione, il Comune di Folignano sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, cui ha resistito con controricorso la contribuente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si censura la decisione impugnata laddove ha ritenuto che la qualifica di coltivatrice diretta potesse estendersi all’intera area fabbricabile.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’onere della prova.

Con il terzo motivo si contesta la mancata riunione di cinque cause che, se effettuata, avrebbe determinato una inferiore liquidazione delle spese.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che il principio di diritto secondo cui: in tema di agevolazione ai fini ICI, la qualità agricola di un terreno pur potenzialmente edificabile, posseduto e condotto da uno dei comproprietari avente i requisiti soggettivi e oggettivi di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), e art. 9, comma 1, trova applicazione anche in favore degli altri comproprietari che non esercitano su/fondo l’attività agricola, in quanto la destinazione agricola di un’area è incompatibile con la possibilità dello sfruttamento edilizio della stessa” (Cass. 25/05/2017, n. 13261 e 30/06/2010, n. 15566; conf. Cass. 27/10/2017, n. 25596; 27/09/2017, n. 22486; 05/07/2011, n. 14824; 29/07/2011, n. 16636). (Cass. n. 19322/18).

“Tale conclusione si impone… in. forza di una interpretazione letterale e sistematica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. h). Ai sensi di questa disposizione, infatti, un terreno, pur suscettibile di utilizzazione edificatoria, deve considerarvi agricolo, ai fini della applicazione dell’imposta, laddove ricorrano tre condizioni: a) possesso dello stesso da parte di coltivatori diretti o di imprenditori agricoli a titolo principale: b) la diretta conduzione del medesimo da parte dei predetti soggetti; c) la persistenza dell’utilizzazione agro-silvo-pastorale, mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione” (Cass. n. 15566/10, cit.).

Ne deriva che, “Ricorrendo tali presupposti, il terreno soggiace all’imposta in relazione al suo valore catastale, dovendosi prescindere dalla sua obiettiva potenzialità edilizia. La considerazione, in questi casi, dell’area come terreno agricolo ha quindi carattere oggettivo e, come tale, si estende a ciascuno dei contitolari dei diritti dominicali. Ciò in quanto la persistenza della destinazione del fondo a scopo agricolo integra una situazione incompatibile con la possibilità del suo sfruttamento edilizio e tale incompatibilità, avendo carattere oggettivo, vale sia per il comproprietario coltivatore diretto che per altri comunisti”(sent. ult. cit.).

Tale orientamento non è suscettibile di rivisitazione secondo quanto dedotto nella memoria del Comune ricorrente posto che l’avviso di accertamento riguarda l’anno 2011 e ad esso va applicata la legislazione all’epoca vigente e non già, come invocato dal Comune, la L. n. 169 del 2019, art. 1, commi 741-743, non suscettibile di applicazione retroattiva anche nel caso in cui si volesse ritenere astrattamente applicabile la norma in questione.

Il motivo va dunque rigettato.

Il secondo motivo è manifestamente infondato.

La sentenza impugnata ha dato atto di un provvedimento del comune di Folignano di annullamento di un avviso di accertamento ICI per l’anno 2006. prodotto in giudizio, che attesta che la contribuente R.F., comproprietaria dell’immobile in questione, rivestiva la qualifica di imprenditrice agricola, sicchè deve ragionevolmente ritenersi – in difetto di elementi si segno contrario forniti dal Comune – la permanenza di tale qualità anche per gli anni successivi.

Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che in tema d’ICI, il giudicato esterno, formatosi tra le stesse parti, relativamente alla qualità d’imprenditore agricolo del contribuente, così consentendogli di beneficiare della prevista agevolazione, investe un elemento costitutivo della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente e comune ai vari periodi d’imposta, sicchè i suoi effetti si estendono, con riguardo al tributo riferito al medesimo bene, alle altre annualità, cronologicamente ed immediatamente successive, dovendosi presumere anche per esse, salvo prova contraria, la sussistenza della medesima qualità.(Cass. n. 20032/15).

Del tutto conseguentemente quindi la CTR ha ritenuto provata siffatta circostanza in quanto proveniente dalla stessa Amministrazione appellante.

Il terzo motivo è inammissibile.

La mancata riunione dei procedimenti tra le stesse parti in appello costituisce una valutazione del giudice di merito inerente al suo potere ordinatorio non sindacabile in questa sede non potendo assolutamente essere configurata come uno dei capi della domanda sul quale manchi la decisione e per il quale possa quindi

configurarsi il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 19693/08).

Del resto, il Comune ricorrente non deduce un vizio di legittimità nella mancata riunione ma solo le conseguenze negative riguardo alle spese; circostanza anch’ essa insuscettibile di ogni valutazione sotto il profilo di legittimità essendo basata su un presupposto improponibile.

Il ricorso va in conclusione respinto con condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il Comune ricorrente al pagamento in solido delle spese di giudizio liquidate in Euro 2300,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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