Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11145 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 07/05/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 07/05/2010), n.11145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO SUORE FIGLIE DI S. EUSEBIO, in persona della Madre generale

e legale rappresentante pro tempore, Suor C.I.,

elettivamente domiciliata in Roma, Piazzale Clodio n. 32, presso lo

studio dell’Avv. Ciabattini Lidia, che la rappresenta e difende,

unitamente e disgiuntamente, con l’Avv. Bruno Poy del foro di

Vercelli come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

E

MADRE C.M.A.L., elettivamente domiciliata in

Roma, Piazzale Clodio n. 32, presso lo studio dell’Avv. Ciabattini

Lidia, che la rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente, e

con l’Avv. Bruno Poy del foro di Vercelli come da procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI VERCELLI, in persona del

Direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

n. 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Vercelli n. 575/05

del 14.09.2005 – 13.10.2005 nella causa 447 RG 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

14.04. 2010 dal Cons. Dott. De Renzis Alessandro;

udito l’Avv. Lidia Ciabattini per i ricorrenti;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. MATERA

Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso, depositato il 20.02.2004, Madre C.M. A.L., in proprio e nella qualita’ di legale rappresentante dell’Istituto Suore Figlie di S. Eusebio, proponeva opposizione contro l’ordinanza – ingiunzione n. 232/03 bis del 20.01.2004, con la quale la Direzione Provinciale del Lavoro di Vercelli aveva intimato il pagamento della somma di Euro 5.868,93 a titolo di sanzione amministrativa comminata per violazioni amministrative riguardanti:

1) omessa consegna a cinque lavoratrici, socie della Cooperativa Linea Service, della dichiarazione contenente i dati della registrazione nel libro matricola;

2) omessa comunicazione – entro i termini di legge – al competente Centro per l’Impiego dell’assunzione delle stesse lavoratrici;

3) omessa annotazione sul libretto di lavoro delle date di assunzione delle stesse lavoratrici. Il tutto in relazione alla violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1.

L’opponente eccepiva l’insussistenza della intermediazione illecita di manodopera, essendo le lavoratrici in questione alle dipendenze della Cooperativa Linea Service e non soggette al potere gerarchico e disciplinare dell’Istituto committente; rilevava che in ogni caso le violazioni contestate con l’ordinanza – ingiunzione si sarebbero dovute ritenere abolite per effetto della L. n. 30 del 2003 (c.d.

legge Biagi).

Si costituiva la Direzione Provinciale del Lavoro di Vercelli, contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto dell’opposizione.

2. All’esito il Tribunale di Vercelli con sentenza n. 575 del 2005, escussi i testi ammessi, accertava l’interposizione vietata di manodopera nei rapporti tra la l’Istituto e la cooperativa Linea Service e respingeva l’eccezione relativa all’intervenuta abrogazione della fattispecie dell’interposizione illecita di manodopera, stante la non retroattivita’ della anzidetta L. n. 30..

L’Istituto Suore Figlie di S. Eusebio e Madre C.M.A. L. ricorrono per Cassazione con tre motivi, cui resiste la DPL di Vercelli con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 1655 c.c. e vizio di motivazione. Rilevano al riguardo che il giudice di merito ha fondato la sua decisione soltanto sulla mancanza di un contratto di appalto in forma scritta, introdotta dal D.Lgs. n. 276 del 2003 soltanto per la diversa ipotesi della somministrazione, mentre l’art. 1655 c.c. non richiede alcun requisito formale.

Il motivo non e’ fondato.

La sentenza impugnata (pag. 3) si e’ posto tale problema osservando che, anche a voler ipotizzare che fosse stata validamente concluso un accordo per l’esecuzione di un servizio (supporto) nell’attivita’ di assistenza svolta dall’Istituto S. Eusebio, l’assenza del contratto non avrebbe comunque consentito di ipotizzare le modalita’ del servizio e la natura delle prestazioni garantite – negli accordi – da parte della cooperativa Linea Service. Il che, secondo la stessa sentenza, non consentiva di vagliare in termini certi l’esistenza di accordi che escludessero ogni interferenza nella gestione del servizio da parte dell’ente committente e quindi l’esistenza dell’appalto lecito posto alla base delle violazioni contestate e sanzionate con l’ordinanza opposta. Cio’ premesso, il giudice di merito ha riscontrato, da un lato, in applicazione dei principi e delle norme di diritto, l’esistenza di appalto illecito di manodopera; dall’altro lato, in assenza di contratto, ha ritenuto che si potesse solo ipotizzare che la Cooperativa Linea Service si fosse impegnata a curare, senza vincolo di subordinazione un’attivita’ di servizio di assistenza in favore degli ospiti dell’istituto. Sotto quest’ultimo profilo il giudice di merito ha verificato attraverso l’esame del materiale probatorio raccolto che l’attivita’ di servizio eseguita dalla Cooperativa (indipendentemente dalla presenza di un contratto di appalto) non era l’espressione di una autonoma organizzazione dall’appaltatore.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 contestando la sentenza impugnata in ordine alle risultanze dell’istruttoria testimoniale (deposizioni K., B., Ce.).

I ricorrenti rilevano che il giudice di merito non correttamente ha ritenuto realizzata la fattispecie dell’interposizione illecita di manodopera, non essendo stati provati l’esistenza di un accordo interpositorio, avente carattere fraudolento, tra prestatore e datore di lavoro, e l’impiego da parte dell’appaltatore di capitali, macchine ed attrezzature, fornite dall’appaltante. Al contrario, secondo i ricorrenti, la cooperativa Linea Service aveva fornito ai lavoratori guanti ed altri materiali ai lavoratori, che timbravano una cartolina per il controllo delle presenze fornita dalla stessa cooperativa. I ricorrenti aggiungono che l’affermazione del giudice di merito circa l’assenza nella Linea Service di una autonoma organizzazione ovvero di una gestione di impresa a proprio rischio risultava smentita dalla consistenza dimensionale della cooperativa, dalla pluralita’ degli appalti dalla stessa assunti, dal suo essere impresa sottoposta a controllo di qualita’ ISO 9001. Neppure poteva dirsi provata, ad avviso dei ricorrenti, l’esistenza di un potere direttivo da parte dell’Istituto nei confronti dei soci lavoratori della Linea Service, non avendo sul punto la DPL tornito alcuna dimostrazione.

Le articolate censure, contenute nel secondo motivo, sono prive di pregio e vanno disattese.

L’impugnata sentenza ha ritenuto provata, come gia’ detto, sulla base del materiale probatorio acquisito, l’intermediazione vietata di manodopera, essendo emerso che in capo alla societa’ cooperativa Linea Service non vi era alcun rischio economico, essendosi la stessa limitata a mettere a disposizione dell’Istituto ricorrente le socie lavoratrici e avendo organizzato in concreto lo stesso Istituto le prestazioni lavorative rese di volta in volta da tali socie. Sotto questo profilo la sentenza (cfr. pagg. 5, 6, 7, 8) ha richiamato le deposizioni delle testi Suor Co. e Suor Ce., nonche’ del teste V. ed A., da tali deposizioni risulta che il personale della cooperativa era subentrato nelle funzioni e nelle mansioni svolte dall’Istituto (deposizione di Suor Co.); che Suor Ce.Lo. elaborava i prospetti sia del personale dell’Istituto sia delle socie della cooperativa, e cio’ anche con riguardo ai turni degli orari e ai mutamenti degli stessi causati dall’insorgere di particolari esigenze (deposizioni Suor Ce. e V.); che la Cooperativa si limitava a fornire le socie lavoratrici richieste in base ai tempi e alle esigenze palesate dall’ente committente e che le stesse socie timbravano il cartellino, come tutti le altre persone dipendenti che lavoravano nell’istituto (teste A.).

Coerenti e logiche sono quindi le conclusioni dell’impugnata sentenza circa la mancanza di una autonoma organizzazione della Linea Service, il cui personale era soggetto, come gia’ evidenziato, al potere direttivo e disciplinare del committente Istituto. A tale valutazione delle risultanze istruttorie testimoniali anzidette, sostenuta, come gia’ detto, da congrua e logica motivazione, i ricorrenti si sono limitati ad opporre un diverso apprezzamento, non ammissibile in sede di legittimita’.

Ne’ tale valutazione viene inficiata, contrariamente all’assunto dei ricorrenti, dalle deposizioni dei testi K. e B., essendo state esaminate dal giudice di merito e ritenute non decisive (pag.

5, 6 sentenza), mentre le dichiarazioni della teste Ce., anch’essa richiamata dai ricorrenti, sono state verificate dallo stesso giudice, come gia’ evidenziato in precedenza.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti, nel denuncia violazione della L. n. 30, art. 2, lett. m, ripropongono l’eccezione, gia’ disattesa dal giudice di merito, circa l’intervenuta abrogazione della fattispecie dell’interposizione vietata di manodopera.

I ricorrenti aggiungono che l’illegittimita’ dell’ordinanza – ingiunzione opposta deriverebbe anche dal fatto della sua emissione e notifica successivamente al D.Lgs. n. 276 del 2003, entrato in vigore il 24.10.2003, che ha attuato l’anzidetta normativa di cui alla L. n. 30 del 2003.

Il motivo e’ infondato.

La sentenza impugnata correttamente ha disatteso l’eccezione mossa della difesa dei ricorrenti, essendosi richiamata all’orientamento giurisprudenziale, che si e’ da ultimo consolidato e che si condivide pienamente, secondo il quale in materia di sanzioni amministrative e’ da ritenere applicabile il principio della irretroattivita’ della legge successiva anche se piu’ favorevole, dovendo aversi riguardo alla legge vigente al momento della commissione delle infrazioni, restando irrilevante la data di notifica dell’ordinanza – ingiunzione (Cass. n. 16422 del 2005 e n. 18761 del 2005 ed altre successive conformi).

Nel caso di specie e’ indubbio che le violazioni contestate sono state commesse nell’anno (OMISSIS), dal che la corretta ritenuta legittimita’ dell’ordinanza – ingiunzione, anche se emessa dopo l’anzidetta data del 24.10.2003.

4. In conclusione il ricorso e’ destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 11,00 oltre Euro 1500,00 per onorari ed oltre accessori.

Cosi’ deciso in Roma, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

 

 

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