Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11143 del 08/05/2017


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Cassazione civile, sez. un., 08/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.08/05/2017),  n. 11143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Pres. f. f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente Sezione –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4074-2016 per regolamento di giurisdizione proposto

d’ufficio dal:

TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, con ordinanza collegiale

depositata in data 4/2/2016 (r.g. n. 199/2013) nella causa tra:

L.M.A.;

– ricorrente –

contro

REGIONE TOSCANA, COMUNE DI SERRAVEZZA;

– intimati –

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/04/2017 dal Consigliere Dott. DE STEFANO FRANCO;

lette le conclusioni scritte Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. Cardino Alberto, che ha

concluso affinchè la Corte dichiari la giurisdizione del Tribunale

Superiore delle acque pubbliche, limitatamente alla domanda di

annullamento dei provvedimenti amministrativi e a quelle

risarcitorie consequenziali, e del Tribunale regionale delle Acque

pubbliche per la Toscana, per le domande di carattere indennitario,

assumendo i provvedimenti di cui all’art. 382 c.p.c..

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

L.M.A., proprietario di terreni siti in (OMISSIS) in forza di compravendita del (OMISSIS), colpiti da eventi calamitosi occorsi nel giugno 1996 in alcune aree attraversate dal fiume (OMISSIS) e poi resi oggetto di specifica procedura di espropriazione per pubblica utilità finalizzata all’eliminazione di ostacoli al regolare deflusso delle acque di tale corso d’acqua, adì infine il TAR Toscana con ricorso notificato il 02/12/2008 per sentir dichiarare l’illegittimità di quella procedura, da cui era derivata l’irreversibile trasformazione del bene, senza la corresponsione di alcuna indennità a ristoro della perdita di quello, nonchè per sentire condannare la Regione Toscana ed il Comune di Seravezza al risarcimento dei danni per Euro 22.569,16 – pari al valore venale dei beni perduti – e di quelli derivanti dal mancato godimento dei beni ablati, vinte le spese;

nelle more del giudizio fu determinato in Euro 1.474,56 dalla Regione il “contributo espropriativo” previsto dalla disciplina speciale (L.R. 1 aprile 1998, n. 20, e D.P.G.R. n. 355 del 7.9.98), ma il TAR Toscana – con sentenza n. 22/2013 – dichiarò il difetto di giurisdizione e rimise il ricorso alla cognizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, rilevando che “la causa, riguardando atti e situazioni aventi ad oggetto la regolamentazione del regime delle acque pubbliche… ai sensi dell’art. 143 del T.U. n. 1775/1933” finiva con il riguardare l’acquisizione dei terreni al patrimonio indisponibile del Comune di Serravezza, finalizzata alla “messa in sicurezza delle zone… colpite dagli eventi alluvionali del giugno 1996 e nell’ambito delle aree a rischio idrogeologico di cui alla deliberazione del Consiglio regionale n. 255/97”, con subordinazione del ristoro dei danni subiti dai proprietari alla presentazione di apposite domande di contributo;

nel riassumere il giudizio dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il L. chiese l’annullamento o la disapplicazione dei due provvedimenti della Regione Toscana del 2009 e del DPGR del 1998 che imponevano la determinazione del contributo espropriativo in base a modelli predeterminati, nonostante il riaffermato principio della necessaria corrispondenza al valore di mercato, nonchè per la solidale condanna delle controparti Regione e Comune al pagamento del contributo espropriativo in misura pari al valore di mercato come calcolato dal tecnico di parte o da un c.t.u. a nominarsi, al pagamento dell’indennità di occupazione dovuta a far data dal decreto di immissione in possesso ed al risarcimento dei danni subiti dalla proprietà per essere stata attivata ed eseguita una procedura espropriativa illegittima che aveva comportato la perdita del possesso dell’area di proprietà del ricorrente e per di più la sua irreversibile trasformazione, ovvero al pagamento della somma ritenuta equa;

la sola Regione Toscana si costituì, analiticamente ricostruendo le vicissitudini della decennale procedura espropriativa, per invocare preliminarmente la competenza del tribunale regionale delle acque pubbliche almeno sulle controversie di ogni natura in tema di occupazione totale o parziale, permanente o temporanea, di fondi: ma contestando poi sotto diversi profili in rito e nel merito le altre pretese della controparte;

null’altro disponendo alla prima udienza di comparizione – del 12/02/2014 – il giudice delegato se non il rinvio per conclusioni e queste precisate all’ud. 11/02/2015 con richiamo a quelle già formulate, la causa fu discussa all’udienza collegiale del 17/06/2015, al cui esito il tribunale superiore pronunziò ordinanza con cui rimise alle Sezioni Unite della Corte di cassazione la questione di giurisdizione, proclamando di non condividere la declinatoria di giurisdizione da parte del TAR, che aveva ritenuto “sussistente la cognizione del Tribunale Superiore delle Acque su controversia avente ad oggetto il regime delle acque pubbliche ai sensi dell’art. 143 del TU n. 1775/1933, con specifico riferimento al danno derivante da attività provvedimentale illegittima”: e tanto sulla considerazione che “il petitum sostanziale riguarda in via prioritaria il calcolo del contributo espropriativo in relazione alla disciplina regolatrice della materia e al parametro generale del valore di mercato”, sicchè, “alla stregua del criterio della causa petendi, viene in rilievo una questione relativa a diritti soggettivi, di competenza del Tribunale Regionale delle Acque ai sensi dell’art. 140 del medesimo testo unico”;

il Pubblico Ministero, con sua requisitoria scritta, ha rilevato essere cumulate, da parte del ricorrente ed in modo non del tutto chiaro, diverse domande, che non appartengono tutte alla medesima giurisdizione, tanto da imporsi la separazione delle cause, non potendo l’istituto della connessione consentire il cumulo delle cause assegnate a diverse giurisdizioni e dovendo allora: da un lato, attribuirsi la domanda volta all’annullamento dei provvedimenti amministrativi – non prospettata come mero antecedente logico delle altre, ma in via autonoma – e quella risarcitoria da attività provvedimentale illegittima al tribunale superiore delle acque rispettivamente ai sensi della lett. a) del comma 1 dell’art. 143 del r.d. 1775/1933 e della giurisprudenza già citata dal TAR (Cass. Sez. U. 20/06/2012, n. 10148); dall’altro lato, attribuirsi la domanda relativa al contributo espropriativo ed alle indennità di occupazione al tribunale regionale delle acque pubbliche competente per territorio, ai sensi della lett. d) dell’art. 140 del medesimo r.d., trattandosi di occupazione di fondi finalizzata alla regolamentazione di acque pubbliche a seguito di eventi alluvionali, senza che si possa distinguere tra legittimità o illegittimità del provvedimento amministrativo di occupazione;

è stata conseguita adeguata documentazione della comunicazione a tutte le parti costituite, ad opera della cancelleria del tribunale superiore delle acque pubbliche, dell’ordinanza che ha sollevato il conflitto;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

il regolamento di giurisdizione di ufficio è stato tardivamente proposto e va pertanto dichiarato inammissibile;

infatti, la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, comma 3, statuisce che “se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito”;

l’espressione “prima udienza fissata per la trattazione del merito” è stata correttamente intesa in senso rigoroso, all’evidente e condivisibile fine di limitare l’astratta rilevanza e la stessa concreta rilevabilità delle questioni di giurisdizione ed impedire che in dipendenza di esse alle parti sia negato o procrastinato indebitamente l’accesso ad un giudice della Repubblica, atteso il riconoscimento progressivamente sempre più marcato del carattere sostanzialmente recessivo di quelle rispetto al preponderante interesse ad una pronuncia nel merito della questione;

a tutto concedere, la “prima udienza fissata per la trattazione”, quale barriera oltre la quale diviene irrilevante qualsiasi problema di giurisdizione ed il giudice investito della controversia deve ritenersi validamente investito della medesima nel suo complesso ed allora definitivamente abilitato dall’ordinamento a fornire una risposta nel merito a chi si trova ormai dinanzi a lui, può intendersi in senso logico e non strettamente cronologico, vale a dire escludendosi solo quella nella quale siano adottati provvedimenti ordinatori ed eventualmente decisori su questioni impedienti di ordine processuale, logicamente precedenti a quella della giurisdizione (solo tale evenienza, di udienza cioè meramente ordinatoria, potendo fare slittare in avanti il detto limite temporale, come nel caso dell’udienza che il giudice fissa in base all’art. 183 c.p.c., comma 2, nel rito processuale civile: Cass. Sez. U. 13/04/2012, n. 5873);

la portata del termine preclusivo di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, comma 3, va ora specificamente verificata in relazione alla peculiarità del rito dinanzi al tribunale delle acque pubbliche, regolato dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. da 151 a 179: e, per di più, disciplinato in maniera unitaria, sia esso in unico grado, come nella specie, che in primo o in secondo grado, come nella giurisdizione di merito ad esso devoluta;

un tale rito, com’è noto, ricalca il processo civile disegnato nel codice di procedura civile anteriore a quello del 1942 e da questo ripreso nella sua formulazione originaria durata sostanzialmente immutata per un cinquantennio fino alle riforme del 1990/95, presentandosi in due fasi nettamente distinte, la prima delle quali affidata all’istruzione di un giudice privo di poteri decisionali – nel senso di idonee a definire la controversia, formalmente delegato dal presidente ai sensi della seconda parte del R.D. n. 1775 del 1933, art. 157, comma 1, – e la successiva, istruita appunta dal primo ed all’altra necessariamente conseguente, in cui i medesimi poteri decisionali sono necessariamente estrinsecati da un collegio peculiare, composto da giudici togati – di estrazione oltretutto mista, applicati tanto dalla Corte di cassazione che dal Consiglio di Stato – e di tecnici;

a tenore del R.D. n. 1775 del 1933, art. 180, “compiuta l’istruttoria, sono presentate al giudice”, cioè al giudice delegato e così necessariamente al giudice delegato monocratico, “nella udienza da lui fissata, le conclusioni definitive, e il giudice rimette le parti ad udienza fissa del Tribunale con provvedimento inserito nel processo verbale e non soggetto a notificazione”: udienza rilevante al punto che “le parti… non sono ammesse, dopo tale provvedimento, a produrre nuovi documenti e a variare le conclusioni già prese” e sola in cui si maturano preclusioni definitive in un rito disegnato invece come straordinariamente elastico, quale evidente disciplina speciale (ed in quanto tale prevalente su quella generale codicistica, altrimenti applicabile in via residuale per il richiamo generale dell’art. 208 del richiamato t.u.) dettata per la natura tecnica della materia ed in ogni caso per non irragionevole volontà del legislatore processuale;

pertanto, a seguito di tale rigorosa ripartizione di potestà e per assicurare la piena funzionalità del regime di rilievo ufficioso necessariamente immediato della questione di giurisdizione da parte del giudice della riassunzione, deve concludersi nel senso che, sebbene il giudice delegato all’istruzione non abbia alcun potere di decidere, la prima udienza di trattazione si svolge pur sempre dinanzi a lui e quindi dinanzi a lui la questione di giurisdizione deve essere rilevata e cioè sollevata (sulla distinzione tra rilievo e decisione potendo soccorrere quanto argomentato anche sul punto da Cass. Sez. U. 12/12/2014, n. 26242), benchè ovviamente con rimessione di ogni decisione sul punto al Collegio, unico e solo munito della potestà giurisdizionale di definirla;

ora, nella specie – caratterizzata oltretutto dalla irritualità della riproposizione, da parte della Regione, di ulteriori questioni in punto di giurisdizione in luogo della invece indispensabile impugnativa della pronuncia sul punto resa dal TAR, eppure e singolarmente non gravata sul punto – il regolamento di ufficio è stato richiesto con ordinanza resa all’esito dell’udienza collegiale dal tribunale superiore delle acque pubbliche, tenuta a sua volta all’esito del compiuto sviluppo della fase istruttoria disegnata dal ricordato il R.D. n. 1775 del 1933, art. 180;

in particolare, in detta fase istruttoria, dopo una prima udienza di comparizione (del 12/02/2014) dinanzi al giudice delegato all’istruttoria ai sensi dell’art. 157 di detto testo normativo, alla quale il ricorrente nemmeno comparve, il procuratore della convenuta chiese immediato rinvio per precisazione delle conclusioni ed il medesimo giudice delegato, senza nulla rilevare e quindi senza indicare alle parti, nè pertanto sollevare, la questione rilevabile di ufficio o da avviare immediatamente in decisione, ha disposto in tal senso, ovvero accogliendo la richiesta della parte convenuta; sicchè alla successiva udienza davanti al g.d. (del giorno 11/02/2015) le parti precisarono le loro definitive conclusioni con richiamo alle domande ed eccezioni svolte nei rispettivi pregressi atti;

è evidente, allora, che la questione non può in alcun modo qualificarsi essere stata sollevata nella prima udienza fissata per la trattazione del merito: in primo luogo, perchè indiscutibilmente la prima udienza fissata per la trattazione del merito si è svolta davanti al giudice delegato ed in quella nulla quest’ultimo ha fatto in merito alla questione suddetta; in secondo luogo poichè, se è vero che il giudice delegato all’istruzione – ai sensi dell’art. 157 del richiamato r.d. – non ha poteri decisionali, questi essendo riservati al Collegio, una consimile strutturazione dell’organo o articolazione del rito in duplice fase a struttura – ovvero composizione – personale differenziata non esime il titolare monocratico della prima fase dall’obbligo di rilievo – se non immediato, quanto meno – tempestivo (vale a dire, appunto entro la prima udienza di effettiva trattazione e quindi prima dell’esaurimento della relativa fase, certamente prodottosi con il rinvio per la precisazione delle conclusioni) della questione, salva l’adozione sul punto di ogni provvedimento ad opera del Collegio, unico competente ad esprimere o ad impegnare la volontà dell’organo giurisdizionale nel suo complesso considerato;

in particolare, non è stata data applicazione al seguente principio di diritto: “nel rito disciplinato dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 151 a 179, dinanzi al tribunale superiore delle acque pubbliche, al quale la causa sia stata rimessa dopo la declaratoria di difetto di giurisdizione da parte di altro giudice, la questione di giurisdizione non può essere ulteriormente di ufficio sottoposta alle sezioni unite della Corte di cassazione, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, comma 3, se non viene sollevata dal giudice delegato all’istruzione alla prima udienza tenuta davanti a lui, ferma la competenza del Collegio, cui la questione sia stata rimessa dal detto giudice, siccome privo di poteri decisori ma non di poteri di rilievo delle questioni ufficiose, a provvedere sul punto all’esito dell’udienza di discussione”;

pertanto, l’irredimibile tardività del rilievo della questione di giurisdizione comporta l’inammissibilità del presente regolamento di giurisdizione di ufficio sollevato dal tribunale superiore delle acque pubbliche con ordinanza 30/09/2015-04/02/2016 in causa iscritta al n. 199/13 del r.g. di quell’Ufficio: al quale gli atti vanno restituiti, affinchè provveda, finalmente preclusa ogni ulteriore questione di giurisdizione, ad esaminare la controversia sotto ogni altro profilo in rito e, se del caso, unitariamente nel merito;

PQM

dichiara inammissibile il regolamento di giurisdizione di ufficio sollevato dal tribunale superiore delle acque pubbliche con ordinanza 30/09/2015-04/02/2016 in causa n. 199/13 r.g..

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2017

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