Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11142 del 08/05/2017

Cassazione civile, sez. un., 08/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.08/05/2017),  n. 11142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17909-2015 per regolamento di giurisdizione proposto

d’ufficio dal TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, con

ordinanza n. 8785/2015 depositata in data 1/7/2015 nella causa tra:

R.M., D.A.A., C.G., Z.G.,

RE.RO., R.R., V.F., C.I.,

elettivamente domiciliati in Roma, Via Guglielmo Pepe 37, presso lo

studio degli avvocati Dorodea Ciano e Giampiero Amorelli, che li

rappresentano e difendono;

– ricorrenti –

nonchè da:

D.G., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti non costituitisi in questa fase –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – COMMISSARIO DELEGATO PER

L’ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER IL SUPERAMENTO DELL’EMERGENZA

SOCIO-ECONOMICO-AMBIENTALE NEL SETTORE DEI RIFIUTI URBANI SPECIALI E

PERICOLOSI NELLE PROVINCE LAZIALI, in persona del Presidente pro

tempore, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro

tempore, REGIONE LAZIO – DIPARTIMENTO DEL TERRITORIO, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende;

– resistenti –

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/04/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, il quale

chiede alla Corte di dichiarare la giurisdizione dell’A.G.O..

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che:

il TAR Lazio-Roma fu adito da R.R. ed altri in riassunzione del giudizio già promosso davanti al tribunale di Cassino per ottenere la condanna delle amministrazioni e delle imprese convenute (Presidenza del Consiglio dei Ministri – Comm. delegato all’emergenza rifiuti nelle province laziali, Ministero dell’interno, Regione Lazio, Ambiente Frosinone spa, Relcas Recupero Ecologico Lazio Sud spa, Fondiaria SAI spa, società MAD a r.l.) all’inibitoria delle emissioni nocive derivanti dall’impianto di compostaggio e riciclaggio dei rifiuti solidi urbani in (OMISSIS) e dalla discarica di (OMISSIS), nonchè al risarcimento del danno derivante da quelle;

in particolare, gli originari attori in sede civile ordinaria ( R.R. e altri 118) avevano citato in giudizio – con atto di citazione davanti al tribunale di Cassino iscr. al n. 892/04 r.g. – la Società Ambiente Frosinone (già Consorzio Basso Lazio) nonchè la soc. Reclas, quali la proprietaria e gerenti l’impianto di compostaggio e riciclaggio dei rifiuti solidi urbani sito al km 3,00 della (OMISSIS), rappresentando che fin dal marzo 1996 dal medesimo si erano quotidianamente sprigionati odori nauseabondi e puteolenti che avevano negativamente inciso sulle loro condizioni di esistenza, sulla loro integrità fisica e psichica e sul valore dei beni immobili e sulla redditività delle attività ivi svolte;

essi avevano allora invocato la tutela del diritto alla salute ed alla serenità morale ed alla normalità, comunque ulteriormente deducendo il superamento della soglia di tollerabilità delle esalazioni provenienti dall’impianto di (OMISSIS), chiedendo di inibire l’ulteriore emissione delle insopportabili puteolenze, l’indennizzo per la diminuzione di valore dei loro beni ed il risarcimento del danno biologico, della lesione del diritto alla serenità morale, alla socialità ed alla normalità nella conduzione della vita, nonchè alle attività economiche svolte in loco;

il contraddittorio era stato esteso alla soc. MAD a r.l., al Commissario delegato per l’attuazione degli interventi per il superamento dell’emergenza socio-economico-ambientale nel settore dei rifiuti urbani speciali e pericolosi nelle province laziali e delle Autorità deleganti (cioè la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Interno);

con sentenza 09/07/2009 il tribunale di Cassino aveva declinato la competenza (in favore di quello di Roma) sulla domanda di indennizzo D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 44 e la giurisdizione dell’a.g.o. sulle domande di inibitoria e di risarcimento, ritenendo che fossero oggetto di quest’ultimo giudizio comportamenti materiali che esprimevano però l’esercizio di un potere amministrativo ed erano collegati ad un fine pubblico o di pubblico interesse legalmente dichiarato, siccome inerente a fasi della complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con condotte del soggetto privato gestore, trascendente il limitato ambito locale e collocandosi nel contesto dell’azione commissariale di Governo, con assunzione di rilievo nazionale per l’intervento dell’Amministrazione centrale dello Stato: e ciò in quanto le lesioni di diritti soggettivi lamentate costituirebbero esecuzione dell’esercizio concreto di potere da parte delle Amministrazioni o dei soggetti privati ad esse equiparati, il quale, quanto alla discarica provvisoria, si sarebbe tradotto in altrettanti provvedimenti, per lo più di natura contingibile e urgente, del Commissario delegato (primo fra tutti quello che aveva individuato il sito ed aveva disposto la messa in opera della discarica provvisoria e quello di messa in esercizio degli ulteriori lotti);

dal canto suo, ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, il TAR ha però rilevato non avere i ricorrenti lamentato l’illegittimità dei plurimi atti autorizzativi – prima del Commissario straordinario e poi dell’amministrazione ordinariamente competente alla localizzazione ed all’attività della discarica (tutti impugnati a più riprese davanti al g.a. con esito non favorevole), nè la violazione, da parte di tali organi o del soggetto gestore da questi individuato, delle statuizioni o prescrizioni contenute nei medesimi atti a tutela della popolazione locale, nè ancora la non idoneità del soggetto gestore come individuato, nè la violazione, da parte di quello, della normativa nazionale o comunitaria di tutela, nè – infine – alcuna specifica carenza di controllo o vigilanza da parte dell’Amministrazione competente;

al contrario, evidenzia il TAR essersi i ricorrenti limitati ad affermare che dalla materiale operatività della discarica, la cui localizzazione ed autorizzazione – o la vigilanza sulla quale – non revocano in questa sede in dubbio, derivano immissione di odori superiori al normale limite di tollerabilità secondo le previsioni del codice civile, la cui sola presenza giustificherebbe sia misure inibitorie circa l’ulteriore attività della discarica e, dall’altro, il risarcimento del danno, pure per la diminuzione del valore dei propri immobili: così disvelando la natura meramente civilistica delle pretese azionate dai ricorrenti, rivolte contro un privato imprenditore che gestisce in proprio, pur se in esecuzione di un contratto con la pubblica amministrazione, un’attività economica a suo tempo debitamente autorizzata, ma che non risulta svolta in contrasto con le relative prescrizioni di tutela sanitaria ed ambientale, onde ottenere un’inibitoria ed un risarcimento del danno patrimoniale fondati sul superamento della soglia di tollerabilità delle immissioni, affiancandosi all’azione già proposta dinanzi al giudice civile per la diminuzione di valore dei propri beni derivante dalla vicinanza dell’impianto;

pertanto, il TAR ha sollevato, ai sensi del terzo comma dell’art. 59 della L. 18 giugno 2009, n. 69, conflitto negativo di giurisdizione sulla relativa questione, non essendosi sulla medesima ancora pronunziate le sezioni unite, chiedendo appunto a queste ultime di indicare il giudice munito di giurisdizione al riguardo e pronunci i provvedimenti conseguenti;

il P.G., con sua requisitoria scritta del 20-21/06/2016, ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, rilevando “come solo ed esclusivamente di diritti soggettivi si s(t)ia discutendo tra le parti”;

tanto i ricorrenti originari, quanto, con unitaria memoria, la Presidenza del Consiglio – Commissario delegato per l’attuazione degli interventi per il superamento dell’emergenza socio-economico-ambientale nel settore dei rifiuti urbani speciali e pericolosi nelle province laziali, la Regione Lazio ed il Ministero dell’Interno chiedono dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, variamente sviluppando argomenti analoghi a quelli illustrati dal giudice amministrativo nell’ordinanza con cui è stato sollevato il conflitto, resa addì 01/07/2015 col n. 8735/15;

è stata conseguita, sollecitata con ordinanza interlocutoria n. 25631 del 14/12/2016 di questa Corte, prova quanto meno dell’avvio delle comunicazioni in via telematica – in data 01/07/2015 – pure alle altre parti costituite dinanzi al TAR nel giudizio colà pendente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

la questione di giurisdizione sulle domande inibitoria e risarcitoria in relazione alla gestione di un impianto di compostaggio e riciclaggio dei rifiuti solidi urbani e della relativa discarica comporta la puntuale delimitazione dell’ambito di quella giurisdizione esclusiva;

invero, questa Corte ha già statuito che tutte le controversie concernenti l’organizzazione del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani – ivi comprese quelle aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti all’omessa adozione dei provvedimenti necessari a prevenire o impedire l’abbandono di rifiuti sulle strade, ovvero a rimuoverne gli effetti – appartenevano alla giurisdizione del giudice amministrativo già in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. 23 maggio 2008, n. 90, art. 4, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 14 luglio 2008, n. 123 (norma che – sebbene abrogata dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 4, all. 4 – è stata riprodotta dall’art. 133, comma 1, lett. p) del medesimo D.Lgs.), nulla avendo innovato tale disposizione, in ordine al riparto della giurisdizione in detta materia, posto che la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani costituiscono un servizio pubblico che la legge riserva obbligatoriamente ai Comuni, ai sensi di quanto già previsto – prima della sua abrogazione – dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, comma 2, lett. e), nel testo modificato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7 (in tali espressi termini: Cass. Sez. U. 28/06/2013, n. 16304);

con puntuale richiamo alle sentenze della Consulta nn. 35 del 2010 e 167 del 2011, la stessa pronuncia specifica tuttavia che presupposto della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è l’esercizio, ancorchè illegittimo o mancato, del potere che la legge attribuisce alla Pubblica Amministrazione per la gestione del servizio pubblico di raccolta e rifiuti urbani nel pubblico interesse; mentre la stessa lettera della norma esige trattarsi, quando l’azione non abbia ad oggetto in via diretta atti e provvedimenti amministrativi, di comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere;

è questo, d’altro canto, il principio informatore della devoluzione di intere materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, come a più riprese sancito dalla Corte costituzionale, la quale ha ancora di recente (Corte cost., sent. n. 179 del 2016) ribadito la necessità, quale fondamento della legittimità costituzionale della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di un riferimento all’esercizio, ancorchè in via mediata o indiretta, di un potere pubblico anche quando si faccia questione di comportamenti della P.A.: in altri termini, postulando la legittimità costituzionale ed al contempo i limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la necessaria assegnazione a quest’ultimo della cognizione non di “blocchi di materie”, ma di materie determinate e comunque pur sempre a condizione che l’amministrazione – anche per il tramite di concessionari o di soggetti a vario titolo coinvolti in suo nome o per suo conto – agisca, in tali ambiti predefiniti, come pubblica autorità, vale a dire attraverso la spendita o l’estrinsecazione di poteri amministrativi, che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante meri comportamenti, purchè questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio;

in base al medesimo presupposto queste Sezioni Unite hanno confermato che “la giurisdizione esclusiva amministrativa si fonda su un comportamento della P.A. (o del suo concessionario) che non sia semplicemente occasionato dall’esercizio del potere, ma si traduca, in base alla norma attributiva, in una sua manifestazione e, cioè, risulti necessario, considerate le sue caratteristiche in relazione all’oggetto del potere, al raggiungimento del risultato da perseguire” (in tali espressi termini, all’esito di approfondita disamina della questione, v. Cass. Sez. U. ord. 03/02/2016, n. 2052, alla cui ampia motivazione è opportuno qui integralmente rinviare: pronuncia che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario per il risarcimento dei danni derivati ad immobili dalle concrete modalità esecutive di un’opera pubblica già oggetto di procedimento di espropriazione per pubblica utilità; in presenza di un presupposto contrario ed in dipendenza del coinvolgimento diretto ed immediato della potestà di organizzazione del territorio, Cass. Sez. U. ord. 08/11/2016, n. 22650, ha all’opposto – affermato la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di risarcimento dei danni alla propria attività commerciale derivanti dall’installazione di fioriere senza alcun previo formale provvedimento ex art. 5 C.d.S., comma 3);

orbene, nella specie non viene in considerazione l’esercizio – o l’omesso o il carente esercizio – di alcun pubblico potere e neppure di alcun potere autoritativo esercitato su delega, perchè non sono posti in discussione, nemmeno in via mediata, gli atti e i provvedimenti o i comportamenti (dovendo intendersi, riprendendo quanto statuito dalla Consulta nelle richiamate pronunce, che “quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo e non anche quelli meramente materiali posti in essere dall’amministrazione al di fuori dell’esercizio di una attività autoritativa”) della pubblica amministrazione relativi alla gestione del ciclo dei rifiuti e cioè all’individuazione dell’assetto, della localizzazione e della struttura dei relativi impianti ed ai requisiti tecnici, amministrativi e dimensionali dei soggetti coinvolti nell’esercizio – anche delegato – dei relativi poteri, nè – come in contrario reputato dal Tribunale di Cassino sono coinvolti immediatamente e direttamente pubblici poteri in materia urbanistica o di gestione del territorio regionale;

sulla base della causa petendi e del petitum, quali concretamente sviluppati dagli attori e quali risultano dagli atti che questa Corte è abilitata a prendere in esame, ciò che viene in considerazione è invero la serie di concrete materiali condotte di gestione, da un punto di vista tecnologico o strettamente tecnico, dell’impresa di trattamento e di discarica di rifiuti ed in particolare quelle che, evidentemente tra più processi produttivi o serie di opzioni alternative, appunto meramente tecnici, astrattamente praticabili benchè di articolazione ed evidentemente di impatto e di costo diverso, hanno condotto e possono ancora condurre, ovvero potrebbero invece evitare di condurre, alle maleodoranti esalazioni eccedenti ogni normale tollerabilità ed in grado – secondo la prospettazione attorea – di ledere i diritti soggettivi perfetti compiutamente descritti;

ne è la riprova il fatto che oggetto sostanziale della domanda è la condanna delle controparti ad inibire non già l’attività in sè considerata, ma – appunto e correttamente – esclusivamente le immissioni intollerabili ed i danni ai diritti fondamentali e quindi implicitamente la condanna delle controparti – ciascuna per quanto di ragione – ad esercitarla in modo da impedire le une e gli altri e da ricondurla entro i limiti del lecito o del tollerabile, oltre che a risarcire i danni già causati;

effettivamente, non utilmente contestati i presupposti pubblicistici suddetti dell’azione del gestore, le concrete modalità di esercizio del relativo ciclo produttivo e quindi della relativa attività materiale d’impresa devono svolgersi nel rispetto delle ordinarie regole civilistiche, a tutela dei diritti di ogni consociato, non potendo quei provvedimenti o comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei loro delegati o concessionari comportare mai, tanto meno per implicito, la violazione o la deroga alle ordinarie regole civilistiche, prime fra tutte quelle invocate dagli originari attori (diritto alla salute o ad un habitat salubre e divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità): e dovendo, in altri termini e fino ad espressa contraria disposizione (solo in tal caso rientrando nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), essere applicati dal gestore di quegli impianti in modo conforme alle altre e generali regole suddette;

tali regole, siccome relative all’estrinsecazione di un’ordinaria attività di impresa (alla quale si riconducono pur sempre i cicli produttivi di trattamento dei rifiuti solidi urbani, una volta raccolti dai punti di conferimento dei singoli utenti ed avviati alla fase di lavorazione per il loro progressivo e definitivo smaltimento, come pure quelli di gestione di discariche di rifiuti, quand’anche sottoposti a normative pubblicistiche particolari) e quando – come pare rilevarsi accada nella specie, se non altro prima facie ed ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione – non siano dettate particolari modalità esecutive o applicative tecniche direttamente nei provvedimenti della pubblica amministrazione che vi danno luogo, devono potere essere suscettibili di coercizione dinanzi al giudice ordinario, più non coinvolgendo l’esercizio dei pubblici poteri;

pertanto, in concreto le prestazioni oggetto delle condanne chieste al giudice ordinario dovranno a loro volta consistere in condotte idonee ad evitare per il futuro ulteriori esalazioni o immissioni o danni, condotte le quali siano fungibili e possano appunto coattivamente eseguirsi nelle forme previste dagli artt. 612 c.p.c. e seg. (neppure esclusa, ove ne ricorrano i presupposti, l’applicazione del provvedimento di coercizione indiretta di cui all’art. 614-bis c.p.c.);

allora, il petitum della chiusura quale estrema conseguenza di un eventuale inadempimento alle prescrizioni da impartirsi (in alternativa poi all’ordinaria esecuzione ex artt. 612 c.p.c. e segg.), essa sola suscettibile di comportare in ultima ipotesi un’incidenza sull’assetto complessivo della gestione del ciclo dei rifiuti per implicare in effetti un’ingerenza – certamente sensibile – sulla sua organizzazione, si palesa del tutto eventuale e residuale, tanto da risultare recessivo e quindi inidoneo a caratterizzare o qualificare la domanda nel suo complesso – nel visto senso del coinvolgimento di poteri pubblicistici – fino a sottrarla alla giurisdizione del giudice ordinario;

tale identificazione dell’oggetto della controversia – con esclusione quindi di atti o provvedimenti o comportamenti (nel senso sopra ricordato) relativi alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti – esclude comunque la devoluzione di questa al giudice amministrativo in via esclusiva: non tanto alla stregua della lett. p) dell’art. 133 cod. proc. amm. (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104; e che, come è noto, sancisce la devoluzione al g.a. in via esclusiva di tutte “le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi della L. 24 febbraio 1992, n. 225, art. 5, comma 1, nonchè gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi della medesima L. n. 225 del 1992, art. 5, commi 2 e 4 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati”), quanto delle previgenti norme, da questa sostanzialmente riprodotte, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, comma 2, lett. e), nel testo modificato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7 e successive via via susseguitesi (secondo la ricostruzione operata da Cass. Sez. Un. n. 16304 del 2013, alla cui motivazione può qui bastare un rinvio);

pertanto, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario e, in applicazione dell’art. 25 c.p.c., visto che convenute sono amministrazioni assistite dall’Avvocatura dello Stato, la competenza del tribunale di Roma, in applicazione del seguente principio di diritto: “pur appartenendo tutte le controversie concernenti l’organizzazione del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani alla giurisdizione del giudice amministrativo già in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. 23 maggio 2008, n. 90, art. 4, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 14 luglio 2008, n. 123 (norma che – sebbene abrogata dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 4, all. 4 – è stata riprodotta dall’art. 133, comma 1, lett. p) del medesimo D.Lgs.), appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda del privato che si dolga della pericolosità per la salute od altri diritti fondamentali della persona, ovvero dell’intollerabilità delle immissioni da quelli provenienti, degli impianti di trattamento dei rifiuti già raccolti e delle relative discariche in relazione alle concrete modalità tecniche di esercizio del relativo ciclo produttivo ed insti per l’adozione di tutte le misure per eliminare i danni, i pericoli e le immissioni, risolvendosi le condotte dei soggetti deputati allo smaltimento ed oggetto di contestazione nella materiale estrinsecazione di un’ordinaria attività di impresa, allorquando non siano dettate particolari modalità esecutive o applicative tecniche direttamente nei provvedimenti della pubblica amministrazione che hanno organizzato il servizio, così non risultando in alcun modo coinvolto l’esercizio di una potestà pubblicistica”;

non vi è luogo a provvedere sulle spese, attesa la natura del presente procedimento.

PQM

dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e la competenza del tribunale ordinario di Roma.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2017

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