Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11139 del 08/05/2017


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Cassazione civile, sez. un., 08/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.08/05/2017),  n. 11139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27906/2014 proposto da:

A.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PORTUENSE 104, presso la sig.ra ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e

difeso dagli avvocati GIOVANNI IMMORDINO e GIUSEPPE IMMORDINO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI CATANIA;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DEI CONTI – SEZIONE GIURISDIZIONALE

D’APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA, depositata in data 24/06/2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/04/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott.ssa ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto

dell’eccezione di giudicato e per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato Giovanni Immordino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 297/A/2014 del 24/06/2014 la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana della Corte dei conti ha, in accoglimento del gravame del P.M. avverso l’assoluzione pronunciata in primo grado, condannato l’avv. A.M.G., quale rappresentante all’assemblea dei soci del socio Comune di Catania ed alla medesima delegato dal Sindaco nella società “InvestiaCatania” scpa, in relazione alla delibera di determinazione di un numero di componenti del consiglio di amministrazione e di un compenso esorbitanti, al risarcimento della metà del danno erariale stimato come derivato al socio Comune di Catania, che ne aveva dovuto ripianare le perdite, quantificato nella misura intera in Euro 436.308,75 per compensi eccessivi ed in Euro 147.356,97 per nomine in esubero, così quantificando la condanna in Euro 291.832,85, oltre rivalutazione monetaria “dalla data del loro effettivo esborso e, sulle somme così rivalutate, gli interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo”, nonchè condannando l’ A. alle spese di lite.

2. La complessa vicenda processuale aveva tratto origine dall’atto di citazione depositato dal P.M. in data 01/07/2009, con cui erano stati convenuti in giudizio il Sindaco pro tempore S.U. ed altri pubblici funzionari ( L.S., T.A.M.G., C.U.M.R., St.Gi.An.Ra. ed M.A.R.), oltre appunto A.M.G., ritenuti responsabili di avere violato dolosamente, o almeno con colpa grave, i rispettivi doveri istituzionali nonchè i canoni di “buon senso gestionale”, di “sana gestione finanziaria” e di “efficacia ed economicità dell’azione amministrativa”, così recando ingenti danni alle pubbliche finanze (nella specie, del Comune di Catania): contribuendo, con le loro manifestazioni di volontà, a far lievitare in modo irragionevole i compensi erogati ai presidenti ed ai membri dei consigli di amministrazione delle società “A.S.E.C. Trade s.r.l.”, la cui unica socia era la “A.S.E.C. s.p.a” società a partecipazione totalitaria del Comune di Catania, e “Investiacatania s.c.p.a.”, delle cui perdite avrebbe appunto risposto interamente quest’ultimo, tanto da quantificare il danno erariale subito dal Comune di Catania o, in alternativa, dai singoli patrimoni delle società pubbliche, in via equitativa – e per quel che in questa sede ancora interessa – in Euro 583.665,72, per le vicende relative al consiglio di amministrazione della società”Investiacatania s.c.p.a.”.

3. Dalla sentenza qui gravata si evince, quanto alle indennità corrisposte ai consiglieri di amministrazione di Investiacatania s.c.p.a. avere la pubblica accusa contabile evidenziato: che la società era destinataria di finanziamenti del Ministero del lavoro, con cui aveva stipulato convenzioni per realizzare e sviluppare programmi di intervento occupazionale nel territorio, in attuazione dello scopo sociale sintetizzabile nella promozione e realizzazione di interventi finalizzati al rilancio industriale, occupazionale e di sviluppo economico dell’area territoriale di Catania; che il Comune di Catania era stato l’unico azionista della società dal 2000 fino al 29/06/2007, data a decorrere dalla quale il Comune era divenuto socio di maggioranza al 60,60% delle altre società in mano comunale detentrici ciascuna del 9,85% (ASEC spa, ASEC TRADE srl, CATANIA MULTISERVIZI s.p.a., SOSTARE s.r.l.); che in data 18/07/2003 l’assemblea straordinaria dei soci della INVESTIACATANIA s.c.p.a., composta unicamente dal Comune di Catania, aveva deliberato la copertura delle perdite e l’aumento del capitale sociale ad Euro 700.212,00 a far data dal giorno 01/01/2004; che il Consiglio di amministrazione era composto da sette membri, riducibili a tre qualora le esigenze sociali lo avessero richiesto; che, dal 15/01/2001 al 14/09/2004, l’assemblea ordinaria dei soci aveva confermato i compensi annui lordi del C.d.A. già determinati in 48 milioni di Lire per il presidente e in 24 milioni di Lire per i componenti, oltre il rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento della carica; che l’assemblea dei soci del 14/09/2004 aveva deliberato sull’individuazione soggettiva del C.d.A. composto da sette membri, confermando alcuni componenti e rinnovandone altri, prevedendo solo per il presidente un compenso annuo lordo di Euro 50.000,00, oltre il rimborso delle spese sostenute; che con Delib. dell’assemblea dei soci 19 ottobre 2004, cui aveva preso parte l’avv. A.M., delegato, “con ogni potere di legge e relativa facoltà”, con nota del 30/09/2004 del sindaco pro tempore S.U., il compenso degli amministratori era stato rideterminato in Euro 100.000 annui lordi per il presidente e in Euro 30.000 annui lordi per ciascun consigliere, oltre il rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento della carica; che il 22/06/2006 l’assemblea ordinaria dei soci aveva approvato il bilancio dell’esercizio 2005 con una perdita di Euro 330.021,00, che, computando le perdite degli esercizi precedenti, pari a Euro 152.644,00, aveva portato ad una perdita complessiva di Euro 482.665,00, superiore alla soglia del terzo del capitale sociale prevista dall’art. 2447 c.c.; che nel medesimo bilancio 2005 si erano registrati compensi agli amministratori per Euro 250.331,00, ai sindaci per Euro 37.119,00 ed al revisore contabile per Euro 3.744,00; che all’assemblea straordinaria del 28/09/2006 il delegato dalla proprietà aveva comunicato che la Giunta Municipale, con atto 833 del 1/8/2006, aveva “deciso il ripianamento delle perdite e la ricapitalizzazione della società Investiacatania”; che l’assemblea ordinaria dei soci aveva preso atto della grave situazione deficitaria della società e rideterminato la composizione del C.d.A. in soli tre membri, ridimensionando il compenso in Euro 250,00 mensili per il presidente ed Euro 200,00 al mese per ciascuno dei consiglieri, per poi riallineare i compensi di questi ultimi a quelli del presidente; che, pertanto, il bilancio 2006 era stato approvato con una perdita di esercizio di Euro 224.753,00, unitamente alle residue perdite conseguite durante i precedenti esercizi, dall’assemblea dei soci del 29/06/2007; che la nota integrativa al bilancio 2006 aveva registrato compensi per gli amministratori pari a Euro 235.746,00 e per il collegio dei sindaci per Euro 27.688,00; che, tenuto conto del versamento del 10/04/2007 del Comune di Catania della somma di Euro 482.665,00 destinata alla copertura delle perdite, unitamente al capitale sociale pari a Euro 317.474,00, detratta la somma totale delle perdite conseguite di Euro 707.418,00 (Euro 482.665,00 perdite anni precedenti e Euro 224.753,00 perdita anno 2006), il patrimonio netto della società era risultato pari a Euro 92.721,00; di conseguenza, per far fronte alla critica situazione economico-finanziaria della società, l’assemblea straordinaria dei soci riunita sempre il 29/06/2007 aveva deliberato di coprire le perdite totali di Euro 707.418,00, con conseguente riduzione del capitale sociale ad Euro 92.721,00, arrotondato a Euro 92.289,00; che, diminuito il capitale oltre il limite legale, era stato deliberato di aumentarlo ad Euro 167.289,00 con l’emissione di nuove 50.000 azioni del valore nominale di Euro 1,50 offerte senza sovraprezzo a società direttamente e/o indirettamente controllate dal comune di Catania (ASEC s.p.a., ASEC TRADE s.r.l., Catania Multiservizi s.p.a., Sostare s.r.l.), entrate a far parte della compagine proprietaria dal 29/06/2007 con quote di minoranza del 9,85%, rimanendo il Comune di Catania socio di maggioranza al 60,60%; che era risultata impiegata una forza lavoro di sole quattro unità negli anni dal 2004 al 2007 (un dirigente e tre impiegati).

4. Sulla base di queste premesse, il P.M. aveva prospettato un rapporto di servizio tra Investiacatania scpa – organo ad integrale dotazione erariale, che operava in via esclusiva per gestire un fondamentale servizio pubblico per conto del Comune o comunque in relazione alla circostanza che il Comune ne era stato unico azionista all’epoca dei fatti in contestazione – e il Comune di Catania e, in forza della manifesta irragionevolezza dell’entità dei compensi erogati e del numero dei consiglieri del consiglio di amministrazione, in esubero rispetto alle esigenze gestionali concrete delle singole società, il relativo danno erariale, con conseguente giurisdizione della Corte dei conti; in particolare, quanto alla vicenda di “Investiacatania scpa”, il P.M. aveva prospettato che l’attribuzione del compenso di 100 mila euro annui per il presidente e di 30 mila Euro l’anno per ciascun componente del C.d.A., oltre le spese sostenute per lo svolgimento della carica, deliberato dall’assemblea dei soci del 19/10/2004, avrebbe dovuto ritenersi eziologicamente riconducibile non solamente al Sindaco pro tempore S.U. il quale, con nota datata 30/09/2004, non aveva dato alcun indirizzo specifico e ragionevole per la determinazione dei compensi del C.d.A., delegando sostanzialmente in bianco (“con ogni potere di legge e relativa facoltà”) l’avv. A.M., individuato rappresentante all’assemblea dei soci convocata per lo specifico ordine del giorno, ma pure al medesimo Avv. A.M., il quale, esprimendo la volontà del socio di maggioranza all’assemblea dei soci, aveva appunto determinato la Delib. nella seduta 19 ottobre 2004, di detti sovrabbondanti compensi, oltretutto con un sovradimensionamento manifesto del numero dei componenti del C.d.A. in ragione di almeno due unità.

5. Per quel che in questa sede ancora rileva, la tesi della pubblica accusa contabile si era incentrata sul fatto che, quale delegato del Sindaco, l’ A., in ragione dell’ampia delega da quegli ricevuta e della specifica competenza dell’assemblea dei soci sull’individuazione del numero dei componenti il C.d.A., avrebbe dovuto ridimensionare l’organo di gestione di almeno due unità; sicchè le violazioni di tali obblighi di servizio sarebbero state, secondo il P.M., espressione di una condotta funzionale e gestionale svincolata dai canoni minimi di comune ragionevolezza e sarebbero apparse logicamente compatibili più con la strumentalizzazione cosciente e volontaria, e quindi dolosa, delle nomine e della determinazione dei compensi per finalità extrafunzionali e metagiuridiche, che con una inescusabile negligenza funzionale dei vari soggetti coinvolti, colpa grave che, in ogni caso, avrebbe rilevato in via subordinata; ed il danno accertato, secondo il P.M., andava imputato in solido (a titolo di dolo civile), o, in via subordinata, con quote di responsabilità parziaria equivalenti (a titolo di colpa grave), a tutti i soggetti ai quali era stato contestato, con riferimento alle specifiche poste di danno analiticamente quantificate.

6. Individuato l’ente danneggiato per tutte le poste di danno erariale oggetto di contestazione nel Comune di Catania, proprietario di “Investiacatania” scpa, il giudizio contabile ebbe inizio, ma, all’esito dell’udienza di primo grado del 23/06/2010 e con ordinanza n. 276/2010 del 23/06 – 12/07/2010, la Sezione di prime cure accolse la richiesta di declaratoria di nullità degli atti istruttori eccepita solo nell’interesse del convenuto A.M.G. ai sensi della normativa speciale ed anzi la estendeva d’ufficio agli altri convenuti.

7. Peraltro, con sentenza n. 345/A/2011 del 20/10 – 09/11/2011 la Sezione di Appello per la Regione Siciliana, dichiarato inammissibile il reclamo proposto dal Procuratore regionale, al contempo accolse l’appello proposto dal Procuratore Generale e, per l’effetto, annullò l’ordinanza impugnata, disponendo il rinvio degli atti al primo Giudice per la prosecuzione del giudizio: sicchè, con atto di riassunzione del giudizio depositato il 18/11/2011, la Procura diede nuovamente impulso al giudizio di merito, prima sospeso, nel quale dispiegò atto di intervento ad adiuvandum il Comune di Catania il 21/06/2010.

8. La Sezione di primo grado, pure respingendo l’eccezione di difetto di giurisdizione, disattese sul punto l’eccezione di giudicato sul punto proposta dal P.M., ma assolse tutti i convenuti da ogni richiesta di condanna con sentenza n. 950/13; e tuttavia il P.M. interpose appello nei confronti del solo A. e, quindi, con riferimento alla sola vicenda della scpa “Investiacatania”, lamentando sia l’erroneità del rigetto dell’eccezione di giudicato implicito sulla giurisdizione e comunque sostenendo la sussistenza tanto della giurisdizione contabile che della responsabilità dell’appellato, per concludere per la condanna di questi al pagamento della somma complessiva di Euro 291.832,85, pari al 50% (l’ulteriore metà dovendosi imputare allo S., nelle more defunto e per il quale non sarebbero sussistiti i presupposti per l’esercizio dell’azione nei confronti degli eredi) di Euro 436.308,75 (per compensi sproporzionati) + Euro 147.356,97 (per sovradimensionamento del consiglio di amministrazione), oltre accessori di legge.

9. L’appellato si costituì, replicando per la nullità dell’atto di citazione, la carenza di un danno erariale, l’insussistenza di qualsiasi sua colpa grave, di un nesso causale tra la sua condotta ed il danno e di quest’ultimo in quanto tale, comunque anche sotto il profilo di un’adeguata prova di questo o dell’idoneità dei criteri per il relativo calcolo o della sua prevedibilità.

10. La Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana della Corte dei conti ha accolto l’appello con la sentenza n. 297/A/2014 del 24/06/2014: per la cui cassazione ricorre oggi, affidandosi a cinque motivi, l’ A.; resiste il Procuratore generale presso la Corte dei conti, notificando controricorso; e, per la pubblica udienza del giorno 11/04/2017, il ricorrente deposita altresì memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente Mario Gioacchino A.:

– col primo motivo si duole di “eccesso di potere giurisdizionale”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, lamentando avere creato una norma, invece non esistendone – se non altro fino alla successiva legge finanziaria 2007 – che imponessero limiti alla misura dei compensi, per pervenire al giudizio di condanna contabile;

– col secondo motivo lamenta “eccesso di potere giurisdizionale” e “violazione degli artt. 6, 7 e 17 della C.E.D.U. e dell’art. 1 Protocollo n. 1 della C.E.D.U.”, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, paventando una condanna dello Stato italiano da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo per avere inflitto una condanna in violazione del principio di legalità, come da quella Corte interpretato in relazione all’esigenza di norme prevedibili e non indeterminate, attesa la natura sanzionatoria dell’azione di responsabilità per danno erariale e la conseguente sua sostanziale assimilabilità a quella penale;

– col terzo motivo denuncia – anche stavolta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1 – “difetto assoluto di giurisdizione”, negando il giudicato implicito ritenuto dalla qui gravata sentenza a seguito della riforma, in sede di appello, dell’ordinanza di declaratoria di nullità dell’atto di citazione e degli atti istruttori;

– col quarto motivo adduce “difetto assoluto di giurisdizione”, per “insussistenza di un rapporto di servizio”, rimarcando l’assenza di un rapporto con il soggetto delegante e la diversità ed estraneità delle funzioni rispetto a quelle esercitate (sulla base di Cass. Sez. U. 12/12/91, n. 13410);

– col quinto motivo deduce un “difetto assoluto di giurisdizione”, la “violazione della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1 comma1, lett. a) (come sostituito dal D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, art. 3, comma 1, punto 1, comma A))” e la “violazione della sfera di discrezionalità riservata all’amministrazione”: in estrema sintesi argomentando per l’insindacabilità della determinazione della misura dei compensi degli amministratori delle società partecipate dal Comune, riservata, fino a quando non è intervenuta la legge, al merito non censurabile delle scelte dell’Amministrazione.

2. Va esaminata l’eccezione preliminare del Procuratore generale presso la Corte dei conti, che invoca la formazione del giudicato sulla giurisdizione contabile; ed in particolare va verificato se una sentenza in mero rito resa dal giudice contabile, ma in accoglimento di un’eccezione di nullità dettata per il rito proprio e speciale dinanzi a quello, sia preclusiva della questione di giurisdizione, in relazione alla giurisprudenza ormai consolidata di queste Sezioni Unite e prospettando la formazione di giudicato implicito sul punto: avendo escluso quest’ultimo i giudici contabili di prime cure ed invece affermatolo quelli di secondo grado con la qui impugnata sentenza.

3. Nella specie, la nullità è stata dichiarata dal giudice contabile ai sensi del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30 ter, convertito con modificazioni dalla L. 1 luglio 2009, n. 102: norma che ha subito una vera e propria evoluzione, della quale rileva qui ratione temporis peraltro solo la modifica arrecata dal D.L. 3 agosto 2009, n. 103, art. 1, comma 1, lett. c), (convertito, con modificazioni, dalla L. 3 ottobre 2009, n. 141), in forza della quale il testo vigente risultava, al momento in cui la norma è stata applicata dal giudice contabile (occorrendo fare riferimento all’atto di citazione del P.M. contabile del luglio 2009 ed all’ordinanza di primo grado della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana del 12/07/2010) il seguente: “le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge”; e, subito dopo, la stessa norma sanciva che la nullità degli atti istruttori per violazione di tale espressa limitazione potesse essere fatta valere da chiunque ed in qualunque momento.

4. La qui gravata sentenza, correttamente ricostruita la giurisprudenza di queste Sezioni Unite sulle preclusioni in materia di giurisdizione (fin dalla fondamentale Cass. Sez. U. 09/10/2008, n. 24883; nel senso che: il difetto può essere eccepito dalle parti anche successivamente alla scadenza del termine ex art. 38 c.p.c., finchè la causa non venga decisa nel merito in primo grado; la decisione di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; le sentenze di appello possono essere impugnate per difetto di giurisdizione solo se sul punto non si sia formato il giudicato implicito oppure esplicito; il giudice ha facoltà di rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione finchè sul punto non si sia formato il giudicato implicito o esplicito), ha riformato la contraria decisione di primo grado, ritenendo decisiva la circostanza che la pronuncia sulla nullità degli atti istruttori invocata dall’allora convenuto A., ai sensi del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30 ter, come modificata dalla Legge di Conversione 3 agosto 2009, n. 102 e successive modifiche, presupponeva necessariamente il riconoscimento della giurisdizione contabile, in quanto si trattava di nullità tipica dell’azione di responsabilità amministrativa: sicchè, per potere su di essa il Giudice pronunciare, era indispensabile accertare o almeno presupporre, preventivamente, la propria giurisdizione nel giudizio ad esso devoluto dal P.M., atteso che, in caso contrario, avrebbe dovuto denegare la cognizione della questione, quand’anche solo di rito, sottoposta al suo giudizio, senza neppure entrare nel merito della fondatezza della nullità eccepita.

5. La conclusione non può essere condivisa, nè in astratto, nè alla stregua della concreta decisione adottata nella fattispecie. Quanto al primo profilo, ribadito che solo una pronuncia nel merito preclude definitivamente la questione di giurisdizione (a partire dalla nota Cass. Sez. U. n. 24883 del 2008, già richiamata dalla stessa gravata sentenza, fino a – tra le più recenti – Cass. Sez. U. 26/09/2013, n. 22097), a contrario si deve ribadire pure che nessuna pronuncia di rito può pregiudicare – beninteso e come di consueto, di per sè sola, cioè in difetto di altri elementi desumibili dal contesto della decisione ed in rapporto alle questioni come trattate dalle parti ed affrontate da quest’ultima – la proposizione di simili questioni e che una pronuncia di rito non cessa di essere tale neppure se sia relativa ad una nullità tipica o propria del rito contabile. Pertanto, “la pronuncia del giudice contabile, successivamente riformata, di accoglimento di un’eccezione di nullità ai sensi del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 17 comma 30 ter, convertito con modificazioni dalla L. 1 luglio 2009, n. 102 e successive modifiche, quand’anche fondata su di una nullità tipica o propria del procedimento che si svolge dinanzi a quel giudice, non implica di per sè sola alcun giudicato implicito sulla sussistenza della giurisdizione di quello e non preclude quindi, essa sola, la proposizione della relativa eccezione”.

6. D’altra parte, nella particolare fattispecie processuale come riferita dal ricorrente (v. pag. 19 del ricorso), sulla questione della giurisdizione non può dirsi formato alcun giudicato, per avere ritenuto i giudici contabili di primo grado espressamente preliminare l’esame dell’eccezione di nullità D.L. n. 78 del 2009, ex art. 17, comma 30 ter, anche e proprio alla questione di giurisdizione, pure proposta almeno da alcune delle altre parti coinvolte e dichiarato pertanto fatta in quella sede esplicitamente salva: e tanto a non volere considerare l’obiettiva incertezza interpretativa sulle implicazioni della peculiare eccezione di nullità disciplinata dalla norma di recentissima introduzione e di – obiettivamente – ardua interpretazione ed elaborazione, testimoniata dalla sua evoluzione anche successiva.

7. Va quindi escluso un giudicato interno sulla giurisdizione; ma tanto, in esame congiunto del terzo e del quarto motivo del ricorso per l’evidente loro intima connessione, non impedisce affatto di rilevare che la giurisdizione del giudice contabile è stata affermata correttamente e che essa va comunque riconosciuta, per essere il danno erariale stato individuato nelle ingentissime uscite accollate direttamente, in dipendenza delle scelte gestionali adottate dal convenuto, quale delegato del Sindaco con poteri però talmente ampi da identificarsi con lui, al bilancio del Comune per ripianare le disastrose perdite della società Investiacatania scpa per il periodo in cui ne ha dovuto rispondere appunto quell’Ente pubblico.

8. Al riguardo, va applicata la giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti quando l’azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l’impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio (per tutte: Cass. Sez. U. 19/12/2009, n 26806); in altri termini, l’azione di responsabilità per danno erariale può configurarsi nei confronti di chi, essendone incaricato, non abbia esercitato i poteri ed i diritti sociali spettanti al socio pubblico al fine d’indirizzare correttamente l’azione degli organi sociali (Cass. Sez. U. ord. 12/10/2011, n. 20941); e, più specificamente, “sussiste la giurisdizione della Corte dei conti in ordine all’azione risarcitoria proposta nei confronti del rappresentante di un ente pubblico non economico, titolare di una partecipazione totalitaria in una società, che abbia esercitato, in nome e per conto dell’Ente, i diritti e le facoltà inerenti alla posizione di socio, in modo non conforme al dovere di diligente cura del valore di tale partecipazione, così causando un pregiudizio diretto al patrimonio dell’Ente stesso” (Cass. 12/10/2011, n. 20940; principio ribadito anche di recente da Cass. Sez. U. 27/10/2016, n. 21692 quanto alla responsabilità del Sindaco ed allora estensibile ad un suo delegato, da qualificarsi uti alter ego in relazione all’ampiezza inusitata della delega conferita, come nella specie era l’ A.).

9. La discrezionalità sostanzialmente priva di limiti della delega conferita dal Sindaco ha reso l’ A. arbitro delle scelte in nome del Comune e quindi pienamente e personalmente responsabile delle conseguenze delle decisioni assunte, con peso determinante atteso il ruolo di quell’Ente in seno all’organo di amministrazione della società, interamente da quello controllata e delle cui perdite il Comune stesso ha finito col dovere farsi carico, con l’ingente danno erariale compiutamente descritto: ciò che appunto fonda in modo adeguato e corretto il presupposto della giurisdizione contabile contestata invece dall’odierno ricorrente coi motivi terzo e quarto, che vanno rigettati.

10. Ciò posto, possono esaminarsi congiuntamente il primo ed il quinto motivo, attesa la loro intima connessione: ma non possono trovare accoglimento. Se è vero che nessuna norma era ancora stata emanata per fissare un tetto o un limite massimo al numero dei componenti del Consiglio di Amministrazione di società del tipo cui apparteneva “Investiacatania” scpa ed alla loro retribuzione, la soluzione data dalla Corte nella qui gravata sentenza, che ha reputato immanenti nel sistema i criteri di economicità e di ragionevolezza nella gestione per poi ricavarne le concrete conseguenze applicative, è giuridicamente corretta ed anzi ineccepibile: non comporta invero la creazione di una norma, nè tanto meno la lamentata violazione dei limiti della funzione giurisdizionale, l’affermazione della necessità di un equilibrio tra obiettivi conseguiti e costi sostenuti e della ragionevolezza dei mezzi impiegati in relazione agli obiettivi perseguiti, come già ammesso da queste Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 07/11/2013, n. 25037), in sostanziale riconoscimento della piena legittimità del sindacato della Corte dei conti sull’economicità della gestione della P.A. (fin dalla fondamentale Cass. Sez. U. 29/09/2003, n. 14488, confermata dalle successive, via via fino a Cass. Sez. U. 15/03/2017, n. 6820), in forza di principi generali che vanno senz’altro qui confermati; del resto, l’entità del risarcimento riconducendosi all’entità del danno cagionato, in applicazione di criteri ordinari di causalità e prevedibilità delle conseguenze della propria condotta, avendo il danneggiante contribuito in modo determinante a riconoscere senza alcuna necessità un numero esorbitante di consiglieri di amministrazione ed una loro remunerazione manifestamente sovrabbondante rispetto ai compiti svolti in una società in conclamata crisi; mentre il concreto esito dell’applicazione di quei principi sfugge al peculiare e ristrettissimo sindacato di questa Corte di legittimità ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8.

11. Infine, neppure il secondo motivo può trovare accoglimento: in disparte il rilievo che la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo esclude l’equiparazione tra la responsabilità contabile e quella penale (decisione della 5^ sezione, 13/5/2014, su ricorso Rigolio c/Italia: che rimarca la finalità esclusivamente risarcitoria del giudizio di responsabilità, finalizzato al ristoro del patrimonio dell’ente danneggiato, tanto da non integrare il parametro convenzionale rilevante per la sanzione penalistica, quand’anche autonomamente ricostruibile, nè profilandosi ripercussioni sulla libertà personale in caso di mancato adempimento), come quello che l’entità ingente della condanna è diretta conseguenza dell’applicazione di principi generali in tema di risarcimento del danno cagionato con condotta almeno colposa, va in via dirimente ribadito che la violazione della normativa della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo non integra mai, di per sè considerata, un eccesso di potere sindacabile ai sensi e per gli effetti dell’art. 111 Cost., comma 8.

12. Infatti (tra le ultime, v. Cass. Sez. U. 14/12/2016, n. 25629), i limiti istituzionali del controllo devoluto a questa Corte di legittimità, quanto alle pronunzie delle giurisdizioni superiori (come, nella specie oggi esaminata, la Corte dei conti nella sua articolazione di giudice di appello contabile), legittimamente impediscono alla prima di valutare la conformità delle scelte di quei giudici alla Convenzione europea (Corte eur. dir. Uomo, 4^ sez., 08/09/2015, Wind Telecomunicazioni spa c/ Italia, ric. n. 5159/14; Cass. Sez. Un. 08/07/2016, n. 14042): sicchè l’applicazione della disciplina interna in modo conforme alla normativa convenzionale è rimessa istituzionalmente al giudice del plesso giurisdizionale speciale dotato della giurisdizione sul merito della controversia e resta espressione di potere giurisdizionale del tutto interna a quest’ultimo, se non altro allo stato attuale dei rigorosi limiti imposti dalla norma costituzionale.

13. Pertanto, il ricorso va rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità in ragione della qualità di parte solo in senso formale del Procuratore generale presso la Corte dei conti (da ultimo, Cass. Sez. U. 27/02/2017, n. 4879; Cass. Sez. U. 27/12/2016, n. 26995).

14. Deve solo darsi atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2017

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