Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11138 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 05/05/2017, (ud. 09/03/2017, dep.05/05/2017),  n. 11138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10566-2016 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA CODEMO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1595/7/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del VENETO, depositata il 22/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/03/2017 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI.

Fatto

RILEVATO

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione sintetica;

che C.R. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, che aveva respinto il suo appello e quello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Treviso. Quest’ultima, a sua volta, aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente avverso un avviso di accertamento IRPEF, IVA e IRAP anno 2007; che, nella decisione impugnata, la CTR ha rilevato – per quel che qui ancora interessa – come il contribuente avesse riferito fatti inerenti ad annualità non più verificabili ed accertabili e come le incongruenze emerse, ancorchè con un’indagine a campione, apparissero sufficienti per esprimere un giudizio di inattendibilità dell’intero impianto difensivo.

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, col primo, si deduce la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, punti 2 e 7 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, punti 2 e 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che, in particolare, nessuno degli articoli denunciati avrebbe dettato regole in merito alla pienezza della prova in capo al contribuente, che la CTR avrebbe malamente letto ed interpretato, applicando falsamente l’art. 32 ed utilizzando dati del tutto scollegati: insomma, le modalità con le quali il Collegio aveva operato nel prendere in considerazione e valutare i documenti avrebbe dovuto far ritenere un’omessa corretta applicazione della normativa vigente; che, col secondo, si invoca sempre la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, punti 2 e 7 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, punti 2 e 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

che, in particolare, l’errata lettura delle norme di legge di cui sopra avrebbe condotto la CTR a non prendere in considerazione la documentazione prodotta nel corso del giudizio di primo grado: insomma, la prova richiesta sarebbe stata fornita mediante la produzione di oltre 100 documenti, a fronte dei quali la sentenza impugnata avrebbe utilizzato criteri di valutazione della prova del tutto avulsi dalla normativa applicabile;

che l’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso; che i due motivi – che possono essere scrutinati congiuntamente, per il loro collegamento logico – sono infondati;

che, invero, con entrambi il ricorrente, utilizzando sostanzialmente gli stessi concetti, si duole della valutazione data dalla CTR alla documentazione portata a prova contraria, rispetto agli elementi posti dall’Ufficio a base dell’accertamento: le censure sono del tutto generiche, mancando di chiarire quale interpretazione adottata dai giudici di appello contrasti con le norme di legge denunciate e rispetto a quali allegazioni la stessa interpretazione sia incorsa nei vizi di violazione di legge;

che, in realtà, il contenuto dei due motivi – fra loro, come detto, speculari – si traduce in una critica al risultato dell’attività ermeneutica della CTR, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivata, come nel caso di specie;

che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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