Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11137 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 07/05/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 07/05/2010), n.11137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

LINEA MONTALDO S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1,

presso lo studio dell’avvocato SPINOSO ANTONINO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GRATTAROLA MASSIMO, PRENCIPE

GIUSEPPE, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.C.C.I. – SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. S.P.A.;

– intimata –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRERA

FABRIZIO, MARITATO LELIO, CORETTI ANTONIETTA,giusta delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1374/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/09/2006 r.g.n 1666/05;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

18/03/2010 dal Consigliere Dott. MORCAVALLO Ulpiano;

udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Torino confermava la decisione dei Tribunale di Alessandria, con la quale era stata rigettata l’opposizione proposta dalla Linea Montaldo soc. coop. a r.l. avverso la cartella esattoriale notificata il 5 maggio 2004 per il pagamento della somma di Euro 402.340,02 a titolo di contributi INPS, riferiti ai soci artigiani, oltre a sanzioni, somme aggiuntive e una tantum., per il periodo gennaio 1997 – ottobre 2000;

la cooperativa aveva contestato l’esistenza del debito, sostenendo che i contributi erano stati pagati dai singoli soci alla gestione separata Inps per gli artigiani.

La Corte territoriale – premesso essere pacifica la natura artigiana della cooperativa e che i soci erano iscritti all’albo delle imprese artigiane, nonche’ alla gestione speciale artigiani presso l’Inps, cui avevano versato i contributi – rilevava che la questione da decidere era se i contributi sugli emolumenti percepiti dai soci lavoratori (iscritti singolarmente all’albo artigiani) dovessero essere versati dai medesimi soci nella gestione artigiani nella misura da questa prevista, oppure dovessero essere versati dalla cooperativa nella gestione dell’assicurazione generale obbligatoria e nella misura prevista per i lavoratori dipendenti da imprese artigiane; affermava, quindi, che il rapporto tra soci e cooperativa era, in relazione ai compensi percepiti, del tutto analogo a quello esistente in qualsiasi cooperativa di produzione e lavoro, dovendosi applicare il principio desunto dal R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3, per cui, ai fini assicurativi, le societa’ cooperative sono datori di lavoro nei riguardi dei soci impiegati in lavori da esso assunti; era quindi irrilevante il fatto che i soci fossero iscritti all’albo delle imprese artigiane: iscrizione che sarebbe stata peraltro illegittima se effettuata esclusivamente in funzione dell’attivita’ esercitata presso la cooperativa; ed infatti, associandosi nella cooperativa, il socio non esercita personalmente l’impresa e non si assume gli oneri e i rischi derivanti dalla sua gestione, mentre l’attivita’ di impresa e’ svolta dalla cooperativa, la quale ha personalita’ giuridica distinta da quella dei soci;

esclusa, pertanto, la possibilita’ di considerare i soci lavoratori come artigiani, in relazione al regime contributivo, non poteva che essere applicato, alla stregua della giurisprudenza di legittimita’, il R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3, e quindi la normativa sui lavoratori dipendenti, sulla cui portata e vigenza non avevano influito le disposizioni che avevano costituito la gestione pensionistica autonoma per gli artigiani, di cui alla L. n. 463 del 1969.

2. Avverso detta sentenza la cooperativa propone ricorso affidato a due motivi. L’Inps ha depositato procura ai difensori, che hanno partecipato alla discussione; la societa’ di cartolarizzazione (SCII), anch’essa evocata in giudizio quale mandante dell’INPS nelle precedenti fasi, non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, denunciando violazione del R.D. n. 1422 del 1924, la cooperativa ricorrente si richiama all’orientamento di legittimita’, di cui alla sentenza delle Sezioni unite n. 13967 del 2004, per cui, anche per il periodo anteriore alla sua entrata in vigore, si dovrebbe applicare il disposto della nuova L. n. 142 del 2001, e quindi l’obbligo contributivo della cooperativa nei confronti dei soci andrebbe rapportato alla disciplina sostanziale della prestazione (subordinata o autonoma), effettivamente resa.

2. Con il secondo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione della L. n. 443 del 1985, art. 7, e della L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), art. 5, si lamenta che, avendo la iscrizione all’albo valore costitutivo della natura artigiana dell’impresa, l’Inps non poteva, senza ottenere la revoca – mediante le prescritte procedure amministrative – del relativo provvedimento, assoggettare la cooperativa ad un trattamento contributivo diverso da quello derivante dall’iscrizione.

3. Tali motivi, da esaminare congiuntamente per l’intima connessione, non sono fondati.

3.1. Ai fini della individuazione del soggetto obbligato a corrispondere la contribuzione previdenziale sulle somme erogate dalla cooperativa artigiana ai singoli soci, e da questi percepite a titolo di compenso per il lavoro svolto a favore della cooperativa medesima, nella giurisprudenza di questa Corte si sono espressi due diversi orientamenti: con il primo si e’ affermato che la misura e il regime giuridico di detti contributi devono conformarsi a quelli previsti dalla normativa sulla gestione Inps per i lavoratori autonomi artigiani (Cass. n. 7380 del 30 maggio 2001, n. 9600 del 14 luglio 2001); per il secondo, diventato poi maggioritario (Cass. n. 238 del 10 gennaio 2003, n. 66 dell’8 gennaio 2007), valgono, invece, anche per i soci di cooperativa, in quanto assimilati ai lavoratori dipendenti, le regole che presiedono all’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti. Entrambi gli orientamenti sono pero’ concordi nell’affermare che l’obbligo contributivo, sia pure diversamente modulato (gestione artigiani ovvero gestione lavoratori dipendenti), fa capo alla cooperativa, e non gia’ ai singoli soci, di talche’ la posizione della cooperativa, attuale ricorrente, che sostiene l’insussistenza di ogni obbligo a suo carico, per avere i singoli soci gia’ pagato la contribuzione alla gestione lavoratori autonomi artigiani sulle somme percepite dalla cooperativa, non trova in realta’ sostegno in nessuna delle due tesi indicate.

Per risolvere la questione, appare imprescindibile chiarire quale sia il tipo di cooperativa e quale sia la natura delle somme su cui vengono chiesti i contributi.

Va infatti sottolineato che gli artigiani possono riunirsi in cooperativa sia mantenendo la propria individualita’ imprenditoriale, sia perdendola (cfr. al riguardo Cass. n. 13269 del 7 giugno 2006).

Nella prima ipotesi, si configurano cooperative di servizio che, analogamente a quanto avviene nei consorzi di imprese, si uniscono per procurarsi commesse di lavoro e per distribuirne l’esecuzione tra gli associati, che conservano, ognuno, la gestione del proprio laboratorio e l’uso delle proprie attrezzature, ritraendo il reddito dalla attivita’ imprenditoriale cosi’ svolta ed accettandone i rischi. Nel secondo caso, il sistema e’ quello delle cooperative di lavoro, in cui i singoli artigiani non fanno confluire nella cooperativa le loro imprese, le quali restano pertanto estranee al rapporto con la cooperativa, ma vi apportano il proprio lavoro, usando non gia’ i mezzi e gli strumenti di loro proprieta’, ma quelli messi a disposizione dalla cooperativa.

Nel primo caso, ossia quando gli artigiani, pur essendo soci di cooperativa, svolgono in proprio, cioe’ nella propria azienda e con le proprie attrezzature, nonche’ a proprio rischio, le lavorazioni di pertinenza, i ricavi percepiti dai committenti vanno sottoposti a contribuzione nella gestione autonoma degli artigiani, che e’ a carico esclusivo dei singoli titolari di impresa. Invero l’assicurazione IVS artigiani introdotta per la prima volta dalla L. 4 luglio 1959, n. 463, prevede (L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 1 Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi) un contributo a carico dell’artigiano nella misura “del 12% del reddito annuo derivante dall’attivita’ di impresa che da titolo all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente”. L’assicurazione IVS artigiani determina quindi la misura del contributo sulla base del reddito di impresa, e cioe’ della impresa artigiana individuale, e, di converso, determina su questo medesimo elemento la misura della pensione.

L’esistenza di un reddito dell’impresa individuale e’ quindi il presupposto imprescindibile affinche’ sorga l’obbligo contributivo da parte del singolo artigiano alla gestione dei lavoratori autonomi (di talche’ colui che nessun reddito ricavi dalla sua impresa, non sara’ soggetto a contributi di sorta).

Ne consegue altresi’ che i redditi, percepiti dall’artigiano, diversi da quelli ricavati dall’impresa individuale, non possono essere sottoposti a contribuzione presso la gestione Inps per gli artigiani, ma dovranno essere soggetti al regime contributivo di pertinenza:

cosi’, se, oltre all’attivita’ di impresa, l’artigiano svolge anche attivita’ di lavoro dipendente, le relative retribuzioni non possono essere “convogliate” nei redditi di impresa, ma sono sottoposte alla contribuzione AGO. Nel secondo caso, cooperativa di lavoro, si tratta di stabilire il regime contributivo di un reddito che non e’ stato ricavato dalle imprese individuali, ma dalla cooperativa, che poi provvede alla sua distribuzione tra i soci, ed e’ su dette somme distribuite, come compenso per l’opera prestata a favore della cooperativa medesima, che l’Inps richiede la contribuzione.

La cooperativa ricorrente infatti non ha censurato la parte della sentenza impugnata che ne ha affermato l’inquadramento come cooperativa di lavoro, ne’ ha mai sostenuto che i singoli soci abbiano lavorato nelle proprie aziende, conferendo alla cooperativa il risultato del proprio lavoro individuale, e quindi usando mezzi e strutture delle rispettive imprese artigiane singole; ma, per sottrarsi all’obbligo di pagamento dei contributi pretesi dall’Inps, ha invece sempre allegato, esclusivamente, che i suoi soci sono a loro volta artigiani, in quanto iscritti al relativo albo. Ma la mera iscrizione dei soci all’albo non vale ad attrarre tutti i redditi percepiti dall’artigiano nel “reddito di impresa” di cui alla cit. L. n. 233 del 1990. Pertanto risulta irrilevante, ai fini che interessano, il fatto che i soci della cooperativa siano iscritti all’albo delle imprese artigiane, perche’ presso la corrispondente gestione assicurativa mai potrebbero essere versati i contributi sui compensi erogati dalla cooperativa (ne’ rileva, percio’, alcun onere di preventiva attivazione, da parte dell’Istituto, per la revoca del provvedimento di iscrizione).

Deve pertanto affermarsi che l’obbligo contributivo sui compensi erogati ai soci delle cooperative di lavoro, per l’attivita’ prestata a favore della cooperativa, e’ a carico della cooperativa medesima, anche se detti soci sono iscritti all’albo delle imprese artigiane, fermo restando che se costoro svolgano in proprio, anche ed in aggiunta, prestazioni di lavoro autonomo come imprenditori artigiani, ricavando un reddito di impresa, questo va sottoposto a contribuzione presso la gestione dei lavoratori autonomi, ai sensi della L. n. 233 del 1990 (cfr. nello stesso senso Cass. n. 13818 del 27 maggio 2008).

Sotto il profilo sistematico, il ravvisato obbligo di pagare la contribuzione sui compensi erogati ai soci lavoratori grava sulla cooperativa, in forza, come piu’ volte si e’ affermato, di una disposizione remota nel tempo, ma ancora vigente (per il periodo anteriore all’entrata in vigore della L. n. 142 del 2001), costituita dal R.D.L. 28 agosto 1924, n. 1422, art. 2 il quale prevede che “Le societa’ cooperative sono datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da essa assunti” (analogo e’ il tenore del R.D. 7 dicembre 1924, n. 2270, art. 2, comma 2 regolamento per l’esecuzione del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3158 concernente provvedimenti per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, mentre diversi provvedimenti normativi hanno via via attribuito ai soci gli assegni familiari, l’assicurazione contro il rischio della tubercolosi, la tutela antinfortunistica).

3.2. Una volta confermato che l’obbligo contributivo grava sulla cooperativa, si pone l’ulteriore problema di individuarne la disciplina, occorrendo stabilire se, anche per i soci lavoratori, debba essere applicato il regime previsto per i lavoratori dipendenti.

Invero, prima dell’intervento della sentenza delle Sezioni unite n. 13967 del 26 luglio 2004, invocata dalla cooperativa, la tesi largamente maggioritaria era quella secondo cui il R.D. n. 1422 del 1924, art. 2 equipara con una finzione, e per i fini assicurativi, la posizione dei soci lavoratori di societa’ cooperative a quella dei lavoratori subordinati, con conseguente sussistenza dell’obbligazione contributiva a carico di tali societa’, a prescindere dalla sussistenza degli estremi della subordinazione e dai fatto che la cooperativa svolga attivita’ per conto proprio o per conto terzi.

In questo stesso senso si sono pronunciate, tra le tante, Cass. 25 maggio 2002, n. 7668; 14 dicembre 2002, n. 1.7915; 1 agosto 2003, n. 3053; 7 marzo 2003, n. 3491; 28 marzo 2003, n. 4767.

Le Sezioni unite, con la citata sentenza 13967/2004, hanno invece affermato che, considerata la varieta’ degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali, il significato del R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3 non possa essere definito senza tener conto della successiva evoluzione legislativa, a partire dall’art. 45 Cost.

e fino alle leggi successive ai fatti di causa, e cioe’ alla L. n. 142 del 2001, cosi’ praticamente applicando quest’ultima anche ai periodi anteriori alla sua entrata in vigore. Poiche’ la nuova legge (come piu’ oltre si vedra’) prevede che, oltre al rapporto associativo, deve intercorrere, tra socio e cooperativa, anche un altro e diverso tipo di rapporto di lavoro, che puo’ essere autonomo o subordinato, i soci, anche per il passato, dovrebbero essere assicurati come lavoratori dipendenti solo in presenza di un rapporto di lavoro subordinato con la cooperativa, che affianchi quello associativo, mentre, se cosi’ non era, e cioe’ se al rapporto associativo si affiancava un rapporto di lavoro autonomo, il regime assicurativo da instaurare era quello proprio del lavoro autonomo.

La tesi, pero’, appare ormai superata alla stregua di quanto successivamente affermato in numerose sentenze della Sezione lavoro della Corte, che hanno evidenziato, con orientamento costante, la considerazione che la nuova legge ha un impianto del tutto diverso rispetto alla previgente regolamentazione ed e’ quindi con essa inconciliabile (cfr. da ultimo, ex multis, Cass. n. 10543 del 23 aprile 2008, n. 164 del l’8 gennaio 2009, n. 26158 del 14 dicembre 2009).

E’ indubbio che, con la disposizione sopra riportata del 1924, si intesero attrarre nell’orbita della tutela previdenziale, che all’epoca era ai primordi, anche i soci di cooperativa, sia pure ricorrendo ad una formula peculiare, che non estendeva direttamente la protezione, ma faceva riferimento alla cooperativa come datore di lavoro.

Ebbene, nessuna delle disposizioni citate condizionava l’assicurazione del socio lavoratore alla contemporanea sussistenza di. un rapporto di altro genere con la cooperativa, ma al contrario, come e’ stato osservato, la norma in esame sarebbe stata del tutto pleonastica se presupposto della sua applicazione fosse stata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto, in quest’ultimo caso, l’obbligazione contributiva sarebbe sorta ex se, a prescindere dal fatto che il datore di lavoro assumesse la veste di cooperativa. La normativa ricollegava quindi la tutela previdenziale per il lavoro subordinato a due soli elementi, cioe’ al fatto di essere socio ed al fatto di prestare attivita’ lavorativa per conto della societa’, traendone un compenso. A queste disposizioni si sono aggiunte successivamente, in ordine sparso, norme che hanno progressivamente esteso ai soci di cooperative di lavoro regole previdenziali tipiche del rapporto di lavoro subordinato, estensione che ne presuppone necessariamente la iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti. La tendenziale equiparazione tra le due figure si giustifica per il fatto di condividere due elementi fondamentali: la “alienita’” (nel senso di destinazione ad altri) del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro e’ utilizzata (il bene prodotto appartiene alla cooperativa, avente personalita’ distinta da quella dei soci, ancorche’ costoro partecipino poi alla divisione degli utili), la “alienita’” dell’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce, giacche’ i criteri di gestione fanno capo agli organi della cooperativa.

Tra queste nuove norme si annovera il D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 6, comma 7, il quale – ridisegnando la struttura della retribuzione imponibile e innovando la previgente regolamentazione di cui alla L. n. 153 del 1969, art. 12 – prevede che la base imponibile per le contribuzione dei soci di cooperative di lavoro e’ uguale a quella dei lavoratori dipendenti. Inoltre (L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 24, commi 1, 2, e 4) sono state estese ai soci delle cooperative di lavoro sia le disposizioni sul Fondo di garanzia Inps sul trattamento di fine rapporto (L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2) e sulle ultime tre mensilita’ di retribuzione in caso di insolvenza del datore di lavoro (di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80), sia l’assicurazione per la disoccupazione. Le suddette prestazioni e garanzie presuppongono ovviamente una provvista contributiva. Ebbene, la gestione dei lavoratori autonomi artigiani, di cui alla citata L. n. 233 del 1990, non contempla alcun obbligo al riguardo: sarebbe incongruo ipotizzare l’obbligo contributivo a carico dell’artigiano, che gestisce autonomamente la sua impresa, per garantirsi dalla disoccupazione, ovvero dall’insolvenza di se stesso. Si tratta invece di disposizioni che presuppongono la diversita’ tra soggetto obbligato al pagamento dei contributi e soggetto beneficiario (il soggetto obbligato e’ la cooperativa di lavoro ed i beneficiari sono i suoi soci) cosi’ riconfermandosi che la gestione di appartenenza e’ quella generale dei lavoratori dipendenti.

Nessuna di queste disposizioni, sicuramente prive di sistematicita’, ma fortemente sintomatiche della volonta’ di estendere, anche ai soci lavoratori, le garanzie assicurative progressivamente introdotte nell’ordinamento a favore dei subordinati, condiziona in alcun modo questa piu’ ampia tutela del socio alla sussistenza di un ulteriore rapporto con la cooperativa, ovvero alla circostanza che il lavoro venga reso in regime di subordinazione. Eppure in quella fase, a differenza di quanto accadeva nel 1924, stava diventando ben nota e praticata la distinzione tra lavoro subordinato, lavoro autonomo, lavoro subordinato coordinato e continuativo ecc..

La peculiarita’ e’ che, attraverso questa molteplicita’ di disposizioni, la tutela del socio lavoratore si e’ progressivamente implementata nel corso del tempo in stretta connessione con quella del lavoratore subordinato, ma il fondamento normativo e’ pur sempre rimasto quello delle remote e non appaganti disposizioni del 1924 per cui “Le societa’ cooperative sono datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da esse assunti.” La ragione di questa discrasia tra complessita’ di tutela, da una parte, e vaghezza del dato normativo, dall’altra, verosimilmente si spiega considerando la difficolta’ di distinguere, tra i soci – tutti impiegati, su incarico della cooperativa, in attivita’ di lavoro – quelli operanti in regime di subordinazione e quelli operanti in autonomia; sarebbe stato, cioe’, oltremodo difficoltoso, se non a prezzo di analisi complicate, non esigibili da soggetti come le cooperative, e ardue anche per l’ente previdenziale, sceverare, all’interno della cooperativa, tra chi lavorava in regime di subordinazione giuridica e chi, invece, lavorava in regime di subordinazione meramente tecnico – funzionale, per assicurare solo ai primi la tutela previdenziale del lavoro dipendente.

Peraltro, alla difficolta’ di cogliere il dato oggettivo di cui sopra, faceva riscontro anche la mancanza, in capo alla cooperativa, dell’obbligo di approntare idonea documentazione attestante i diversi tipi di lavoro svolti dai soci e poter distinguere tra essi. E questa mancanza di prescrizioni sul piano amministrativo – nonostante fin da tempi remoti fossero previsti numerosi controlli sulle cooperative – appare significativa del disinteresse del legislatore in ordine alle caratteristiche con cui il socio prestava l’attivita’ lavorativa su incarico della cooperativa, evidentemente perche’ la tutela previdenziale non veniva condizionata ad esse.

Il quadro cosi’ delineato per il passato non si presta ad essere reinterpretato, sul piano previdenziale, alla luce dei nuovi criteri di cui alla L. n. 142 del 2001, per una molteplicita’ di motivi, che vertono sia sulla assoluta novita’ che la nuova legge apporta alla struttura organizzativa della cooperativa, la quale incide anche sulla tutela assicurativa, sia sul fatto che essa, necessariamente, tiene conto dell’assetto previdenziale complessivo vigente nel 2001, che non e’ comparabile con quello esistente negli anni venti, quando fu introdotta la tutela per i soci di cooperativa, per cui cio’ che e’ stato dettato alla luce della nuova legge non appare applicabile per il passato.

In primo luogo la nuova disciplina fornisce, opportunamente, gli strumenti per distinguere, tra i soci, coloro che lavorano in regime di subordinazione e quelli che lavorano in regime di autonomia, dal momento che il nuovo cardine del sistema, sconosciuto nell’assetto precedente, e’ che il socio, all’atto dell’adesione alla cooperativa, o successivamente, instauri un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, finalizzato al raggiungimento degli scopi sociali, in forma subordinata o autonoma, a cui e’ applicabile la tutela previdenziale prevista per l’una o per l’altra forma. Dispone infatti la L. n. 142 del 2001, art. 4 che ” Ai fini della contribuzione previdenziale ad assicurativa, si fa riferimento alle normative vigenti previste per le diverse tipologie di rapporto di lavoro adottabili dal regolamento delle societa’ cooperative nei limiti di quanto previsto dall’art. 6″. Inoltre, principio altrettanto rilevante e’ che la tipologia dei rapporti di lavoro, autonomo o subordinato, che si intendono attuare con i soci, devono essere indicati nel regolamento interno.

La nuova legge fa quindi indubbia chiarezza: la tutela previdenziale non viene ancorata al rapporto associativo, ma al rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, chiaramente indicato nel regolamento, che si affianca a quello associativo.

Ma cosi’ non era nell’assetto precedente, in cui, come gia’ rilevato, l’unico rapporto del socio con la cooperativa era quello associativo, che era sufficiente per l’insorgenza della tutela assicurativa, e non erano previste distinzioni di sorta sulle modalita’ di svolgimento del lavoro per l’inclusione nell’una o nell’altra categoria.

Va anche considerato che – per moltissimi anni – la attivita’ lavorativa svolta in autonomia, ed al di fuori della titolarita’ di un’impresa, non veniva in alcun modo tutelata dal punto di vista assicurativo. Invero nel 1924, epoca a cui risale la citata disposizione sui soci di cooperativa, l’unica tutela assicurativa era quella del lavoro subordinato, mentre non esisteva alcuna tutela per il lavoro autonomo di qualunque specie (risalendo solo agli anni cinquanta le prime assicurazioni di lavoratori autonomi, come coltivatori diretti, artigiani e commercianti).

Applicando la nuova legge anche per il passato, i soci di cooperativa svolgenti per essa attivita’ lavorativa, non in regime di subordinazione, ma in regime di autonomia, non riceverebbero tutela previdenziale di sorta. Ne’, in prosieguo, costoro avrebbero potuto essere iscritti presso le gestioni Inps per i lavoratori autonomi, ossia artigiani, commercianti e coltivatori diretti, non avendo la titolarita’ dell’impresa, o comunque gli altri requisiti imprescindibili previsti dalla legge per l’accesso a questo tipo di tutela (cfr. per gli artigiani L. 29 dicembre 1956, n. 1533, art. 1 e L. 4 luglio 1959, n. 463; per i commercianti L. 27 novembre 1960, n. 1397, art. 1 e L. 22 luglio 1966, n. 612; per i coltivatori diretti L. 22 novembre 1954, n. 1139, art. 12 e L. 26 ottobre 1957, n. 1047).

Invero la L. n. 142 del 2001 – la quale, come rilevato, ricollega la tutela previdenziale a quella propria del rapporto di lavoro, che puo’ essere subordinato o autonomo, che si affianca a quello associativo – interviene in epoca in cui a “tutte” le attivita’ lavorative viene garantita la tutela previdenziale, nel quadro della ed. “universalizzazione” delle tutele, che prima non esisteva.

La tutela previdenziale del lavoro autonomo, inteso come lavoro parasubordinato, al di fuori della titolarita’ dell’impresa, di prestazione coordinata e continuativa ex art. 409 c.p.c. sorse solo con la L. 8 agosto 1995, n. 335.

La disposizione fondamentale si trova alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26 il quale prevede la costituzione presso l’Inps di una ed. gestione separata (c.d. quarta gestione) in cui devono essere iscritti quei lavoratori autonomi che svolgono attivita’ professionale per la quale non e’ prevista l’iscrizione in albi o in elenchi.

Il medesimo comma 26, ai fini della individuazione dei soggetti tenuti all’iscrizione a detta gestione separata, traccia poi una fondamentale bipartizione:

a) i “lavoratori parasubordinati” in senso proprio, e cioe’ coloro che percepiscono redditi da collaborazione continuativa e coordinata (ultima parte del citato comma 26);

b) i “lavoratori autonomi” in senso stretto e cioe’ coloro che godono di redditi derivanti da attivita’ di lavoro autonomo, svolta come professione abituale, ancorche’ non esclusiva.

Dalla distinzione del tipo di lavoro svolto conseguirebbe che i soci di cooperativa lavoratori autonomi dovrebbero essere assicurati nelle forme previste per la gestione separata presso l’Inps (il citato L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26), ma cio’ e’ possibile solo a partire dalla data di entrata in vigore di quella disposizione, e quindi dal gennaio 1996, mentre per tutto il lungo periodo precedente costoro, pur lavorando per la cooperativa, e quindi essendo astretti ad una subordinazione tecnico funzionale, sarebbero stati privi di ogni tutela, a causa della mancanza di subordinazione in termini giuridici.

In definitiva, le precedenti argomentazioni dimostrano che il sistema previgente, che ancora non conosceva la articolazione e la complessita’ delle tutele introdotte nel corso di quasi sessant’anni di storia, non si presta in alcun modo alla sussunzione nel sistema introdotto dalla nuova L. n. 142 del 2001.

3.3. Conclusivamente, si deve confermare l’indirizzo giurisprudenziale precedente enunciando il seguente principio: “In riferimento al regime anteriore all’entrata in vigore della L. n. 142 del 2001, le societa’ cooperative, in virtu’ del R.D. n. 1422 del 1924, art. 2, comma 3 – il quale dispone che dette societa’ “sono datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da esse assunti”-sono da considerare ai fini previdenziali come datrici di lavoro rispetto ai soci assegnati a lavori dalle stesse assunti, con la conseguenza dell’assoggettamento a contribuzione previdenziale presso la gestione lavoratori dipendenti dei compensi corrisposti ai propri soci che abbiano svolto attivita’ lavorativa, indipendentemente dalla sussistenza degli estremi della subordinazione”.

4. Alla stregua di tali principi, il ricorso va respinto. La ricorrente va condannata alla rifusione delle spese nei confronti dell’Istituto, secondo soccombenza, con liquidazione in dispositivo, mentre non occorre provvedere, al riguardo, nei confronti della SCCI, che non ha svolto difese.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, in favore dell’INPS, liquidate in euro tremila per onorari, oltre accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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