Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11134 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 28/04/2021), n.11134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30889-2019 proposto da:

N.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCA SCARPA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FISCIANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCREZIA

RISPOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2062/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

l’08/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

Il Comune di Fisciano notificava in data 25.11.2016 a N.G. tre avvisi di accertamento Tarsu per gli anni di imposta 2010, 2011 e 2012 con riferimento ad un box sito in quel territorio.

La contribuente impugnava avanti alla CTP di Salerno tali atti contestando il difetto di motivazione, la carenza del presupposto impositivo previsto dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, e la prescrizione della pretesa tributaria azionata. Con sentenza n. 5497/2017 la CTP rigettava il ricorso che veniva gravato dalla contribuente avanti alla CTR della Campania, sezione distaccata di Salerno. Con sentenza nr 2062 del 2019 il giudice di appello escludeva che fosse maturato il quinquennio prescrizionale previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161. Rilevava la correttezza della sentenza laddove aveva ritenuto sussistenti i presupposti impositivi del tributo in considerazione delle caratteristiche del locale suscettibile di produrre rifiuti.

Avverso tale sentenza N.G. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste il Comune di Fisciano con controricorso illustrato da memoria.

Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’omessa pronuncia in ordine all’eccepita prescrizione della pretesa impositiva sollevata sin dal primo grado di giudizio, ma in merito alla quale la CTR non avrebbe adottato alcuna decisione. Con il secondo motivo si lamenta “Falsa applicazione e violazione dell’art. n. 5”, in relazione alla mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio cui la CTR non avrebbe dato ingresso senza fornire al riguardo alcuna motivazione. Il primo motivo è inammissibile.

La CTR ha infatti pronunciato sulla questione relativa alla prescrizione ritenendo che non fosse maturato il termine di prescrizione quinquennale previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.

La censura non si confronta con la ratio decidendi che non viene minimamente scalfita dalla ricorrente e non esplicita le ragioni per cui la stessa deve ritenersi errata, in palese violazione delle prescrizione di cui all’art. 366, comma 1, n. 4. Tale norma stabilisce infatti che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione sicchè la censura che non rispetti tale requisito considerarsi nulla per inidoneità al raggiungimento dello scopo (cfr. Cass. n. 15517 del 2020; Cass. n. 21296 del 2016; Cass. n. 187 del 2014).

Il secondo motivo va disatteso.

Giova ricordare che la consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio – e non una prova vera e propria – sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (cfr. Cass. n. 21904 del 2020; Cass. n. 598 del 2019).

E’ infatti solo nell’ambito cognitorio che si può accertarsi l’influenza e l’utilità di una indagine tecnica.

A ciò va aggiunto che la consulenza tecnica d’ufficio ha la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, sì che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. n. 30218 del 2017; Cass. n. 3130 del 2011).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 650,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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