Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11133 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 28/04/2021), n.11133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30675-2019 proposto da:

C.R. COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24,

presso lo studio del Dott. MARCO GARDIN, rappresentata e difesa

dall’avvocato CARLO CAFORIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 777/23/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA SEZIONE DISTACCATA di LECCE, depositata

l’11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR della Puglia, sezione distaccata di Lecce, rigettava l’appello proposto dalla C.R. Costruzioni s.r.l. avverso la pronuncia della CTP di Brindisi con cui era stato rigettato il ricorso della contribuente nei riguardi di un avviso di accertamento emesso ai fini Ires, Irap ed Iva relativo al recupero a tassazione di costi non deducibili ai fini dell’imposte dirette e non detraibili ai fini Iva per l’anno 2007. Rilevava la infondatezza del gravame alla luce dei riscontri del processo verbale di constatazione non considerato dai primi giudici dai quali emergeva, in relazione al soggetto che aveva emesso le fatture in contestazione, la mancanza di uomini, mezzi e materiali per poter operare, circostanze queste che non erano state oggetto di concreta contestazione da parte della contribuente nel giudizio di primo grado.

La società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 112c.p.c., e dell’art. 118disp. att. c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere la sentenza impugnata nulla perchè corredata da motivazione meramente apparente.

Si lamenta infatti che la decisione sarebbe carente dell’illustrazioni delle critiche mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto il giudice del gravame a disattenderle, non essendo sufficiente una mera condivisione di quanto statuito dai primi giudici.

Si duole in particolare che la CTR avrebbe omesso di esaminare le prove offerte dalla società e di spiegare le ragioni per le quali le doglianze della contribuente non potessero essere accolte.

Con il secondo motivo si denuncia l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver il giudice di merito omesso di esaminare gli elementi di prova offerti dalla ricorrente ed esternare le ragioni per le quali tali elementi non sono stati ritenuti determinanti ai fini del proprio convincimento.

Il primo motivo è infondato traducendosi, in realtà, in una globale censura sull’adeguatezza e sufficienza della motivazione, non più denunciabile a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modif. nella L. 7 agosto 2012 n. 134, che ha circoscritto il controllo del vizio di legittimità alla verifica del requisito “minimo costituzionale” di validità prescritto dall’art. 111 Cost., sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale requisito minimo non risulta soddisfatto, invero, soltanto quando ricorrano quelle stesse ipotesi che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e che determinano la nullità della sentenza (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile), mentre al di fuori di esse residua soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che è stato oggetto di discussione e che sia “decisivo”, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014).

Ciò posto la decisione si pone al di sopra del c.d. ” minimo costituzionale”.

La CTR, individuato l’oggetto dell’impugnativa diretta al riconoscimento dell’effettiva esecuzione delle prestazioni eseguite dal L., ha ritenuto infondato il gravame valorizzando i riscontri del processo verbale di constatazione, trascurati dal primo giudice, dai quali emergeva l’assoluta mancanza di uomini, mezzi e materiali per poter operare da parte della ditta L., circostanze queste che non avevano formato oggetto di concreta contestazione da parte della società contribuente in primo grado.

Il giudice di appello ha quindi individuato le fonti del suo convincimento ed ha spiegato, sia pure in modo succinto, le ragioni per le quali ha ritenuto fondata la pretesa impositiva.

Il secondo motivo è inammissibile.

Giova ricordare che ai fini posti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il fatto decisivo è costituito da un vero e proprio fatto – inteso in senso storico e normativo, un accadimento ovvero uno specifico dato materiale – e non anche da mere argomentazioni ovvero (così come nella fattispecie) dal complesso delle deduzioni difensive e dei dati esposti nella motivazione dell’avviso di accertamento (cfr. Cass. n. 26305 del 2018 e Cass. n. 27415 del 2018).

E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico o per lamentarsi di una “motivazione non corretta” o ancora per lamentare l’omesso esame di “una o più questioni giuridiche sottoposte all’esame dei giudici di secondo grado nell’ambito di quella domanda o di quella eccezione”, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente le risultanze probatorie descritte a pag. 7 del ricorso.

Le considerazioni svolte nella memoria illustrativa non consentono di pervenire ad una conclusione diversa da quella sin qui raggiunta.

Per quanto riguarda, in particolare, la sentenza penale di assoluzione, va ricordato che l’accertamento posto in essere in sede penale, anche quando riguardi gli stessi fatti posti a fondamento dell’accertamento tributario, non vincola il giudice del procedimento civilistico, stante l’autonomia dei giudizi da esprimersi nei due processi. Questa Corte ha al riguardo affermato che in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. n. 16262 del 2017)

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 4.100,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

 

 

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