Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1113 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 20/01/2020), n.1113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13389-2014 proposto da:

C.U.L.M.V. P.B. S.C.A.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RODOLFO BOZZO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, ANTONINO

SGROI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 459/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 20/11/2013 R.G.N. 423/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SERGIO VACIRCA;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 28.11.2013, la Corte d’appello di Genova ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato l’opposizione proposta da C.U.L.M.V. P.B. s.c. a r.l. avverso talune cartelle esattoriali con cui le era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per contributi previdenziali omessi, sul presupposto che non avesse più diritto alla conservazione del regime di applicazione graduale dell’incremento delle aliquote di finanziamento dovute sulle retribuzioni versate al Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

La Corte, in particolare, ha anzitutto ritenuto (come già il primo giudice) la novità e conseguente inammissibilità della prospettazione avanzata da C.U.L.M.V. nelle note difensive depositate in vista dell’udienza di discussione in primo grado, volta a conservare il regime di favore anche in considerazione dell’aggravio contributivo derivante dalla sopravvenuta incapienza delle aliquote dei contributi minori a compensare l’incremento di quelle relative ai contributi da versare al Fondo pensioni lavoratori dipendenti; sotto altro profilo, ha ritenuto che, una volta avvenuta la parificazione degli imponibili contributivi relativi alle società cooperative con quelli in vigore per gli altri datori di lavoro privati, venisse a mancare la base su cui calcolare il regime di favore, essendo quest’ultimo precedentemente applicato mediante lo spostamento progressivo tra l’aliquota da versare sulla retribuzione effettiva e quella residua da versare sulla retribuzione convenzionale.

Avverso tale pronuncia, C.U.L.M.V. ha ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, illustrati con memoria. L’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 112,113 e 132 c.p.c., con riferimento anche all’art. 118 att. c.p.c., e per falsa applicazione degli artt. 416 e 437 c.p.c., per avere la Corte di merito, con motivazione apodittica, ritenuto la novità e conseguente inammissibilità della prospettazione da essa avanzata nelle note conclusive del giudizio di primo grado, secondo la quale il proprio diritto alla conservazione del beneficio dell’applicazione progressiva dello spostamento delle aliquote sarebbe derivato anche dall’aggravio contributivo connesso alla sopravvenuta incapienza delle aliquote dei contributi minori a compensare l’incremento di quella relativa ai contributi da versare al Fondo pensioni lavoratori dipendenti, giusta la previsione del L. n. 388 del 2000, art. 120, che, riconoscendo a tutti i datori di lavoro un esonero dal versamento dei contributi sociali per assegni per nucleo familiare pari a 0,8 punti percentuali, aveva automaticamente reso impossibile che, mediante lo spostamento al Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’aliquota CUAF (divenuta, a seguito dell’esonero, pari al 3,20%), venisse compensata la maggior aliquota del 3,72% da versare al Fondo stesso.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione della L. n. 30 del 1997, art. 27, comma 2-bis, L. n. 388 del 2000, art. 120, comma 1, L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 361-362, per avere la Corte territoriale ritenuto che, una volta parificatisi gli imponibili contributivi dovuti dalle società cooperative rispetto a quelli degli altri datori di lavoro, con definitiva soppressione del meccanismo di calcolo dei contributi basato sulle retribuzioni convenzionali, essa avesse perduto il beneficio dell’applicazione graduale degli incrementi contributivi mediante lo spostamento progressivo delle aliquote, essendo quest’ultimo precedentemente operato tra l’aliquota da versare sulla retribuzione effettiva e quella residua da versare sulla retribuzione convenzionale.

I motivi debbono essere esaminati congiuntamente, stante l’intima connessione delle questioni da affrontare, e sono entrambi infondati.

Giova al riguardo premettere che la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 23, ha previsto che a far data dal 1.1.1996 l’aliquota contributiva di finanziamento dovuta a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti sarebbe stata elevata al 32%, con contestuale riduzione delle aliquote contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee a carico della gestione di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 24 (c.d. contributi minori).

A seguito dell’adozione del decreto di attuazione della disposizione cit., che ha determinato il maggior onere nella misura del 4,43%, è pacifico in punto di fatto che la ricorrente, che è una società cooperativa a responsabilità limitata che calcolava i contributi dovuti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti sulle retribuzioni effettive corrisposte ai propri soci-lavoratori, limitando ai soli contributi minori la facoltà concessale dal D.P.R. n. 602 del 1970, art. 4 di calcolarli sugli imponibili convenzionali, si è trovata a subire un aggravio in pari percentuale sul differenziale tra l’imponibile utilizzato per i contributi da versare al Fondo e quello relativo ai contributi minori, ed è stata pertanto ammessa a godere del beneficio dell’applicazione progressiva dello spostamento delle aliquote, introdotto dal D.L. n. 669 del 1996, art. 27, comma 2-bis, (conv. con L. n. 30 del 1997), che ha previsto che, qualora dall’incremento delle aliquote da versare al Fondo pensioni lavoratori dipendenti fossero derivati aumenti contributivi effettivi a carico dei datori di lavoro, tali aumenti sarebbero stati applicati mediante un incremento di 0,50 punti percentuali ogni due anni con inizio al 1.1.1997.

Del pari è pacifico che, a far data da allora, coerentemente con quanto previsto dalla circolare INPS n. 77/1997, la ricorrente ha incrementato l’aliquota del Fondo pensioni da calcolare sulla retribuzione effettiva nella misura di 0,50 punti percentuali, riducendo a 3,93 punti percentuali la residua aliquota trasferita da computare sulla retribuzione convenzionale, e altrettanto ha fatto nei bienni successivi fino al 2006, allorchè l’INPS, sul presupposto dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 423 del 2001, art. 3, comma 4, (che aveva previsto che a far data dal 1.1.2007 anche i contributi dovuti dalle società cooperative venissero calcolati secondo le previsioni di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 1 conv. con L. n. 389 del 1989, ossia sulle retribuzioni effettive dovute), ha ritenuto che fosse venuta meno tale possibilità: come si legge nella circolare INPS n. 23/2007, posto che al 31.12.2006 la quota residua da calcolare sulla differenza tra la retribuzione effettiva e la retribuzione convenzionale risultava fissata nella misura di 1,93 punti percentuali (vale a dire in misura pari all’ultimo incremento dell’aliquota di finanziamento del Fondo pensioni lavoratori dipendenti pari a 0,50 da calcolare sulle retribuzioni effettive), il venir meno della differenziazione tra gli imponibili giornalieri da prendere a riferimento per il calcolo delle aliquote determinava automaticamente la perdita del beneficio.

Tale conclusione è stata avversata dalla ricorrente sul rilievo che, nel sistema delineato dal legislatore del 1996, gli incrementi contributivi effettivi possono concettualmente derivare sia dall’eventuale diversità di imponibile tra il contributo dovuto al Fondo pensioni lavoratori dipendenti e i contributi minori, sia dall’eventuale incapienza delle aliquote dei ridotti contributi minori a compensare l’aumento della contribuzione dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti, di talchè, avendo previsto la L. n. 388 del 2000, art. 120, comma 1, che a decorrere dal 1.2.2001 sarebbe stato riconosciuto a tutti i datori di lavoro un esonero dal versamento dei contributi sociali per assegni al nucleo familiare pari a 0,8 punti percentuali, con conseguente sopravvenuta inidoneità di quest’ultima a compensare l’aumento della contribuzione dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti, essa avrebbe dovuto e potuto conservare il beneficio del D.L. n. 669 del 1996, cit., art. 27, comma 2-bis, anche in epoca successiva a quella ritenuta dall’INPS e comunque fino al 31.12.2012.

Sennonchè, prima ancora di entrare nel merito dell’argomentazione di parte ricorrente circa la possibilità che la fruizione del beneficio in questione possa derivare sia dall’eventuale diversità di imponibile tra il contributo dovuto al Fondo pensioni lavoratori dipendenti e i contributi minori, sia dall’eventuale incapienza delle aliquote dei ridotti contributi minori a compensare l’aumento della contribuzione dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti, decisivo è rilevare che tale questione è stata introdotta nel presente giudizio non già con il ricorso introduttivo di primo grado, bensì solamente con le note conclusive rassegnate davanti al primo giudice, avendo fino ad allora la ricorrente argomentato il proprio diritto a conservare il beneficio sul duplice rilievo che il D.Lgs. n. 423 del 2001 non aveva abrogato nemmeno implicitamente il D.L. n. 669 del 1996, art. 27, comma 2-bis, e che l’incremento dell’imponibile sulle contribuzioni minori non era stato tale da allinearlo con la retribuzione di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 1 ma soltanto con il valore del c.d. minimale giornaliero, ben inferiore alla retribuzione sindacale e ancor più a quella corrisposta di fatto (così il ricorso per cassazione, pagg. 5-6).

Orbene, tale ultima argomentazione è stata disattesa dai giudici di merito con motivazione pienamente condivisibile. Come s’è dianzi evidenziato, gli “aumenti contributivi” che avevano abilitato l’odierna ricorrente a godere del beneficio di cui al D.L. n. 669 del 1996, art. 27, comma 2-bis, erano precisamente quelli rivenienti dall’innalzamento delle aliquote della contribuzione da versare al Fondo pensioni lavoratori dipendenti che non fossero compensati da diminuzioni delle aliquote relative alle contribuzioni previste a favore degli altri fondi: più precisamente, il differenziale derivava, in specie, dalla circostanza che l’aumento dell’aliquota del 4,43% produceva “un aggravio in pari percentuale sul differenziale tra l’imponibile utilizzato per i contributi IVS (paghe effettivamente corrisposte) e quello relativo alle contribuzioni minori (importo convenzionale)” (così il ricorso per cassazione, pag. 2), ed è proprio per ciò che la circolare INPS n. 77/1997 aveva previsto che l’aggravio avrebbe trovato graduale applicazione con la prevista cadenza biennale mediante incrementi dell’aliquota del Fondo pensioni lavoratori dipendenti da calcolare sulla retribuzione effettiva e corrispondenti riduzioni della residua aliquota trasferita da computare sulla retribuzione convenzionale, ossia mediante spostamenti progressivi tra l’aliquota da versare sulla retribuzione effettiva e quella residua da versare sulla retribuzione convenzionale. Conseguentemente, non può essere dubbio che il D.Lgs. n. 423 del 2001, art. 3, comma 4, disponendo che, dall’1.1.2007, la determinazione della retribuzione imponibile, ai fini del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dalle società cooperative avvenisse a norma del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, abbia annullato ogni differenza tra la retribuzione imponibile da prendere a base per il versamento di tutte le contribuzioni per i soci delle cooperative (cioè tra retribuzione effettiva e retribuzione convenzionale) e abbia dunque fatto venir meno il presupposto su cui l’odierna ricorrente calcolava la (minore) contribuzione pagata all’INPS.

Altrettanto condivisibile, ancorchè bisognevole di emenda ex art. 384 c.p.c., comma 4, è la decisione dei giudici di merito circa la novità e inammissibilità della prospettazione volta a conservare il regime di favore in considerazione dell’aggravio contributivo derivante dalla sopravvenuta incapienza delle aliquote dei contributi minori a compensare l’incremento di quelle relative ai contributi da versare al Fondo pensioni lavoratori dipendenti, a seguito dell’esonero di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 120, comma 1: diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, secondo la quale ci si troverebbe in specie in presenza di una mera ragione di diritto ulteriore rispetto a quella già indicata nell’atto introduttivo del giudizio, la L. n. 388 del 2000, art. 120, nel differenziare ai commi 1 e 2 le modalità di fruizione dell’esonero a seconda che i datori di lavoro operino o meno nei settori per i quali l’aliquota contributiva per assegni al nucleo familiare è fissata in misura inferiore a 0,8 punti percentuali, postula un accertamento di fatto diverso ed ulteriore rispetto a quello che era stato addotto a sostegno del fatto costitutivo del diritto a mantenere il beneficio di cui D.L. n. 669 del 1996, art. 27, comma 2-bis, ed è consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il principio di diritto secondo cui, nel rito del lavoro, si ha introduzione di una domanda nuova per modificazione della causa petendi non solo quando si adduca a fondamento del petitum un vero e proprio mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, ma anche quando si introduca nel giudizio un nuovo tema di indagine che alteri l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia così come delineati nel ricorso introduttivo (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 16298 del 2010, 15101 del 2012, 18761 del 2013, 6389 del 2017).

Pertanto, integrata negli anzidetti termini la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 1 5 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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