Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11125 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. un., 10/06/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 10/06/2020), n.11125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di sez. –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29621-2018 proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona dei curatori pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA PEZZALI, rappresentato e difeso dall’avvocato

CLAUDIO DE FEO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ERCOLANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1403/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 06/03/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La (OMISSIS) s.r.l. proponeva ricorso, dinanzi al T.a.r. Campania, chiedendo l’annullamento del provvedimento del Comune di Ercolano prot. n. 38657 del 17 novembre 2004 con cui l’Ente locale dichiarava di acquisire di diritto al suo patrimonio le opere edili nell’atto indicate e la relativa area di sedime di mq 2497,00 su cui insistevano le opere medesime, nonchè ulteriore area di mq 603,00 quale pertinenza, esponendo di avere presentato due istanze di condono edilizio, comprensive anche delle opere de quibus, necessarie per la delocalizzazione di alcuni impianti funzionali alle lavorazioni effettuate nei capannoni, che non erano ancora state esaminate dal Comune, e che il giudice adito, in accoglimento dell’istanza cautelare, aveva sospeso l’efficacia dell’atto amministrativo impugnato; aggiungeva che nelle more del giudizio la società ricorrente era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Napoli, con sentenza n. 254 del 3 settembre 2013, e che in data 12 novembre 2014 veniva comunicato – a mezzo PEC inviata al difensore costituito e non presso il suo studio, ove era stato eletto domicilio nel ricorso – alla società decreto decisorio di perenzione del giudizio n. 5374/2014, con la conseguenza che la ricorrente veniva a conoscenza dello stesso solo in data 14.01.2015; proseguiva che la curatela fallimentare depositava istanza di fissazione di udienza ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 1, comma 2 dell’art. 3 (norme transitorie) notificata in data 30 giugno 2015, che veniva respinta con ordinanza n. 4654 del 30 settembre 2015, con la quale veniva confermato il decreto di perenzione.

Impugnava l’ordinanza de qua la Pro.s.it. riproponendo la questione della violazione e della falsa applicazione dell’art. 36 c.p.a. per vizio nella comunicazione dell’avviso di perenzione, trattandosi di errore scusabile, oltre ad eccesso di potere, illegittimità costituzionale ed illogicità manifesta, ed il Consiglio di Stato, nella contumacia del Comune di Ercolano, con sentenza n. 1403 del 2018, respingeva l’appello, affermando che nella specie doveva ritenersi che la tardività rilevata dal Tribunale nella presentazione dell’istanza di fissazione d’udienza derivava non già dall’illegittimo utilizzo della PEC in luogo delle ordinarie forme di comunicazione, quanto piuttosto da una errata presentazione della originaria istanza di interesse al ricorso, vizio che aveva determinato la necessità di una notificazione e di un nuovo deposito, effettuato in data 30 giugno 2015, e quindi tardivamente. Nè era stato dimostrato che il decreto di perenzione fosse stato conosciuto solo in data 14 gennaio 2015, non invocabile nella specie l’istituto della rimessione in termini, considerato che l’art. 1, comma 2 delle Norme Transitorie era chiaro nel richiedere che nel termine di 180 giorni doveva essere effettuata anche la notificazione della dichiarazione di interesse.

Avverso la pronuncia del Consiglio di Stato ricorre per cassazione la Pro.s.it. con un unico complessivo ed articolato motivo.

Il Comune di Ercolano è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Va preliminarmente esaminata l’ammissibilità del ricorso in quanto confezionato in formato pdf e sottoscritto con firma digitale e non con sottoscrizione autografa.

Occorre al riguardo rilevare che, come può ricavarsi dagli atti, il ricorso è originato in formato analogico (cartaceo) come anche la procura; solo quest’ultima è sottoscritta con firma autografa, mentre il primo non reca alcuna sottoscrizione; entrambi gli atti, scansionati e firmati digitalmente, sono stati quindi notificati, unitamente alla relazione di notifica a mezzo posta elettronica certificata (si ricava invero dal messaggio di posta elettronica certificata che ad esso è allegato un file denominato “ricorso per Cassazione.pdf.p7m”, quest’ultima estensione indicando per l’appunto l’avvenuta autenticazione con firma digitale); copia cartacea degli stessi, della relata di notifica, del messaggio di posta elettronica certificata e delle ricevute di accettazione e consegna risulta quindi depositata in cancelleria, corredata dalla attestazione di conformità sottoscritta con firma autografa prescritta dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, commi 1-bis e 1-ter.

Tutto ciò conferisce al ricorso depositato in cancelleria prova della sua autenticità e provenienza, restando del tutto irrilevante che l’originale cartaceo del ricorso non recasse sottoscrizione autografa, la sua provenienza dal difensore munito di procura risultando comunque attestata sia dalla procura che ad esso accede (v. Cass. 23 marzo 2017 n. 7443; Cass. 1 agosto 2013 n. 18491; Cass. 3 ottobre 2006 n. 21326; Cass. 12 aprile 2005 n. 7551; Cass. 14 maggio 2003 n. 7485) sia dalla firma digitale apposta al documento notificato per via telematica.

Quanto poi al formato della firma digitale questa Corte ha già chiarito che in tema di processo telematico, a norma del D.Dirig. del 16 aprile 2014, art. 12 di cui al D.M. n. 44 del 2011, art. 34 – Ministero della Giustizia -, in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”. Tale principio di equivalenza si applica anche alla validità e alla efficacia della firma per autentica della procura speciale richiesta per il giudizio in cassazione, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 3, del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5 e art. 19-bis, commi 2 e 4 citato D.Dirig. (Cass., Sez. Un., 27 aprile 2018 n. 10266; anche, succ. conf., Cass. 29 novembre 2018 n. 30927).

Venendo all’esame dell’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente, ribadendo la tesi già sottoposta ai giudici amministrativi, in particolare i motivi di appello disattesi dal Consiglio di Stato, insiste nel sostenere che nel caso di specie la notifica di cancelleria del decreto di perenzione, avvenuta in data 12.11.2014 presso l’avv. Elio Cocorullo, procuratore della società in bonis, non poteva essere ritenuta valida perchè fatta a soggetto che non era più parte processuale dalla data di dichiarazione di fallimento, ossia dal 3 settembre 2013 e ciò in palese violazione della L. Fall., art. 43, comma 1. Aggiunge che alternativa alla ricostruzione sopra operata sarebbe stata l’applicazione dell’art. 37 codice di procedura amministrativa che stabilisce la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto.

Il motivo è inammissibile e con esso il ricorso, perchè ciò che con siffatta censura la società ricorrente lamenta sono meri errores in procedendo, i quali non possono, solo in ragione della gravità della violazione che si assume essere stata commessa, ridondare in un superamento degli ambiti propri della giurisdizione del giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., 25 luglio 2011 n. 16165; Cass., Sez. Un., 22 aprile 2013 n. 9687; Cass., Sez. Un., 18 novembre 2013 n. 25796; Cass., Sez. Un., 27 giugno 2018 n. 16973; Cass., Sez. Un., 30 luglio 2018 n. 20686; Cass., Sez. Un., 30 novembre 2018 n. 31103).

Secondo la costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite, infatti, la violazione di norme processuali costituisce error in procedendo, non vizio attinente alla giurisdizione per violazione dei suoi limiti esterni (ex multis, Cass., Sez. Un., 16849 del 2012; Cass., Sez. Un., n. 1378 del 2006; Cass., Sez. Un., n. 8229 del 2002).

In altri termini, gli ipotizzati errori non ineriscono nè all’essenza della giurisdizione nè al superamento dei limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata (Cass., Sez. Un., 9 luglio 2018 n. 20168). Non è infatti consentita la censura della sentenza con la quale il giudice amministrativo adotti una interpretazione di una norma processuale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda ed in tal senso è intervenuta la Corte costituzionale (sentenza n. 6 del 2018), che ha ridimensionato drasticamente quell’ambito non solo escludendo in radice ogni legittimità dell’interpretazione estensiva (sulla base del concetto funzionale od evolutivo o dinamico della giurisdizione), ma pure circoscrivendo sensibilmente l’operatività della giurisprudenza maggioritaria.

Il Giudice delle leggi ha invero statuito che la tesi che il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando non può qualificarsi “evolutiva” o “dinamica”, perchè irrimediabilmente illegittima in quanto incompatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale.

Pertanto, deve ritenersi inammissibile ogni interpretazione che consenta una più o meno completa assimilazione del ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per “motivi inerenti alla giurisdizione” con il ricorso in Cassazione per violazione di legge (punto 11 delle ragioni in diritto della qui esaminata sentenza della Consulta), visto che l’intervento delle Sezioni Unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU. Ne consegue che l'”eccesso di potere giudiziario” va riferito alle sole ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, nonchè a quelle di difetto assoluto di giurisdizione, cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermino la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghino sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento).

La medesima pronuncia della Consulta esclude poi che il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato, ammetta soluzioni intermedie, come quella secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle norme di riferimento, poichè “attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”.

Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna pronuncia sulle spese processuali di questo giudizio di cassazione in difetto di difese da parte dell’ente comunale, rimasto intimato.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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