Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11122 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/04/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 28/04/2021), n.11122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8055-2019 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI N.

58, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CANCRINI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA,

56, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA RANIERI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA GIRARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 201/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 31/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.G. convenne in giudizio, R.G., in proprio e quale titolare dell’omonima ditta individuale Centro Sportivo Promescaiol di R.G., per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 93.809,42, oltre interessi e rivalutazione, che assumeva aver subito a seguito di una caduta avvenuta in data 30 luglio 2012, all’interno del centro sportivo, invocando la responsabilità della parte convenuta ai sensi dell’art. 2051 o, in subordine, dell’art. 2043 c.c..

Si costituì il R. chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Trento, con sentenza pubblicata il 12 maggio 2017, rigettò la domanda, sul rilievo della carenza di prova del nesso eziologico tra i danni lamentati dall’attore e la cosa posta in custodia della parte convenuta, asseritamente causativa del danno.

Avverso tale sentenza il T. propose gravame, dei quale il R., costituendosi anche in secondo grado, chiese il rigetto.

La Corte di appello di Trento, con sentenza pubblicata il 31 luglio 2018, rigettò l’impugnazione e condannò l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte di merito T.G. ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi e illustrato da memoria, cui ha resistito R.G. con controricorso.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione degli artt. 1227,2043,2051 e 2697 c.c., riguardo all’onere probatorio a carico del danneggiato in tema di responsabilità del custode in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, il ricorrente sostiene che la Corte di merito si sarebbe limitata ad asserire genericamente che non “risulta credibile la ricostruzione dei fatti”, avrebbe omesso di prendere in considerazione “l’onere probatorio, a carattere liberatorio, spettante al custode… anche in ordine alla eventuale condotta colposa della vittima in relazione all’art. 1227 c.c., comma 1”, avrebbe “del tutto omesso l’indagine sui presupposti del caso fortuito, avuto riguardo alla posizione del custode”, avrebbe “reputato sussistente un’ipotesi di caso fortuito prendendo in esame unicamente la condotta della vittima, qualificata come negligente, ma senza esaminare se quella condotta (i.e. il camminare o, al più, il tentare di correre) potesse ritenersi imprevedibile, eccezionale o anomala da parte del custode”.

In definitiva la sentenza impugnata sarebbe, ad avviso del ricorrente, gravemente censurabile perchè si limiterebbe unicamente ad esaminare in modo approssimativo la posizione del danneggiato e non l’onere spettante, a fini probatori, al custode (v. ricorso p. 10).

1.1. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva (Cass., ord., 22/12/2017, n. 30775; Cass., ord., 30/10/2018, n. 27724). E’ stato pure in particolare affermato che la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicchè, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass., ord., 1/02/2018, n. 2480; Cass., ord., 30/10/2018, n. 27724; Cass., ord., 3/04/2019, n. 9315; v. pure 5409/19).

Va pure evidenziato che nel sistema processualcivilistico vigente opera il principio cosiddetto dell’acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza (Cass., ord., 25/02/2019, n. 5409).

Nella specie la Corte di merito risulta aver correttamente applicato i principi appena richiamati, avendo ritenuto, sulla base di un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede (v. anche quanto appresso indicato in relazione alla valutazione delle risultanze istruttorie), che il T. non abbia assolto l’onere probatorio, posto a suo carico, circa il nesso eziologico tra la cosa in custodia e i pregiudizi lamentati, rimarcando che il medesimo non ha offerto prova adeguata dell’esistenza di una buca nel terreno che ne avrebbe cagionato la caduta, e ha, altresì, ritenuto che la caduta dell’attuale ricorrente sia “verosimilmente occorsa in un contesto difforme rispetto a quello di normale utilizzo della cosa oggetto di custodia” (terreno di un campo di minigolf), evidenziando, inoltre, che al momento della verificazione del sinistro, vi erano, in ogni caso, condizioni di visibilità ottimali, tali da consentire al T. di avvistare eventuali anomalie del terreno, ove avesse tenuto la dovuta cautela nel compiere i propri movimenti (lo stesso ricorrente, in ricorso, deduce che, nell’occorso, “tentò di correre” sul terreno del campo di minigolf “per evitare che la bambina seduta sulla staccionata cadesse”), sicchè non può sostenersi che la Corte territoriale non abbia valutato la condotta del T..

2. Con il secondo motivo il ricorrente – in relazione alla ritenuta non provata, da parte dell’attore, esistenza di una buca nel terreno, che ne avrebbe provocato la caduta – denuncia la nullità della sentenza impugnata per motivazione contraddittoria, perplessa, obiettivamente incomprensibile e, comunque, apparente, non rendendo individuabile la ratio decidendi su cui si basa la decisione della Corte territoriale.

2.2. Il motivo è infondato, essendo la sentenza impugnata motivata e la motivazione non è apparente, nè intrinsecamente contraddittoria o perplessa nè incomprensibile, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, avendo la Corte territoriale indicato chiaramente le ragioni poste a fondamento della decisione.

3. Con il terzo motivo si deduce “Violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione al principio giuridico del prudente apprezzamento, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Sostiene il ricorrente che la Corte di merito, a fronte di una 9(deposizione testimoniale – a suo avviso – precisa e circostanziata, resa da sua moglie, S.M., che aveva riferito dell’esistenza di una buca profonda e larga, non solo non avrebbe valutato la rilevanza probatoria di tale affermazione ma si sarebbe limitata a definire tale dichiarazione non idonea ai fini della credibilità dei fatti, senza peraltro motivare sull’attendibilità della teste e sulla sua buona fede, in tal modo rendendo palese la mancanza di un prudente e diligente apprezzamento delle risultanze probatorie.

Il T. lamenta pure che la Corte territoriale avrebbe “frettolosamente liquidato” la deposizione del teste T.M. come “resa de relato”, omettendo di considerare che tale teste aveva riferito di essersi recato su luogo del sinistro con la S., che gli aveva mostrato dove si era verificato l’incidente, e denuncia, infine, che la Corte di merito avrebbe tralasciato di considerare i fatti appresi direttamente da T.M. e non avrebbe motivato sull’attendibilità di tale teste e degli ulteriori due testi R., figli del ricorrente, che si erano trincerati dietro un “non ricordo”, in contrasto con il materiale fotografico depositato del loro stesso padre.

3. Il motivo è inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non essendo state riportate testualmente ed integralmente le deposizioni dei testi cui si fa riferimento in ricorso e tendendo, comunque, il motivo ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, non consentita in questa sede (v. a tale ultimo riguardo, Cass. n. 23940/17).

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez, un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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