Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11121 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. I, 07/05/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 07/05/2010), n.11121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI SCORDIA (P.I. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 32,

presso l’avvocato FISCHIONI GIUSEPPE, rappresentato e difeso dagli

avvocati CITTADINO SALVATORE, BURTONE AGATA, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.E. (c.f. (OMISSIS)), S.M. (C.F.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO

23, presso l’avvocato MAGIOCI CLAUDIO, rappresentati e difesi

dall’avvocato FATUZZO GIOVANNI, giusta procura speciale per Notaio

RAFFAELE FATUZZO di CATANIA – Rep. n. 22253 del 21.5.09;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1224/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 07/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. GIANCOLA Maria Cristina;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato GIOVANNI FATUZZO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo del ricorso con l’assorbimento degli altri motivi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30.05.1991, E. e S. M., nella rispettiva qualita’ di proprietario e di affittuario di un fondo rustico coltivato ad agrumeto, esteso Ha 12, adivano il Tribunale di Caltagirone e premesso anche che il Comune di Scordia aveva assoggettato a procedimento di esproprio ed occupato altri appezzamenti di terreno contigui al primo, sui quali insisteva un pozzo irriguo, e che nella realizzazione delle opere pubbliche cui l’esproprio era preordinato, l’agrumeto era stato privato del preesistente sistema d’irrigazione nonche’ suddiviso in plurime porzioni intercluse ed incoltivabili, chiedevano la condanna del convenuto Comune al risarcimento dei danni subiti.

Con sentenza non definitiva del 23.05 – 8.06.2001, il Tribunale di Caltagirone dichiarava l’illegittimita’ della procedura espropriativa relativa sia al terreno contiguo che a quello cui si riferiva la pretesa risarcitoria in esame e disponeva la prosecuzione del giudizio per la liquidazione dei danni da accessione invertita, ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis.

Questa sentenza veniva impugnata in via principale dai S., che si dolevano anche del fraintendimento delle loro domande introduttive, ed in via incidentale dal Comune, che pure ribadiva le eccezioni d’inammissibilita’ delle medesime domande e d’incompetenza del Tribunale in favore della Corte d’appello, funzionalmente competente in unico grado.

Con sentenza del 29.07 – 7.12.2004, la Corte di appello di Catania in riforma della sentenza di primo grado, condannava il Comune di Scordia a pagare ad S.E. la somma di Euro 220.050,00 ed a S.M. la somma di Euro 24.450,00, con rivalutazione monetaria dal 1991 alla data della pronuncia e con gli interessi legali su tali somme annualmente rivalutate dal 1991 alla data di effettivo soddisfo, nonche’ a pagare le spese del grado.

La Corte territoriale, rilevato anche che, sia pure con motivazioni diverse, le parti avevano concordato sulla sua competenza a conoscere della vicenda controversa, osservava e riteneva in sintesi:

che il Tribunale aveva male interpretato la domanda introduttiva dei S. e dichiarato l’illegittimita’ del procedimento d’esproprio inerente al fondo contiguo nonche’ l’illegittimita’ di un mai avviato procedimento d’esproprio anche del fondo adibito ad agrumeto che altri tratti di terreno appartenenti anch’essi ad S.E. e contigui a quello destinato ad agrumeto erano stati oggetto di procedure di occupazione d’urgenza e di esproprio non definito tempestivamente ne’ con decreto ablativo ne’ con contratto di cessione volontaria, vicenda per la quale i medesimi S. avevano introdotto diverso giudizio d’indole risarcitoria, di cui avevano prodotto alcuni atti che non potevano trovare applicazione le norme in tema di effetti sui fondi residui di un provvedimento di esproprio, per mancanza del necessario presupposto costituito da un valido provvedimento ablativo che dall’esito dell’espletata CTU risultava, come dedotto dai S., che l’esecuzione delle opere pubbliche (strade) aveva compromesso il sistema d’irrigazione del fondo adibito ad agrumeto nonche’ determinato la sua suddivisione in plurime porzioni intercluse ed in coltivabili – che in ordine al risarcimento e data anche l’infondatezza degli specifici rilievi mossi dal Comune, poteva essere recepita la condivisa stima del CTU, riconducendo il danno all’importo differenziale tra il maggior valore del fondo agrumetato rispetto a quello del fondo utilizzabile solo come seminativo non irrigato.

Avverso questa sentenza, notificatagli il 14.01.2005, il Comune di Scordia ha proposto ricorso per cassazione notificato il 14.03.2005 ed affidato a 4 motivi. I S. hanno resistito con controricorso notificato il 21.04.2005. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il Comune di Scordia denunzia:

1. “Violazione e mancata applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 40 e 46 – Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – Carenza di motivazione”.

Sostiene che anche se era mancata l’adozione tempestiva del decreto d’esproprio, i danni avrebbero dovuto essere indennizzati ai sensi delle rubricate norme perche’ i S. avevano proposto la cessione bonaria.

La censura non ha pregio, dal momento che non si verte in ipotesi di indennizzo conseguente all’evento espropriativo o alla cessione volontaria, per atti legittimamente compiuti dalla P.A., L. n. 2359 del 1865, ex artt. 40 e 46 ma di risarcimento da responsabilita’ aquiliana del danno arrecato al soprassuolo ed il fatto che secondo la stessa prospettazione del ricorrente la cessione volontaria fosse stata solo “proposta” ma non convenuta, non consente di ritenere erronea la diversa qualificazione data alla domanda con le conseguenti determinazioni.

2. “Violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – Violazione degli artt. 184 e 187 c.p.c. – Omessa motivazione – Violazione dell’art. 112 c.p.c.”.

Si duole che i giudici d’appello non si siano pronunciati sulle riproposte istanze istruttorie di ammissione dell’interrogatorio formale e della prova per testi, gia’ disattese dal Tribunale.

La censura e’ inammissibile per difetto di autosufficienza, dal momento che non risulta trascritto il motivo d’appello che si assume non deciso (cfr, cass. 20001413:5) ne’ il contenuto delle prove orali disattese dal Tribunale e in asserto riproposte in appello (cfr.

Cass. 200519051) ed ancora che non e’ stato nemmeno precisato se le istanze istruttorie in argomento fossero state ribadite nelle conclusioni rassegnate dinanzi al primo giudice (cfr. tra le altre, Cass. 200825157).

3. “Violazione sotto altro profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – Carenza e contraddittorieta’ della motivazione- Violazione dell’art. 196 c.p.c. – Violazione dell’art. 2043 c.c. – Violazione dell’art. 2697 c.c. – Omessa verifica del rapporto di causalita’ tra presunto fatto causativo del danno e danno accertato”.

Il Comune sostiene in sintesi:

– che i giudici di merito non hanno compiutamente verificato l’esistenza dei danni ed il relativo ammontare economico e che hanno acriticamente aderito alle conclusioni del CTU, omettendo, come da lui chiesto, di richiamare l’esperto d’ufficio per chiarimenti, nonche’ di valutare appieno le risultanze peritali, cosi’ pervenendo a determinare il presunto danno pure in assenza di riscontri probatori sull’an e sul quantum ed esonerando la controparte dal relativo onere;

– che l’indagine tecnica d’ufficio era stata lacunosa, dal momento che il CTU non aveva chiarito se i terreni erano gia’ stati abbandonati, come invece emergeva dalla documentazione prodotta, nonche’ se i S. potevano contare su sistemi alternativi d’irrigazione, ne’ indagato sull’approvvigionamento idrico precedente, o ancora spiegato la conclusione circa l’ottimo stato vegetativo dell’agrumeto;

che l’importo del risarcimento non e’ giustificato, posto anche che nulla si dice sul costo di ripristino dell’impianto e la possibilita’ di ridare produttivita’ all’agrumeto;

– che non si e’ tenuto conto del vantaggio futuro tratto dal successivo esproprio, per il quale era stato riscosso un cospicuo indennizzo, non rapportabile ad un terreno solo seminativo ne’ della prodotta nota in data 22.02.1993, del Dirigente del Comune.

Il motivo in tutti i suoi profili e’ inammissibile.

Dal tenore della pronuncia impugnata emerge che la Corte distrettuale ha riconosciuto esaurienti e convincenti le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, verificando anche l’attendibilita’ dell’iter argomentativo seguito dal nominato esperto, cosi’ irreprensibilmente pervenendo alla ragionata accettazione dei relativi risultati, previo pure puntuale rigetto delle contrarie, specifiche deduzione del Comune (pagg. 6 e 7), di tal che si rivela anche incensurabile il mancato esercizio del potere di riconvocare a chiarimenti il CTU. D’altra parte, la consulenza tecnica di ufficio, pur non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perche’ volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, puo’ essere dal giudice utilizzata anche per accertare i fatti stessi (consulente percipiente) quando, come nella specie, l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche, ed in tal caso e’ necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto (cfr cass. SU 199609522; cass 200906155). Per il resto le censure si risolvono o in generiche ed apodittiche critiche ed in rilievi di errori valutativi in ordine agli elementi assunti, da cui non e’ dato desumere illogicita’ o carenze motivazionali decisive, e che essenzialmente appaiono volti a conseguire in questa sede un non consentito piu’ favorevole apprezzamento dei medesimi dati, o in prospettazione di nuovi temi di dibattito non deducibili per la prima volta in questa sede o ancora in prospettazione di accadimenti che lo stesso Comune avrebbe semmai avuto l’onere di dimostrare nel giudizio di merito.

4. “Violazione dell’art. 92 c.p.c.”.

Il Comune censura la sua condanna alle spese processuali, sostenendo che avrebbero dovuto essere poste a carico dei S. in ragione dell’infondatezza delle loro pretese. La censura non e’ fondata, dal momento che la Corte distrettuale ha ineccepibilmente regolato le spese processuali sulla base dell’esito del giudizio ed in aderenza al principio di soccombenza, di cui all’art. 91 c.p.c..

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del soccombente Comune di Scordia al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il Comune di Scordia a rimborsare ai S. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, l’11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

 

 

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