Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11118 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. III, 10/06/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 10/06/2020), n.11118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14345-2016 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, V.R. MALLET 29,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA DE AMICIS, rappresentata e

difesa dall’avvocato FERNANDO PALERMO;

– ricorrente –

contro

A.A., D.M.L.;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE – RAGIONERIA TERRITORIALE

DELLO STATO DI BRINDISI, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2110/2015 del TRIBUNALE di BRINDISI,

depositata il 14/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del

ricorso con assorbimento dei rimanenti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 23/2/2012, S.M. conveniva in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Francavilla Fontana i coniugi A.A. e D.M.L., nonchè la Ragioneria Territoriale dello Stato di Brindisi, per ottenere la restituzione di somme in tesi illegittimamente trattenute, versate ed incassate dai coniugi, per il tramite dell’ente tesoriere, nonchè gli interessi ed i danni derivanti ex art. 67 c.p.c., comma 2. I coniugi si costituivano in giudizio, deducendo in via preliminare l’eccezione di incompetenza per territorio del giudice adito. La Ragioneria Territoriale dello Stato restava contumace. Con sentenza n. 191/2013, notificata in data 5/4/2013, il Giudice di Pace respingeva l’eccezione di incompetenza e accoglieva la domanda di parte attrice, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 952,00 oltre interessi legali e spese di lite.

2. Avverso tale pronuncia i coniugi A.- D.M. e la Ragioneria Territoriale dello Stato proponevano due distinti appelli, innanzi al Tribunale di Brindisi, che venivano poi riuniti in un unico procedimento. In particolare, la Ragioneria Territoriale dello Stato si costituiva per dedurre la nullità della citazione in primo grado in quanto erroneamente notificata direttamente all’Amministrazione convenuta, anzichè all’Avvocatura dello Stato, in violazione dell’art. 25 c.p.c., nonchè la non addebitabilità del danno arrecato.

3. Con sentenza n. 2110/2015, il Tribunale di Brindisi, dopo aver riunito i processi, accoglieva l’eccezione preliminare sollevata dall’Amministrazione dello Stato appellante in merito alla nullità della notifica dell’atto di citazione e rinviava gli atti al primo giudice, compensando le spese di giudizio ex art. 354 c.p.c.

4.Con atto notificato via pec in data 12/6/2016, S.M. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado, deducendo tre motivi di doglianza.

5. A.A. e D.M.L. non hanno svolto attività difensiva.

6. Il Ministero intimato non ha notificato controricorso, ma ha depositato atto di costituzione al fine di eventualmente partecipare ad una discussione in pubblica udienza.

7. La trattazione del ricorso veniva fissata nell’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 del 14/2/2019, ma all’esito il Collegio rinviava la causa a nuovo ruolo affinchè venisse discussa in pubblica udienza, in relazione alle questioni preliminari di rilievo nomofilattico inerenti alla vocatio in ius di organi dello Stato e al “foro erariale”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare il Collegio rileva che la notificazione del ricorso al Ministero era nulla, per essere stata effettuata presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, ma la costituzione dell’Avvocatura Generale ha sanato la nullità.

Sempre in via preliminare occorre poi interrogarsi sulla natura del ricorso. Là dove esso, con il primo motivo, pone un problema di competenza, relativo alla competenza in grado di appello, addebitando alla sentenza di avere omesso di pronunciare sull’eccezione di insussistenza della competenza del Tribunale di Brindisi in quel grado a beneficio di quella del Tribunale di Lecce, il ricorso ha natura di impugnazione proposta sulla competenza e sul merito ai sensi dell’art. 43 c.p.c.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 4, – la nullità, inesistenza ed inefficacia della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 25 c.p.c. e R.D. n. 1611 del 1933, artt. 6, 7 e 9 là dove il Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice di secondo grado assume, infatti, che la competenza sull’appello avverso le sentenze del Giudice di Pace – in base al R.D. n. 1611 del 1933, art. 7 – sarebbe spettata al Tribunale di Lecce, sede del foro erariale, in quanto detta norma aveva un rango speciale, indicando per l’appello il luogo dove ha sede l’Avvocatura dello Stato nel cui distretto la sentenza è pronunciata. In forza del disposto normativo, dunque, nel caso di specie la competenza sarebbe spettata al Tribunale di Lecce, anzichè a quello di Brindisi.

2.1. Il motivo è infondato.

In via preliminare si osserva che il foro erariale rilevava in ordine all’appello su cui è stata pronunciata la sentenza impugnata: in proposito giova richiamare i principi affermati da Cass. (ord.) n. 11987 del 2015, che si è posta il problema dell’eccezionalità del principio affermato dalle SS.UU. con la sentenza n. 23285 del 2010 per le opposizioni a sanzione amministrativa e per talune altre tipologie di controversie e si è così espressa: “Alla luce del novellato art. 341 c.p.c., stante il quale l’appello avverso le pronunzie del giudice di pace si propone al tribunale, appare legittimo individuare tale giudice secondo il principio generale di cui al citato R.D. n. 1611 del 1933, art. 6 in assenza di una norma derogatrice di tale principio, allorchè il tribunale decida quale giudice di appello (senza la necessità di giungere allo stesso risultato attraverso un’interpretazione estensiva del R.D. n. 1611 del 1933, art. 1, comma 2, come sostenuto da una parte della dottrina). Ne consegue che competente territorialmente per l’appello avverso le sentenze del giudice di pace emesse nei confronti dello Stato è il tribunale del luogo ove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie (cfr. Cass., 17/7/2008, n. 19781), laddove non ricorrano le eccezioni a tale regola indicate da Cass., Sez. Un., 18/11/2010, n. 23285 (controversie previdenziali, di opposizione a sanzioni amministrative, sulla disciplina dell’immigrazione, di convalida di sfratto) nonchè da Cass., 5/6/2014, n. 12668 (controversie di opposizione al decreto di pagamento delle competenze del difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato), per effetto di specifiche disposizioni del legislatore sulla base di elementi diversi ed incompatibili rispetto a quelli risultanti dalla regola 6 6212/2014 del foro erariale e pertanto destinati a prevalere su questa (v. Cass., 17/7/2008, n. 19781. Cfr. altresì Cass., Sez. Un., 2/7/2008, n. 18036). Eccezioni per le quali soltanto l’esenzione dal “foro erariale” ex art. 25 c.p.c. si è da questa Corte ritenuta estesa anche all’appello (v., con riferimento ai giudizi di appello in materia di sanzioni amministrative, Cass., Sez. Un., 22/11/2010, n. 23594).”.In precedenza si vedano: Cass. (ord.) n. 17701 del 2010; (ord.) n. 19781 del 2008; (ord.) n. 11242 del 2009; (ord.) n. 8996 del 2010).

L’appello doveva, dunque, certamente proporsi osservando la regola del foro erariale.

2.2. Ciò premesso, l’infondatezza del motivo emerge sotto un primo profilo. Legittimamente il tribunale ha omesso di considerare l’eccezione di incompetenza, di cui effettivamente non si occupa affatto, giacchè la stessa ricorrente nell’esposizione del fatto del ricorso, riferisce – dopo aver dato atto del contenuto della propria comparsa di costituzione in appello (prodotta come doc. n. 7) – di avere formulato l’eccezione di sussistenza della competenza erariale del Tribunale di Lecce nelle note di replica depositate il 13 luglio 2015 (cioè nel documento che produce come n. 8, qualificandolo come comparsa conclusionale ai sensi dell’art. 190 c.p.c.).

Da tanto consegue che il rilievo della questione era tardivo, in quanto anche nel giudizio di appello deve trovare applicazione l’art. 38 c.p.c. per quanto attiene al potere della parte di eccepire l’incompetenza del giudice dell’impugnazione e considerato che, pur essendo il foro erariale una competenza c.d. “forte”, denominandosi come funzionale, il potere della parte della parte di rilevare l’incompetenza del giudice investito dell’appello non può avere un regime diverso da quello indicato per tutte le competenze dal detto art. 38 e, dunque, deve ancorarsi alla comparsa di risposta depositata tempestivamente in appello.

Tanto deve ritenersi dopo l’arresto delle Sezioni Unite, di cui a Cass., Sez. Un., n. 18121 del 2016, il quale – disattendendo un filone di giurisprudenza contrario ha ricondotto l’errore sulla “competenza” nella individuazione orizzontale (come nel caso di specie) e verticale della causa alla nozione di competenza vera e propria, tanto che ha ammesso la c.d. transiatio iudicii.

In dipendenza dell’assimilazione della “competenza in sede di impugnazione” alla competenza in primo grado, si deve applicare, volta che si consideri la rilevanza dell’art. 359 c.p.c., si deve ritenere applicabile al rilievo della incompetenza anche la preclusione al potere di parte prevista dall’art. 38 e, dunque, per la parte convenuta in appello la preclusione è ricollegabile alla comparsa di risposta depositata tempestivamente.

A sua volta, il potere del giudice si deve ritenere ancorato, sempre postulandosi l’applicazione dell’art. 38, all’omologo in appello della udienza di cui all’art. 183 c.p.c. e, dunque, all’udienza ai sensi dell’art. 350 c.p.c.

In forza dell’arresto di cui a Cass., Sez. Un., n. 18121 del 2016, si deve, infatti, reputare superata la tesi precedente, risalente a Cass., Sez. Un., n. 23594 del 2010, che aveva così statuito: ” L’individuazione del giudice di appello, ai sensi dell’art. 341 c.p.c., attiene ad una competenza territoriale “sui generis”, che prescinde dai comuni criteri di collegamento tra una causa e un luogo, nè è al riguardo applicabile la norma di cui all’art. 38 c.p.c., che si riferisce esclusivamente al giudizio di primo grado, dipendendo tale competenza indefettibilmente dal luogo in cui ha sede il giudice “a quo”. Ne consegue il carattere funzionale della competenza, che impedisce il definitivo suo radicamento presso un giudice diverso per il solo fatto che la relativa questione non sia stata posta “in limine litis””.

Una volta assimilata la competenza in sede di impugnazione alla normale competenza in primo grado, le ragioni espresse nel riportato principio di diritto non appaiono più valide, come ha ritenuto Cass. n. 22107 del 2018, che ha espressamente affrontato la problematica al contrario di quanto ha più di recente fatto Cass. (ord.) n. 20048 del 2019, che si è limitata a richiamato la decisione delle SS.UU. del 2010 senza porsi il problema della sopravvenienza della sentenza del 2016.

Il Collegio intende dare continuità ai principi esposti da Cass. n. 22107 del 2018 e, conseguentemente, risulta evidente che, a giusta ragione, il Tribunale di Brindisi ignorò il rilievo della incompetenza formulato soltanto dalla ricorrente in sede di conclusionale.

2.3. E’ poi da rilevare che recentemente, il regime dell’eccezione di incompetenza per la ricorrenza del foro erariale è stato ricondotto, anche sotto il profilo del potere di rilevazione ad istanza di parte o d’ufficio al regime dell’art. 38 c.p.c. da Cass. (ord.) n. 20943 del 2018, la quale ha recentemente affermato che: “Il R.D. n. 1611 del 1933, art. 9 nella parte in cui consente la formulazione dell’eccezione di parte e il rilievo di ufficio dell’incompetenza erariale senza limiti di tempo, deve ritenersi tacitamente abrogato dall’art. 38 c.p.c. (così come modificato dalla L. n. 353 del 1990 e dalla L. n. 69 del 2009) attraverso una interpretazione della norma speciale compatibile con il regime generale sancito da tale ultima disposizione e conforme ai principi espressi dagli artt. 24 e 111 Cost., con la conseguenza che la questione di incompetenza ai sensi dell’art. 25 c.p.c. deve essere rilevata d’ufficio non oltre la prima udienza di trattazione”. Secondo quest’ultimo arresto, infatti, “la disciplina contenuta nel R.D. del 33 ha cessato di essere un plesso normativo separato dalla disciplina del codice di rito proprio per l’espressa previsione in tale codice dello speciale “foro della pubblica amministrazione” ex art. 25 c.p.c. che riproduce la disposizione di cui al R.D. n. 1611 del 1933, art. 6, comma 1: l’art. 25 c.p.c., recepisce la normativa del regio decreto in tema di competenza attraendola all’interno della disciplina codicistica e sottraendola quindi ad un “corpus” a sè stante ed autonomo, con la conseguenza che eventuali incompatibilità tra le norme del codice di rito e del regio decreto dovranno essere risolte secondo i comuni principi che regolano i rapporti tra norme nel tempo”. La stessa decisione ha osservato che il R.D. n. 1611 del 1933, art. 9 non appare più compatibile con le riforme processuali prima indicate – id est, le successive modifiche legislative dell’art. 38 c.p.c. – volte a dare attuazione ai principi costituzionali di effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. e di ragionevole durata del giudizio espressione del più generale principio secondo cui il processo deve essere “giusto” (art. 111 Cost., commi 1 e 2, nel testo introdotto dalla Legge Cost. 23 novembre 1999, n. 2).

I principi costituzionali dedotti, hanno portato il legislatore a semplificare il sistema evitando che il processo possa andare avanti sotto il rischio che l’attività svolta dal Giudice e dalle parti ed il tempo occorso possano essere posti nel nulla “all’ultimo momento”, da un immanente ed incondizionato rilievo di ufficio della incompetenza consentito “in ogni stato e grado”, in evidente contrasto con le predette esigenze implicanti, diversamente, la necessità di assicurare al processo la sua naturale e spedita conclusione. Sempre la citata decisione ha, dunque, concluso che “La disposizione del R.D. n. 1611 del 1933, art. 9 nella parte in cui consente senza limiti di tempo la formulazione della eccezione di parte ed il rilievo di ufficio della questione di competenza relativamente all’art. 6 comma 1, art. 7, comma 2 e 8 medesimo R.D., deve ritenersi, pertanto, tacitamente abrogata dall’art. 38 c.p.c. intervenuto, a seguito delle modifiche legislative introdotte dalle L. n. 353 del 1990 e L. n. 69 del 2009, a ridisciplinare ex novo la materia dei poteri processuali esercitabili dalle parti e dal Giudice in ordine alla questione di competenza del foro erariale.”. Da tanto consegue che lo stesso Tribunale di Brindisi avrebbe potuto rilevare d’ufficio la propria incompetenza soltanto nell’udienza ai sensi dell’art. 350 c.p.c. quale equivalente di quella di cui all’art. 183.

In conclusione, anche nel caso di errore sull’applicazione delle regole in materia di cd. “foro erariale” l’applicabilità della preclusione prevista dall’art. 38 c.p.c., comma 1 comporta, per la parte convenuta in appello, l’onere di rilevare l’eccezione – a pena di decadenza – nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. Viceversa, il potere di rilievo ex officio del giudice è ancorato all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. e, dunque, in appello, all’omologa udienza ex art. 350 c.p.c.

3. Con il secondo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omessa dichiarazione di inammissibilità dell’appello promosso dalla Ragioneria di Stato per violazione dell’art. 342 c.p.c., nn. 1 e 2, artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. Secondo la ricorrente, il Tribunale di Brindisi avrebbe omesso di considerare una “sequela di eccezioni” che – se considerate – avrebbero determinato la dichiarazione di inammissibilità dell’appello della Ragioneria di Stato. Tuttavia, almeno per quel che si comprende nella non chiara esposizione, si contesta il mancato rilievo da parte del giudice di secondo grado del fatto che l’Avvocatura dello Stato pur avendo avuto “conoscenza legale” dell’appello proposto dall’ A. e dalla D.M., avesse scelto di proporre un appello separato, il che aveva determinato un rinvio dei due giudizi di appello al fine di provvedere alla loro riunione, con la conseguente perdita di tempo che ne era conseguita.

Il motivo è privo di fondamento: se ben si comprende la poco chiara prospettazione del motivo, si sostiene che l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile perchè proposto in via autonoma. Ma l’inammissibilità avrebbe potuto configurarsi solo se il deposito del separato atto di appello successivamente alla sua notificazione fosse avvenuto oltre il termine fissato per il deposito della comparsa di risposta in relazione al primo appello. Termine nel quale l’appello avrebbe dovuto svolgersi in via incidentale mediante il deposito della detta comparsa di risposta. La ricorrente nulla precisa al riguardo. Riferisce solo che la prima udienza indicata con l’appello delle altre parti era fissata per il 30 settembre 2013 e si limita a dire che l’appello della difesa erariale venne proposto con atto notificato il 20 maggio 2013 con indicazione della prima udienza al 20 dicembre 2013. Nulla indica riguardo all’iscrizione a ruolo di tale appello, che sarebbe stata equivalente al deposito della comparsa di costituzione nel primo giudizio. Viene in rilievo il principio di diritto, secondo cui “L’appello proposto in via principale da chi, essendo stata la sentenza già impugnata da un’altra parte, avrebbe potuto proporre soltanto appello incidentale, non è inammissibile, ma può convertirsi, per il principio di conservazione degli atti giuridici, in gravame incidentale, purchè depositato nel termine prescritto per quest’ultima impugnazione” (Cass. (ord.) n. 26811 del 2019).

4. Con il terzo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 2008, laddove il Tribunale non ha ritenuto valida la notificazione della citazione in primo grado direttamente alla Ragioneria Territoriale dello Stato.

4.1. Il motivo è infondato.

La ricorrente invoca la violazione di una normativa che non rileva ai fini della statuizione sulla correttezza della notificazione di atti processuali. L’art. 144 c.p.c., in materia di notificazioni alle amministrazioni dello Stato, espressamente prevede che “si osservano le disposizioni delle leggi speciali che prescrivono la notificazione presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato” e, dunque, deve essere letto in combinato disposto con il R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, comma 1, come modificato dalla L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 1 il quale dispone: “Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi atto di opposizione giudiziale, nonchè le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle amministrazioni dello Stato presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del ministro competente”.

Questa Corte ha osservato in varie occasioni che le disposizioni in commento utilizzano espressioni di contenuto inequivoco, tali da far intendere che nelle ipotesi ivi considerate la notificazione presso l’Avvocatura dello Stato è la sola praticabile (Cass., Sez. L, sentenza n. 7315 del 16/4/2004). Sicchè alla stessa è possibile sottrarsi solo nelle ipotesi particolari in cui il legislatore ha inteso espressamente derogare alla regola generale posta dal R.D. n. 1611 del 1933, art. 11 (Cass. Sez. 3 -, sentenza n. 28528 dell’8/11/2018; Cass., Sez. U., sentenza n. 10261 del 27/4/2018, pronunciate in materia di accertamento negativo di “fermo” amministrativo).

Parte ricorrente invoca come norme che sottrarrebbero le ragionerie distrettuali dello Stato all’applicazione della detta disciplina del D.P.R. n. 43 del 2008, art. 16 lett. f) (evidentemente in quanto richiamata dal successivo art. 20), ma non è dato comprendere come alla sua previsione, che si sostanzia in una previsione di competenza amministrativa su “contenzioso e affari legali nelle materie di cui alle lettere che precedono” nella norma possa attribuirsi il valore di norma processuale derogatoria della disciplina della notificazione giudiziale alle amministrazioni statali. A maggior ragione incomprensibile e comunque non spiegato è il richiamo alla lett. c) dello stesso articolo. Del tutto privo di pregio è, poi, l’argomento desunto a sostegno della singolare prospettazione dal fatto che in appello l’Avvocatura dello Stato abbia fatto ricorso alla rappresentanza di un funzionario interno alla ragioneria territoriale: è sufficiente rimandare parte ricorrente alla lettura del R.D. n. 1611 del 1933, art. 2, comma 1.

5. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di cui in motivazione; nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Si dà atto che il presente edimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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