Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11114 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 27/04/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 27/04/2021), n.11114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3748/2019 proposto da:

S.D., in qualità di procuratore speciale di

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE 65,

presso lo studio dell’avvocato DANIELE CAMEROTA, rappresentato e

difeso dall’avvocato PIER FRANCESCO ANGELINI;

– ricorrente principale –

AZIENDA USL TOSCANA CENTRO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. MIRABELLO 2,

presso lo studio dell’avvocato UMBERTO RICHIELLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato PAOLO STOLZI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

S.D., in qualità di procuratore speciale di

S.F.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 527/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/07/2018 R.G.N. 1168/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 20 luglio 2018, ha confermato la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda

di accertamento negativo proposta dalla AUSL n. 10 di Firenze, aveva escluso il diritto di S.F., e per lui S.D. quale suo procuratore speciale, ad ottenere dall’Azienda sanitaria l’erogazione gratuita della terapia nota come metodo Dikul – conosciuta anche con l’acronimo R.I.C. – eseguita presso un centro specializzato (nella specie, il (OMISSIS)), e aveva condannato S. a restituire all’Azienda sanitaria le somme versate medio-tempore nel periodo per l’erogazione della terapia in via d’urgenza, in esecuzione dell’ordinanza emessa ante causam e revocata;

2. la Corte di merito, in adesione alle conclusioni rassegnate dagli ausiliari officiati in giudizio, escludeva il diritto all’erogazione gratuita della terapia per l’inidoneità della cura ad apportare, alle condizioni generali dell’assistito, un miglioramento, valutato secondo metodologia scientifica e comparato, alla stregua della documentazione in atti, con quello già raggiunto prima dell’ingresso nella (OMISSIS), in mancanza di qualsivoglia motivazione scientificamente plausibile per affermare che smettendo il trattamento, e passando ad altre strutture sanitarie ove si eseguono protocolli internazionali, ne avrebbe avuto un nocumento psicofisico;

3. sulla doglianza avverso la condanna per la restituzione delle somme afferenti i trattamenti sanitari praticati, la Corte territoriale rilevava che l’Azienda sanitaria era stata chiamata a corrispondere, al (OMISSIS), il costo dei trattamenti con la conseguenza che, risultata ingiustificata la somministrazione a carico del servizio sanitario, detto costo rimaneva a carico del paziente;

4. ricorre avverso tale sentenza S.D., quale procuratore speciale di S.F., affidandosi a quattro articolati motivi, ulteriormente illustrati con memoria, al quale l’Azienda USL Toscana Centro (successore universale della ASL n. (OMISSIS) di Firenze) ha resistito, con controricorso, e proposto ricorso incidentale, affidato a un motivo, al quale S.D., nella predetta qualità, ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

5. con il primo motivo il ricorrente principale deduce violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 11, comma 7, omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, e violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte di merito tenuto conto delle trattative pendenti con la regione Toscana, per la stipulazione di una convenzione per l’erogazione della terapia RIC a tutti i richiedenti della Toscana, trattative mai specificamente contestate dall’azienda sanitaria;

6. con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 191 c.p.c., del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, comma 7 e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, si censura la mancata rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio e se ne deduce la nullità in considerazione del conflitto d’interessi dei consulenti tecnici nominati, facenti parte del SSN, censurando la ritenuta tardività per avere appreso della predetta incompatibilità solo una volta preso visione dell’elaborato peritale;

7. evidenzia l’erronea formulazione del quesito posto all’ausiliare officiato nel giudizio di primo grado condizionando l’esame in ordine ai benefici psicofisici alla positiva risultanza di evidenze scientifiche ed avere erroneamente valutato le conclusioni peritali trascurando la peculiarità del danno neurologico prodotto dalla lesione midollare e la specificità delle predette lesioni; assume, concludendo l’illustrazione della censura, versarsi in un’errata ricognizione della norme richiamate rispetto alla fattispecie e non in errori di valutazione;

8. con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 2697 c.c., per non avere l’Azienda sanitaria dimostrato di poter fornire una terapia tale da garantire il mantenimento dei livelli di capacità funzionali e alleviare le sofferenze esistenziali e la Corte di merito evidenziato la carenza di prova in riferimento all’esistenza o meno di strutture pubbliche tali da offrire terapie assimilabili alla RIC;

9. infine, con il quarto motivo, in via subordinata al mancato accoglimento dei precedenti mezzi, si deduce violazione degli artt. 99,112 c.p.c., dell’art. 2907 c.c., nullità della sentenza ai seni dell’art. 161 c.p.c., per avere la Corte di merito deciso extrapetita pronunciandosi sulla condanna al rimborso delle somme erogate rispetto alla domanda svolta, in via d’urgenza, per l’erogazione, a titolo gratuito, della prestazione, infungibile e non restituibile; si assume che, non dimostrati dall’Azienda sanitaria i costi che avrebbe sostenuto per prestazioni riabilitative diverse dalla RIC, l’onere economico deve rimanere ad esclusivo carico dell’Azienda e non possa essere addebitato all’utente; infine, si assume che il costo a carico del paziente può avere effetto esclusivamente dal momento della revoca dell’ordinanza cautelare ma non per il periodo pregresso in cui il paziente ha ricevuto l’erogazione della terapia;

10. con l’unico motivo del ricorso incidentale, deducendo violazione e omessa interpretazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 1, l’Azienda sanitaria impugna il capo della sentenza che ha ritenuto l’evidenza scientifica del trattamento assorbita dall’efficacia individuale del medesimo, così valorizzando esclusivamente l’efficacia della stessa a livello individuale, assumendo di non prestare acquiescenza a detta statuizione, oggetto di esplicita argomentazione pregiudiziale, che pur non avendo condotto ad esiti lesivi della posizione giuridica dell’Azienda si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sull’assenza di evidenze scientifiche;

11. il ricorso incidentale è inammissibile per difetto di interesse giacchè volto a censurare un elemento costitutivo della domanda, trascurato dalla Corte territoriale con la statuizione di rigetto, e non pregiudizievole per l’Azienda sanitaria;

12. la Corte del merito, per quanto si dirà di seguito, è comunque pervenuta ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame e questa Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, ha il potere di correggere la motivazione mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto (v., fra le altre, Cass. Sez. Un. 2731 del 2017);

13. i motivi del ricorso principale, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati;

14. occorre esaminare, in primo luogo, le previsioni normative che attengono ai presupposti per l’erogazione da parte del S.S.N. di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico;

15. questa Corte (v., fra le altre, Cass. n. 18676 del 2014, n. 17244 del 2016, n. 6775 del 2018), proprio con riferimento alla terapia RIC, altrimenti detta Dikul, ha già avuto modo di enunciare il principio che il relativo diritto deve essere accertato in base ai presupposti richiesti dalla disciplina dettata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 1, nel testo vigente, che detta le disposizioni in materia di tutela del diritto alla salute, programmazione sanitaria e definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza;

16. il comma 2 enuncia i principi ispiratori del Servizio Sanitario Nazionale, ove dispone che “Il Servizio Sanitario Nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 1 e 2, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano Sanitario Nazionale nel rispetto dei principi della dignità umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonchè dell’economicità dell’impiego delle risorse”;

17. al successivo comma 7 indica il contenuto dei cosiddetti L.E.A. (livelli essenziali di assistenza), individuando anche le prestazioni che ne sono escluse, ove prevede che “Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate. Sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che: non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio sanitario nazionale di cui al comma 2; non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate; in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza”;

18. in definitiva, per l’erogazione gratuita di prestazioni sanitarie da parte del Servizio Sanitario Nazionale si richiede il rispetto dei seguenti criteri:

– che le prestazioni presentino, per le specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, validate da parte della comunità scientifica;

– l’appropriatezza, che impone che vi sia corrispondenza tra la patologia e il trattamento secondo un criterio di stretta necessità, tale da conseguire il migliore risultato terapeutico con la minore incidenza sulla qualità della vita del paziente;

l’economicità nell’impiego delle risorse, che impone infine di valutare la presenza di altre forme di assistenza meno costose e volte a soddisfare le medesime esigenze, di efficacia comparabile, considerando quindi la possibilità di adeguati e tempestivi interventi terapeutici concorrenti o alternativi erogabili dalle strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale (così, Cass., Sez. Un. 2923 del 2012);

19. si tratta di requisiti concorrenti che coniugano, ragionevolmente, le diverse esigenze, concernenti la sfera della collettività e la tutela individuale, in più occasioni richiamate dal Giudice delle leggi in riferimento al diritto alla salute: i condizionamenti derivanti dalle risorse finanziarie di cui lo Stato dispone per organizzare il Servizio sanitario, da una parte, e il nucleo irriducibile del diritto alla salute come ambito inviolabile della dignità umana, dall’altra (cfr.Corte Cost. nn. 354 del 2008, 432 del 2005, 252 del 2001, 509 del 2000, 309 del 1999; Cass. nn. 9272,10476,10719 del 2019; Cass. n. 6775 del 2018; Cass. n. 17244 del 2016);

20. anche nella visione comunitaria, l’elevato livello di protezione della salute umana garantito dall’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (la c.d. Carta di Nizza) e dall’art. 168 T,F.U.E. deve comunque tenere conto delle linee di politica sanitaria seguite dagli Stati nazionali per l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica (art. 168, comma 7) occorrendo coniugare la limitatezza delle risorse pubbliche disponibili e la necessità di soddisfare con esse un numero quanto più ampio possibile di fruitori;

21. ne deriva che la pretesa di scelta della modalità tecnica della cura presso un centro non accreditato con il S.S.N. non può derivare solo dal maggiore gradimento soggettivo, occorrendo l’inettitudine delle metodiche pubbliche anche sotto il profilo psicologico- motivazionale;

22. tanto premesso, inammissibile risulta il primo motivo per l’erronea deduzione del vizio di motivazione secondo il paradigma previgente alla novella dell’art. 360, n. 5, applicabile ratione temporis e infondato laddove sostanzialmente basato su un’erronea invocazione del principio di non contestazione, che in realtà concerne esclusivamente i fatti primari (ossia quelli costitutivi, impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa azionata) o, al più e secondo talune voci di dottrina, anche quelli secondari (vale a dire i fatti dedotti in funzione probatoria da cui ricavare, in via inferenziale, l’esistenza di quelli primari), giammai trattative eventualmente conducenti verso il convenzionamento della terapia, relegate sul piano del rapporto interno tra la P.A. concedente e il concessionario del servizio pubblico e, dunque, non costituiscono fatto storico;

23. quanto alla supposta mancanza di imparzialità derivante da una asserita condizione di “sostanziale” incompatibilità dei consulenti tecnici d’ufficio, deve osservarsi come la stessa possa farsi valere esclusivamente mediante lo strumento della ricusazione, nel termine di cui all’art. 192 c.p.c. (Cass. n. 4287 del 2016 e n. 12822 del 2014) senza che sussista una deroga per il caso (come quello prospettato) in cui la parte sia venuta a conoscenza solo successivamente della situazione di incompatibilità (Cass. n. 3657 del 1998);

24. in tale ultima ipotesi, l’interessato può solo prospettare le ragioni che giustificherebbero un provvedimento di sostituzione affinchè il giudice, se lo ritenga, si avvalga dei poteri che gli conferisce in tal senso l’art. 196 c.p.c. e la valutazione operata al riguardo è, tuttavia, insindacabile in Cassazione (v., da ultimo, Cass. n. 8309 del 2020 ed ivi i precedenti richiamati) se non nei ristretti limiti del vizio di motivazione, tempo per tempo vigente e, nella specie, non validamente illustrato;

25. in merito alla critica alle risultanze peritali, il vizio denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice (v., ex plurimis, Cass. n. 4124 del 2017);

26. con il ricorso non vengono invece dedotti vizi logico-formali che si concretino in devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate;

27. i motivi sono poi inammissibili nella parte in cui contestano l’ampia e argomentata ricostruzione effettuata dalla Corte d’appello dell’esito delle consulenze tecniche d’ufficio, richiedendo una nuova valutazione delle risultanze acquisite in sede di merito, inammissibile nel giudizio di legittimità, valorizzandone peraltro e riportandone solo alcuni passaggi, in violazione dei canoni di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4;

28. nè risulta dalla motivazione che siano state ignorate o travisate circostanze fattuali ivi valorizzate, considerato che la Corte d’appello ha tenuto conto delle capacità funzionali preesistenti all’ingresso al (OMISSIS) e della condizione psicologica a prescindere dalla terapia RIC, concludendo per il mantenimento dei benefici già ottenuti prima della terapia, risultato che si sarebbe conseguito anche con le procedure riabilitative fornite dalla ASL con costi e impegno minori;

29. ha, dunque, accertato che la terapia RIC non abbia apportato per il paziente risultati apprezzabilmente migliori di quelli che si sarebbero potuti ottenere praticando le prestazioni sanitarie già ricomprese nei LEA e dispensate dal SSN;

30. nella sentenza impugnata non viene, tuttavia, dato atto della concorrente operatività dei principi di appropriatezza e di efficacia fissati dalla norma di legge anche alla stregua dell’assenza di evidenze scientifiche atte a comprovare la maggiore efficacia oggettiva della riabilitazione secondo il metodo RIC rispetto ai trattamenti ASL e in tali termini va corretta la motivazione, in continuità con i numerosi precedenti di questa Corte in riferimento al (OMISSIS) (v., per tutte, Cass. n. 9272 del 2019 cit.);

31. infine, inammissibile è il quarto motivo;

32. non si ravvisa un giudicato interno considerato che la Corte territoriale ha esaminato il motivo di gravame e lo ha rigettato;

33. invero la Corte di merito ha confermato la decisione di prime cure che aveva condannato il paziente alla restituzione, all’azienda sanitaria, delle somme versate per l’erogazione della terapia nel periodo successivo all’ordinanza cautelare, per cui difetta di interesse il profilo di censura inerente a quanto già riconosciuto dalla sentenza;

34. inoltre la censura non supera il vaglio di ammissibilità per avere ancorato la dedotta extra petizione alla domanda cautelare e non piuttosto alla domanda di accertamento negativo, e condanna, svolta dall’azienda sanitaria e alla quale soltanto, in prime cure e nel giudizio di gravame, va riferito il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione e il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza alcuna nella domanda;

35. difetta, infine, di interesse il ricorrente principale a dolersi della pronuncia sulla domanda azionata, in via principale, dall’Azienda sanitaria, e sulla statuizione che ha limitato la restituzione delle somme al periodo successivo alla disposta revoca del provvedimento cautelare adottato;

36. le spese del giudizio di legittimità si compensano in considerazione della reciproca soccombenza;

37. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, principale e incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per i rispettivi ricorsi ex art. 13, comma 1, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiarato inammissibile l’incidentale; spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, principale e incidentale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per i rispettivi ricorsi ex art. 13, comma 1, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

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