Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11113 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. III, 10/06/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 10/06/2020), n.11113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18926-2018 proposto da:

P.A.R., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE rappresentata e difesa dall’avvocato

COSIMO LEONE;

– ricorrente –

contro

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO

56, presso lo studio dell’avvocato GRAZIELLA SILVANA ZARCONE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLA RIGHETTI

SARAGONI LUNGHI;

– controricorrente –

e contro

ASUR MARCHE, UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, HDI GERLING INDUSGTRIE

VERSICHERUNG AG RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA, PROCURA

GENERALE REPUBBLICA PRESSO CORTE D’APPELLO ANCONA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 665/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 28/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 28/5/2018, la Corte d’appello di Ancona, rigettando l’appello proposto da P.A.R. per la condanna dell’Azienda Sanitaria Unica Marche e di M.L. al risarcimento dei danni subiti dall’attrice in occasione del ricovero della stessa presso l'(OMISSIS), per quel che ancora rileva in questa sede, ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dalla P. per la condanna delle controparti al risarcimento dei danni per omessa acquisizione, da parte della struttura sanitaria curante, del consenso informato della paziente;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale – dopo aver analizzato i presupposti della ritenuta infondatezza delle altre domande proposte dalla P. – ha evidenziato come l’attrice non avesse mai tempestivamente proposto, nel corso del giudizio di primo grado, la domanda riguardante l’omessa informazione connessa al trattamento sanitario e alle cure ricevute, essendosi limitata alla sola deduzione della violazione della propria libertà personale per essere stata la stessa ricoverata, presso la struttura (OMISSIS) (nei reparti di rianimazione, prima, e, successivamente, in quello di psichiatria), in totale assenza del proprio consenso;

avverso la sentenza d’appello, P.A.R. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

l’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche, M.L. e la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. (quest’ultima già chiamata in giudizio a fini di manleva), resistono con controricorso;

nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;

P.A.R. e M.L. hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente dichiarato inammissibile (per tardività) la domanda di risarcimento del danno proposta dalla P. per la violazione della normativa relativa al consenso informato, avendo la stessa corte d’appello omesso di rilevare l’avvenuta tempestiva proposizione di detta domanda sin dall’atto di citazione introduttivo del giudizio; e ciò, tanto con riferimento al ricovero della paziente in assenza del relativo consenso, quanto all’omessa informazione della stessa P. in relazione ai trattamenti sanitari concretamente ricevuti;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 32 Cost., comma 2, e dell’art. 32 codice deontologico medico (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’avvenuta violazione, in occasione del ricovero della ricorrente presso la struttura (OMISSIS), del principio che vieta il trattamento sanitario obbligatorio in assenza di consenso del paziente, nonchè l’esecuzione di trattamenti diagnostici e terapeutici senza la preventiva acquisizione del consenso informato dello stesso;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono inammissibili;

al riguardo, osserva il Collegio come, nel considerare l’estensione e l’oggetto della domanda risarcitoria originariamente proposta dalla P. (nella specie, interpretata come limitata al solo risarcimento per i danni subiti a seguito della violazione della propria libertà personale, e non anche estesa alla rivendicazione del risarcimento dei danni subiti a seguito della violazione della disciplina del consenso informato), la corte territoriale risulti essersi attenuta a canoni interpretativi della domanda non palesemente illogici o incongrui;

sul punto, è appena il caso di richiamare il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale l’interpretazione operata dal giudice di appello, riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale, è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte, in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (Sez. L, Sentenza n. 17947 del 08/08/2006, Rv. 591719 – 01; Sez. L, Sentenza n. 2467 del 06/02/2006, Rv. 586752 – 01);

peraltro, il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto a uniformarsi al tenore letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (Sez. 3, Sentenza n. 21087 del 19/10/2015, Rv. 637476 – 01);

nella specie, l’odierna ricorrente, lungi dallo specificare i modi o le forme dell’eventuale scostamento del giudice a quo dai canoni ermeneutici legali che ne orientano il percorso interpretativo (anche) della domanda giudiziale, risulta essersi limitata ad argomentare unicamente il proprio dissenso dall’interpretazione fornita dal giudice d’appello, così risolvendo le censure proposte a una questione di fatto non proponibile in sede di legittimità;

mette peraltro conto di rilevare, in ogni caso, come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle domande della P. nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, nè spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo della domanda in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà, per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, sì da sfuggire integralmente alle odierne censure avanzate dalla ricorrente in questa sede di legittimità, provvedendo in maniera logicamente congrua e giuridicamente corretta a distinguere con nettezza il contenuto della domanda (nella specie proposta) diretta a far rilevare l’avvenuto ricovero della paziente in totale assenza del relativo consenso (così sottolineando l’avvenuta paventata lesione del bene della propria libertà personale), dalla domanda (nella specie indicata come non tempestivamente proposta) riferita al carattere illecito della conduzione di trattamenti sanitari in assenza del consenso informato della paziente: domanda di per sè concernente, non già la lesione della libertà personale in sè considerata, bensì il diverso profilo della violazione dell’autodeterminazione terapeutica della persona, destinata a consumarsi in tutti i casi di mancata trasmissione, a beneficio del soggetto destinato a compiere le scelte terapeutiche relative alla propria salute, dei dati riguardanti la natura, le caratteristiche, le conseguenze o le implicazioni tutte connesse a un determinato trattamento sanitario;

sulla base delle considerazioni che precedono, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna parte, in complessivi Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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