Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11111 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 05/05/2017, (ud. 06/04/2017, dep.05/05/2017),  n. 11111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27614-2015 proposto da:

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO -, C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELA

FABBI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORELLA

FRASCONA’;

– ricorrente –

nonchè da

EQUITALIA SUD S.P.A. (già EQUITALIA E.TR. S.P.A.), in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato GIOVANNI GRECO;

– ricorrente successivo –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELA

FABBI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORELLA

FRASCONA’;

– controricorrente –

nonchè

D.V.P., D.V.C., D.V.F.,

D.V.G., D.V.A., D.V.R., L.M., quali eredi

di DE.VI.RO., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANIAL,

86, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MELUCCO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE ARMANDO

ATTOLINI;

– controricorrenti e ricorrente incidentali –

avverso la sentenza n. 1359/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 20/5/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/4/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Lecce confermava la decisione del Tribunale di Brindisi che aveva ritenuto prescritti i crediti di cui alle intimazioni di pagamento notificate a D.V.R. da Equitalia S.p.A. per conto dell’I.N.A.I.L., aventi ad oggetto oneri contributivi. Ad avviso della Corte territoriale doveva farsi applicazione, anche per l’ipotesi di cartella esattoriale non opposta, del termine di prescrizione quinquennale;

– per la cassazione di tale decisione ricorrono l’I.N.A.I.L. ed Equitalia Sud S.p.A. affidando le rispettive impugnazioni a più motivi;

– resistono con controricorso gli eredi di D.V.R. e formulano, altresì, ricorso incidentale;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– non sono state depositate memorie;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN FATTO

che:

– con i motivi dei ricorsi principali (sostanzialmente analoghi per ciascuno degli indicati ricorrenti) è denunciata la violazione dell’art. 2953 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, dell’art. 474 c.p.c., sostenendosi che nell’ipotesi di mancata opposizione alla cartella esattoriale e di incontrovertibilità del relativo credito debba farsi applicazione della prescrizione decennale in conformità a quanto previsto per l’astio indicati;

– la questione di diritto, oggetto della presente controversia, è stata risolta con la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 23397 del 17 novembre 2016;

– in tale decisione è stato, infatti, chiarito che “la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’I.N.P.S. che dal 1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 30, convertito dalla L. n. 122 del 2010)”;

– è stato, altresì, precisato che l’indicato principio “si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonchè di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”;

– alla luce di quanto sopra, la sentenza impugnata è corretta;

– quanto al ricorso incidentale, si osserva che è da ritenersi assorbito nella decisione sul ricorso principale il motivo con il quale si reitera l’eccezione di decadenza (L. n. 350 del 2005, art. 4, comma 25);

– per il resto sono infondate le doglianze con le quali i ricorrenti incidentali criticano la decisione della Corte territoriale di compensare le spese del doppio grado di giudizio;

– il giudizio è stato instaurato con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Brindisi il 18/10/2012 e, dunque, opera la modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, che per i giudizi instaurati successivamente alla sua entrata in vigore, intervenendo nuovamente sull’art. 92 c.p.c., comma 2, dopo la novella di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), già applicabile ai procedimenti instaurati a far data dal 1 marzo 2006 (art. 2, comma 4, della medesima legge, come mod. dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 quater, conv. con mod. nella L. 23 febbraio 2006, n. 51), ha previsto che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese fra le parti”;

– alla norma è stata apportata successivamente una nuova modifica di tenore ulteriormente restrittivo – dal D.L. 1 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, in L. 10 novembre 2014, n. 162, applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione, nel senso che la compensazione è limitata alle ipotesi di soccombenza reciproca “ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”;

– il testo della norma applicabile ratione temporis alla fattispecie, ossia la versione introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, consente, come detto, la compensazione solo in presenza di soccombenza o nel concorso di “altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”. La locuzione “gravi ed eccezionali ragioni” è stata ricondotta – nell’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite di questa Corte – nell’alveo delle “norme elastiche”, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico – sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2012, n. 2572);

– si richiama, a titolo esemplificativo, quanto da questa Corte già affermato: “In tema di spese giudiziali, in forza dell’art. 92 c.p.c., comma 2, (nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis”) può essere disposta la compensazione in assenza di reciproca soccombenza soltanto ove ricorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, che devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza, senza che possa darsi meramente rilievo alla “natura dell’impugnazione”, o alla “riduzione della domanda in sede decisoria”, ovvero alla “contumacia della controparte”, permanendo in tali casi la sostanziale soccombenza di quest’ultima, che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese” – Cass. 19 ottobre 2015, n. 21083 -; “L’art. 92 c.p.c., comma 2, (come sostituito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11), nella parte in cui prevede la possibilità di compensare le spese di lite allorchè concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, non consente di disporre la compensazione in parola in base al carattere ufficioso del rilievo dell’interruzione della prescrizione ed alla esiguità della pretesa creditoria, atteso che, quanto al primo profilo, esso integra un normale esito dell’attività valutativa del giudice, mentre, quanto al secondo, specialmente ove l’importo delle spese fosse tale da superare quello del pregiudizio economico che la parte avesse inteso evitare agendo in giudizio per fare valere il proprio diritto, tale statuizione si tradurrebbe in una sostanziale soccombenza di fatto della parte vittoriosa, con lesione del principio costituzionale di cui all’art. 24 Cost., nonchè della regola generale dell’art. 91 c.p.c.” – Cass. 1 giugno 2015, n. 11301;

– nel caso in esame la sentenza impugnata, nel respingere l’appello incidentale del D.V. ha legittimamente individuato nell’incertezza giurisprudenziale esistente all’epoca sulla questione, risolta solo con la citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 23397/2016, l’elemento sufficiente a determinare la compensazione tanto delle spese del giudizio di primo grado, quanto di quelle del giudizio di appello (cfr. in fattispecie analoghe Cass. 24 aprile 2015, n. 8377, Cass. 9 novembre 2015 n. 22807; Cass. 2 dicembre 2015, n. 24489);

– ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo;

– in conclusione la proposta va condivisa e vanno rigettati i ricorsi principali e quello incidentale;

– il recente intervento delle Sezioni Unite di questa Corte giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità;

– va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in quanto l’obbligo del previsto pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del ricorso (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta i ricorsi principali e quello incidentale; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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