Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1111 del 21/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 1111 Anno 2014
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso 25161-2007 proposto da:
BRAMBILLA LAURA BRMLRA62L47F704X, BRAMBILLA SIMONA
BRMSMN67L43F704W, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato
GREGORIO IANNOTTA, che le rappresenta e difende
unitamente all’avvocato IANNOTTA ANTONELLA giusta
delega in atti;
– ricorrenti contro

AZIENDA OSPEDALIERA S. GERARDO DEI TINTORI DI MONZA
03253030153 in persona del Direttore Generale Dott.

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Data pubblicazione: 21/01/2014

AMBROGIO BERTOGLIO legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 35,
presso lo studio dell’avvocato VINCENTI MARCO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLOMBO
MICHELE giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 1184/2007 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/04/2007, R.G.N.
1909/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 31/05/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato ANTONELLA IANNOTTA;
udito l’Avvocato MARCO VINCENTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’accoglimento;

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– controricorrente

I FATTI

Nel febbraio del 2000 Maria Luigia Mariani convenne in
. giudizio, dinanzi al tribunale di Monza, l’Azienda Ospedaliera
S. Gerardo, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni
subiti in conseguenza di un intervento chirurgico di

derivati esiti di embolizzazione di collaterale arterioso del
ramo comune dell’emibranca inferiore con interessamento del
fascio papillomaculare.
Lamentò, in particolare, l’attrice tanto una colpa da imperizia
e negligenza dei sanitari nell’esecuzione dell’intervento,
quanto la violazione dell’obbligo di informazione sulle
modalità dell’intervento stesso, e sui rischi connessi.
Il giudice di primo grado respinse la domanda, non avendo
rinvenuto, nella vicenda così come ricostruita e rappresentata
dalla CTU, nessuno dei profili di responsabilità lamentati
dalla paziente.
La corte di appello di Milano, investita del gravame proposto
dall’attrice, lo rigettò.
Per la cassazione della sentenza della Corte milanese le eredi
della signora Mariani hanno proposto ricorso illustrato da un
unico, complesso motivo di censura.
Resiste l’Azienda ospedaliera con controricorso.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

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endoarteriectomia alla carotide destra dal quale le erano

si denuncia

Con il primo ed unico motivo,

violazione e falsa

applicazione degli artt. 1218, 1223 c.c. in relazione agli
artt. 32 e 1\3 della Costituzione e dell’art. 33 della legge n.
833 del 1978 e dei principi e norme che disciplinano la
responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per

informato in relazione alla condotta omissiva di adempimento
dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze
del trattamento cui il paziente venga sottoposto (art. 360 n. 3
c.p.c.); contraddittoria e illogica motivazione su un punto
decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).
La censura è corredata dai seguenti quesiti di diritto
(formulati ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis, nel vigore del D.lgs. 40/2006):
– Dica la Corte se, ai fini di configurare la responsabilità del
sanitario (e di conseguenza della struttura per cui egli
agisce) per violazione del consenso informato, rilevi
esclusivamente la tenuta di una condotta omissiva di
adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili
conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e
la successiva verificazione di un aggravamento delle sue
condizioni di salute, e ciò a prescindere se il trattamento sia
stato eseguito o meno correttamente e quindi a prescindere
dalla responsabilità connessa allo svolgimento dell’attività di
esecuzione del trattamento e, quindi, se la violazione
dell’obbligo del consenso informato rilevi ex se, ovvero abbia

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cui lo stesso agisce) per violazione dell’obbligo del consenso

rilevanza

solo nell’ipotesi

di

accertata

responsabilità

relativa all’esecuzione della prestazione sanitaria e del
relativo trattamento;
– Dica la Corte se, al fini di stabilire la sussistenza della
violazione dell’obbligo di consenso informato, rilevi la

dell’intervento che si propone, ovvero se ai fini della
violazione

dell’obbligo

del

consenso

informato

rilevi

esclusivamente la rappresentazione del benefici;
– Dica la Corte se, ai fini di stabilire la violazione o meno del
consenso informato, possa farsi riferimento ad un’ipotetica e
ragionevole scelta che il paziente avrebbe operato anziché alla
conoscenza/conoscibilità dei dati circa i possibili benefici e
rischi che gli vengono prospettati;
– Dica la Corte se, ai fini di stabilire la violazione
dell’obbligo di consenso informato, rilevi la mancanza del
prospetto informativo scritto e sottoscritto dalla paziente;
– Dica la Corte se il giudice, dopo aver affermato (venendo così
ad

escludere

qualsivoglia

responsabilità

del

medico

nell’esecuzione del trattamento), che erano state adottate
tutte le cautele per evitare il verificarsi di un rischio
connesso al trattamento e adottare le terapie farmacologiche
per evitare 11 rischio stesso, possa, con riferimento allo
stesso rischio

(poi

verificatosi in concreto) escludersi la

prevedibilità di tale rischio e, perciò, che il medesimo
rischio non dovesse essere rappresentato.
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rappresentazione non solo dei benefici ma anche dei rischi

Al di là della sua evidente infondatezza del merito (avendo la
corte territoriale fatto buongoverno proprio dei principi di
cui immotivatamente si lamenta da parte ricorrente la
violazione, e ciò è a dirsi, oltre che sotto il profilo di una
-nella specie impredicabile- colpa medica (di cui parte

l’aspetto della pretesa violazione del diritto all’informazione
acconsentita da parte della paziente, avendo il giudice
territoriale, in consonanza con quanto di recente stabilito da
questa Corte con la sentenza 2847 del 2010, convincentemente e
motivatamente escluso, anche in relazione alla mancanza del cd.
prospetto informativo, la consumazione di tale violazione nel
caso di specie), la complessa censura non è idonea a superare
la soglia dell’ammissibilità, con riferimento ai quesiti che la
sorreggono e la concludono.
Questo giudice di legittimità, difatti, ha già avuto più volte
modo di affermare che il quesito di diritto deve essere
formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in
termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica
unitaria della questione, con conseguente inammissibilità del
motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui
formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di
diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla
concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che
sia destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella
generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice

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ricorrente oggi più non si suole), in particolare sotto

di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata – o
disapplicata o erroneamente applicata, in astratto, – una norma
di legge ovvero un principio di diritto vivente. Il quesito
deve, di converso, investire la

ratio decidendi della sentenza

impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto: le

specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve
ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod.
proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione
dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un
quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in uno
pseudo-interrogativo di tipo circolare, che già presupponga la
risposta (ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il
caso sub iudice).
Tali appaiono, nella specie, i quesiti illustrati poc’anzi.
La corretta formulazione del quesito esige, inoltre (Cass.
19892/09), che il ricorrente
fattispecie concreta, poi
tipico, infine formuli,

dapprima indichi in esso la

la rapporti ad uno schema normativo

in forma interrogativa e non (sia pur

implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si
chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007)
l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si
risolva (come nella specie) in una generica istanza di
decisione sull’esistenza della violazione denunziata nel
motivo.

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stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente

In particolare, sul tema del cd. “quesito multiplo”, quale
quello di specie, questa Corte ha più volte evidenziato come
debba ritenersi inammissibile il quesito

formulato in termini

tali da richiedere una previa attività interpretativa della
Corte, come accade nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito

al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione,
per poi procedere alle singole risposte che potrebbero essere
tra loro diversificate

(Cass. 29 gennaio 2008, n. 1906; 29

febbraio 2008, n. 5471; 23 giugno 2008, n. 17064). Ebbene, i
quesiti formulati dalla difesa ricorrente appartengono,
incontrovertibilmente, a tale

species facti

(in senso

ulteriormente specificativo, Cass. 14 giugno 2011, n. 12950,
stabilisce che va qualificato come quesito multiplo

quello che

sia formulato in modo tale da rendere necessaria una
molteplicità di risposte da parte della Corte, e tale altresì
che le relative risposte risultino tra loro differenziate),
onde l’impossibilità, per il collegio, di applicare quella
diversa (e condivisa) giurisprudenza (Cass. 31 agosto 2011, n.
17886) secondo la quale, specularmente, il motivo di ricorso
deve ritenersi ammissibile volta che il ricorrente, pur avendo
formulato distinti e plurimi quesiti di diritto corrispondenti
alle diverse articolazioni di cui si compone la censura mossa
alla sentenza di merito, abbia pur tuttavia denunciato la
violazione di diverse norme di legge con riferimento

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multiplo, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi

un’unica, eventualmente fondamentale questione di diritto
oggetto della richiesta decisione.
Quanto al denunciato vizio di motivazione, va rammentato come
il tema della sintesi necessaria per il relativo esame sia
stato ancora affrontato dalle sezioni unite di questa Corte,

l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione del fatto
controverso” in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione: si è così affermato che la relativa
censura deve contenere

un momento di sintesi omologo del

quesito di diritto (cd. “quesito di fatto) – che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze
in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità.
Tale momento di sintesi, nella specie, manca del tutto con
riferimento al denunciato vizio motivazionale.
La disciplina delle spese – che possono per motivi di equità
essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese
del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, li 31.5.2013

che hanno analiticamente specificato (Cass. ss.uu. 20603/07)

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