Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11108 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. III, 10/06/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13741-2018 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato ROCCO AGOSTINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE VIOLA;

– ricorrente –

contro

C.F., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCESCO SGROI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 447/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/12/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

RILEVATO

che:

T.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 447-2018 della Corte d’Appello di Catania, articolando tre motivi.

Resiste con controricorso C.F..

La ricorrente espone in fatto di essere stata convenuta in giudizio da C.F. in ordine al contratto di locazione avente ad oggetto un immobile urbano sito in (OMISSIS). Detto immobile dal 4 dicembre 1985 risultava locato dal marito di C.F. all’odierna ricorrente. Nel 2014, divenuta erede di 1/12 dell’immobile, C.F. glielo aveva concesso in locazione con un contratto asseritamente affetto da nullità per una divergenza di date – quella posta a margine della sottoscrizione risulterebbe diversa da quella indicata nel testo dell’accordo -. A detto contratto era stata apposta una clausola risolutiva espressa che ne subordinava lo scioglimento al mancato pagamento di due mensilità entro il termine pattuito; avvalendosi di tale clausola, stante appunto la mancata corresponsione di due canoni mensili, quello del mese di ottobre e quello di novembre 2015, con atto di intimazione di sfratto per morosità e citazione per convalida C.F. intimava all’odierna ricorrente fratto per morosità, con disdetta del contratto ex art. 1456 c.c.

T.A., costituitasi in giudizio, si opponeva alla convalida di sfratto asserendo di avere pagato i canoni dovuti con vaglia postale e, con domanda riconvenzionale, chiedeva la restituzione del canone asseritamente indebitamente percepito dalla resistente con riferimento al precedente contratto di locazione.

Il Tribunale, investito della controversia, dichiarava risolto il contratto, condannava la conduttrice al rilascio dell’immobile, dichiarava cessata la materia del contendere circa la corresponsione dei due canoni mensili di ottobre e di novembre 2015; respingeva la domanda riconvenzionale dell’odierna ricorrente che veniva condannata al pagamento delle spese di lite.

T.A. impugnava la decisione n. 28824/17 dinanzi alla Corte d’Appello di Catania che, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, respingeva l’appello e condannava l’appellante alla rifusione delle spese.

Diritto

CONSIDERATO

che: 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 658, 663 e 665 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – sfratto per morosità presunta – consegna raccomandata 28 novembre 2015.

La ricorrente sostiene che la clausola risolutiva espressa non avrebbe dovuto essere azionata, atteso che, in data 13 novembre 2015, aveva inviato un vaglia per il pagamento del canone del mese di ottobre 2015. Per il vaglia, secondo la sua prospettazione, avrebbero dovuto operare le stesse regole vigenti per la notifica degli atti processuali tramite ufficiale giudiziario ed in particolare l’art. 149 c.p.c., per cui per il notificante gli effetti del vaglia avrebbero dovuto essere ritenuti perfezionati al momento del relativo invio. In sostanza, l’invio del vaglia in data 13 novembre relativo al pagamento del canone del mese di ottobre 2015, secondo l’argomentazione difensiva della ricorrente, avrebbe precluso alla locatrice la possibilità di avvalersi della clausola risolutiva espressa, essendo venuto meno il presupposto del mancato pagamento di due canoni mensili alla scadenza contrattualmente prevista.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c. in relazione all’art. 1456 c.c. in quanto clausola nulla per adempimento contrattuale.

Data l’incertezza della data di stipulazione del contratto di locazione, la clausola risolutiva espressa non avrebbe dovuto essere considerata valida.

3. Con il terzo motivo il ricorrente rileva la nullità della sentenza e del procedimento (insanabile) ai sensi degli artt. 429 c.p.c., della L. n. 433 del 1973, dell’art. 437 c.p.c., dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La ricorrente imputa al giudice a quo di non aver dichiarato la nullità della sentenza di prime cure che non aveva dato lettura in udienza del dispositivo della sentenza.

4. Va preliminarmente rilevato che la tecnica redazionale del ricorso si rileva inidonea ad offrire una esaustiva e chiara ricostruzione dei fatti di causa così come delle argomentazioni delle parti e della costruzione difensiva a supporto dei singoli motivi: il ricorso si diffonde su aspetti di cui non è stata dimostrata la rilevanza – ad esempio, il fatto che la resistente abbia ricevuto in eredità 1/12 del bene locato – contiene affermazioni del tutto incomprensibili o almeno non facilmente intellegibili – il Tribunale avrebbe annullato il contratto di locazione affetto da nullità insanabile per le firme con date diverse; le eccezioni e le difese dell’odierna ricorrente in appello sarebbero state “carcerate ingiustamente in violazione dell’art. 24 Cost. sull’assoluto diritto di difesa delle parti in giudizio” -; la ricorrente si lascia spesso andare ad invettive ed a declamazioni, ma il ricorso risulta carente sotto il profilo argomentativo logico-giuridico e il linguaggio impiegato risulta spesso telegrafico.

5. Il motivo numero uno è, peraltro, destituito di fondamento, perchè pretenderebbe un’applicazione estensiva del regime di conoscenza e di conoscibilità degli atti processuali al di fuori del contesto che è loro congeniale.

La notificazione è, infatti, un atto (od un procedimento) – che avviene su istanza di una parte, del pubblico ministero o del cancelliere – eminentemente formale dell’ufficiale giudiziario, con cui viene portato a conoscenza qualificata del destinatario un altro atto, redatto per iscritto, di cui viene consegnata una copia conforme all’originale. In calce all’originale ed alla copia, prima che venga consegnata, l’ufficiale giudiziario redige una relazione, da lui datata e sottoscritta, con cui certifica l’eseguita notificazione (artt. 137,148 c.p.c.), relazione che fa piena prova fino a querela di falso delle indicazioni in essa contenute circa le operazioni e ricerche fatte dall’ufficiale giudiziario, la persona alla quale fu consegnata la copia ed il luogo della consegna, ecc.

Perciò, un conto è la notificazione, ben altro la presunzione di conoscenza degli atti privati, regolata dall’art. 1335 c.c.

Va dato atto, peraltro, che rappresenta un principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui ove la parte non inadempiente abbia chiesto la risoluzione del contratto non è possibile evitarla con un adempimento tardivo, come quello realizzatosi in questo caso.

6. Il motivo numero due è inammissibile.

Non solo non risulta chiaro se l’intento della ricorrente sia quello di invocare la nullità dell’intero contratto ovvero solo quella della clausola risolutiva espressa – in assenza, peraltro, in quest’ultimo caso dei presupposti che l’art. 1419 c.c. richiede perchè possa ravviarsi un nullità parziale -; ma prima ancora non si capisce per quale ragione un errore evidentemente solo materiale consistente nell’indicazione della data di stipulazione del contratto -superato, in ogni caso, dalla data di registrazione del medesimo – dovrebbe tradursi in un vizio così radicale dell’atto. Nessuna confutazione risulta formulata in merito al rilievo che il contratto era stato registrato e che questo aveva superato ogni criticità circa la data in cui era stato stipulato.

7. Il terzo motivo trova smentita nella sentenza impugnata che alle pagg. 3-4 ha rilevato che la sentenza di prime cure aveva dato atto di aver dato lettura del dispositivo della sentenza e che non era necessario adottare formule sacramentali a tale scopo, senza che tale ricostruzione sia stata fatta oggetto di specifico gravame.

8. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

8. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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