Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11107 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. I, 07/05/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 07/05/2010), n.11107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18097/2007 proposto da:

COMUNE DI CHIETI (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso

lo STUDIO SINAGRA SABATINI SANCI’, rappresentato e difeso

dall’avvocato QUINZIO Paolo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI CHIETI (c.f. (OMISSIS));

– intimata –

avverso la sentenza n. 924/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/12/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/02/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ENRICO QUINZO, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI Marco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello dell’Aquila, con sentenza del 15 dicembre 2006,in riforma della sentenza del Tribunale di Chieti in data 17 ottobre 2003, ha condannato il comune di Chieti corrispondere alla Provincia di Chieti per l’occupazione senza titolo – protrattasi dall’anno 1959 – di un edificio di proprietà di quest’ultima destinato all’Istituto d’Arte di (OMISSIS), la complessiva somma di Euro 2.024.156,23 oltre accessori, nonchè l’ulteriore importo di Euro 77.759,15 per ogni ulteriore anno di occupazione; e previa detrazione della somma di Euro 77.759,15 quale rimborso delle spese effettutate dal comune per lavori di manutenzione dei locali; ciò in quanto per legge gravava sul comune l’obbligo di fornire i locali con la conseguenza che detto ente era tenuto al pagamento del corrispettivo per avere utilizzato immobili di proprietà della Provincia.

Per la cassazione della sentenza l’amministrazione comunale ha proposto ricorso per 4 motivi. La Provincia di Chieti non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, il comune di Chieti, deducendo violazione degli artt. 826 ed 828 cod. civ., nonchè D.P.R. n. 1467 del 1959 e L. n. 163 del 1962, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che per l’utilizzazione dell’edificio adibito ad istituto d’arte era dovuto un corrispettivo senza considerare: a) che l’immobile aveva una tale destinazione cui non poteva essere sottratto con negozi di diritto comune; b) che il terzo nel caso aveva utilizzato l’edificio proprio secondo la sua destinazione; e che d’altra parte essa amministrazione non era tenuta ad assicurare la funzionalità del pubblico servizio scolastico erogato alla collettività dagli Istituti e dalle scuole d’arte mediante la fornitura di locali; c) che in tal caso si determina una mera successione di enti nell’uso diretto dell’immobile in conformità della destinazione pubblica che lo stesso possiede.

Il motivo è infondato.

Come,infatti,ha rilevato la sentenza impugnata, il comune di Chieti era tenuto in base al disposto della L. n. 163 del 1962, art. 1, a fornire i locali occorrenti per l’istituto d’arte; che dunque ove detta amministrazione non avesse utilizzato immobili che le appartenevano, ben potevano essere reperiti con tutti gli strumenti apprestati dall’ordinamento, sia di natura pubblicistica, quali espropriazioni o requisizioni, naturalmente corrispondendo ai proprietari gli indennizzi stabiliti dall’art. 42 Cost.. Ovvero attraverso i consueti negozi privatistici, quali comprovendita, permuta, locazione o altro, assumendo le relative obbligazioni che ciascuno di essi comporta a carico di chi acquisisce la disponibilità di un immobile già appartenente a terzi: come del resto ha sostanzialmente riconosciuto l’amministrazione comunale riferendo che per anni erano intercorse trattative al riguardo tra le parti,mai sfociate nella stipula di una convenzione.

Pertanto,essendo pacifico tra le parti che l’edificio destinato all’Istituto d’Arte si apparteneva alla Provincia di Chieti, a nulla rilevava stabilire le modalità attraverso cui lo stesso era stato acquisito, essendo invece decisiva la circostanza che il comune di Chieti lo avesse occupato senza titolo, pur se per destinarlo ad una finalità pubblica imposta dal D.P.R. n. 1467 del 1959, nonchè dalla menzionata L. n. 163 del 1962; e che dunque restasse esposto a tutte le conseguenze stabilite dall’art. 2043 cod. civ., che obbliga l’autore di un danno ingiusto – sia ente pubblico o soggetto privato – a risarcire il danno arrecato dal fatto illecito commesso.

Nè giova al comune il fatto che nel caso detto istituto fosse stato costruito dalla Provincia onde essere destinato proprio a sede dell’Istituto d’Arte, perchè detta qualità di bene del patrimonio indisponibile di detto ente (art. 826 cod. civ.) che poteva peraltro essere invocata soltanto dall’amministrazione proprietaria, si concreta, solo in un vincolo di destinazione per l’edificio comportante la conseguenza (che qui non viene in discussione) che la stessa potesse esser fatta cessare dalla Provincia soltanto “nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”. Ma essa si traduce ancor prima e soprattutto in una maggior tutela per il patrimonio indisponibile di detto ente pubblico che non consente a terzi di acquisire l’immobile, di assoggettarlo ad esecuzione forzata e quindi a maggior ragione di conseguirne la disponibilità attraverso strumenti diversi da quelli previsti dalle leggi suddette: perciò legittimando l’ente proprietario ad avvalersi (anche) dei mezzi ordinari a difesa del suo diritto dominicale leso dall’occupazione illegittima dell’edificio (Cass. sez. un. 12313/1992).

Con il secondo motivo, il Comune, deducendo violazione della L. n. 23 del 1996 e L. n. 34 del 1997, lamenta che la sentenza non abbia preso in considerazione dette disposizioni legislative che hanno trasferito alla Provincia l’obbligo di provvedere alla realizzazione ed alla fornitura degli edifici destinate a licei artistici e ad istituti d’arte;hanno previsto la stipula di apposite convenzioni; e che in attuazione della nuova normativa il Consiglio provinciale aveva approvato uno schema di convenzione da stipulare con esso comune,ed aveva ottenuto la restituzione dell’edificio quanto meno dall’1 gennaio 1998.

Questa doglianza è infondata.

La L. n. 23 del 1996, art. 1, ha trasferito alle Province l’obbligo di realizzare o fornire i locali “da destinare a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d’arte”; ed il successivo art. 8 ha stabilito che allorquando detti locali appartengano come nella fattispecie a soggetti diversi dallo Stato o dai Comuni, e su di essi sussista il vincolo di destinazione ad uso scolastico, “i rapporti conseguenti a tale uso sono regolati con apposita convenzione tra gli enti interessati, conformemente ai principi di cui all’art. 3”.

La necessità di detta convenzione è stata, infine, ribadita dalla L. n. 340 del 1997, art. 1, la quale ha aggiunto che “Fermo restando quanto disposto della L. 11 gennaio 1996, n. 23, art. 3 e art. 8, comma 11, e successive modificazioni, le convenzioni previste dai commi 1 e 3 del citato articolo 8 e dal comma 4 dell’articolo 9 della medesima legge possono essere stipulate successivamente al 1 gennaio 1997 e comunque non oltre il 31 dicembre 1997. Fino alla stipula di tali convenzioni lo Stato, le istituzioni scolastiche statali, i comuni e gli altri enti, precedentemente obbligati, assicurano la manutenzione ordinaria e la gestione degli edifici forniti e sopperiscono alle esigenze eccezionali”.

Ora, il comune di Chieti ha trascritto nel ricorso le delibere consiliari di entrambe le parti,nonchè gli atti di convenzione attestanti che l’edificio in data 20 gennaio 1998 è stato restituito all’amministrazione provinciale e sono state adottati i necessari provvedimenti per la stipula della convenzione prevista dalle ricordate disposizioni legislative, non ancora perfezionate come riferito dallo stesso ente pubblico.

E tuttavia la Corte di appello ha liquidato,per l’occupazione dell’edificio, la complessiva somma di Euro 142.542,00 facendo riferimento agli importi a tale titolo determinati dalla consulenza tecnica fino al 31 gennaio 1997, epoca in cui in base alle menzionate delibere l’immobile pacificamente era detenuto dall’amministrazione comunale che ancora non lo aveva restituito alla Provincia. Mentre per il periodo successivo ed a decorrere dall’1 febbraio 1998, la sentenza impugnata ha determinato l’indennizzo dovuto a quest’ultimo nella misura di Euro 142.542,00 per ogni anno di successiva ed effettiva occupazione: con tale liquidazione intendendo significare che il canone era dovuto fino al termine dell’occupazione in tale misura e per tutto il tempo in cui l’occupazione dell’immobile continuava a protrarsi; con la conseguenza che detta obbligazione cessava nel momento in cui sarebbe avvenuta la riconsegna dell’immobile.

Pertanto neppure sotto tale profilo la decisione è censurabile non avendo al stessa posto alcuna obbligazione a carico del comune per il periodo successivo alla effettiva riconsegna dell’edificio all’ente proprietario.

Inammissibile è invece il terzo motivo del ricorso con cui il Comune si duole che detto indennizzo sia stato calcolato per una estensione di mq. 3836,laddove l’edificio ne misurava effettivamente mq.

3167,22; e quindi in misura di L. 6.000 mq. da considerarsi manifestamente eccessiva rispetto a quella di L. 4.500 calcolata dall’UTE nel 1987.

Nessuna di queste contestazioni è infatti menzionata dalla Corte di appello; per cui deve nel caso trovare applicazione la giurisprudenza di questa Corte, da anni pacifica, per la quale ove di una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente può evitare una statuizione d’inammissibilità, per novità, della censura soltanto se – nel mentre asserisce di aver dedotto la questione davanti al giudice “a quo” indichi anche in quale atto e-o in quale momento del giudizio precedente lo abbia fatto, in modo da dare al Collegio il modo di controllare, ex actis, la veridicità di tale asserzione prima di passare al merito.

Nel caso, invece, il comune di Chieti si è limitato a rinviare alle contestazioni alla consulenza tecnica asseritamente formulate “nel corso delle fasi di merito” (pag. 48), senza neppur trascriverne il contenuto;e perciò non consentendo a questa Corte il controllo della rilevanza delle contestazioni svolte, che per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto. Alle cui lacune non è conclusivamente consentito sopperire con indagini integrative.

Con l’ultimo motivo del ricorso,il comune di Chieti, deducendo violazione dell’art. 1224 cod. civ., censura la sentenza impugnata per aver rivalutato alla data della decisione l’indennizzo dovuto alla Provincia per l’abusiva occupazione senza considerare da un lato che tratta vasi di mero corrispettivo,perciò avente natura di debito di valuta; e dall’altro che la Provincia non aveva neppure prospettato alcuno degli elementi indispensabili per formulare la presunzione che consente ai sensi della menzionata norma, l’aggiunta agli interessi legali del danno ulteriore provocato dalla svalutazione.

Questo motivo è del tutto infondato, in quanto non tiene conto della giurisprudenza di questa Corte, da decenni consolidata,per la quale il risarcimento dovuto al proprietario di un fondo, per il periodo dell’illegittimo protrarsi dell’occupazione dello stesso, qualunque sia il nome attribuitogli – corrispettivo,indennizzo ecc. – trova fondamento in una responsabilità extracontrattuale per fatto illecito e dovendo tendere, pertanto, alla reintegrazione del danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi del fatto medesimo,integra un debito di valore; per cui, quale che sia il criterio con cui vengo quantificato il debito capitale costituente ciascuna annualità, il relativo importo deve essere rivalutato per effetto e nella misura della perdita di valore della moneta, con riferimento alla data della decisione. Ed il giudice deve procedervi anche d’ufficio ed in grado d’appello, sì da adeguare le somme a tale titolo liquidate ai valori monetari del momento della pronuncia giudiziale.

Il susseguirsi di diverse e non sempre chiare disposizioni legislative, sugli enti territoriale tenuti alla fornitura degli immobili idonei ad ospitare gli istituti d’arte e sulla loro regolamentazione, inducono il Collegio a dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte,rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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