Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11106 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 05/05/2017, (ud. 09/02/2017, dep.05/05/2017),  n. 11106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10350-2016 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

PLEBISCITO 112, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MANZULLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE STASSI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4392/29/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 20/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2017 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Preso atto:

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., delibera di procedere con motivazione sintetica;

che S.M. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Agrigento. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto il ricorso del S. avverso un avviso di accertamento IRPEF anno 2006;

che, nella decisione impugnata, la CTR ha rilevato che, mentre risultava accertata l’esistenza e l’ammontare della disponibilità, nel periodo contestato, di redditi risultanti da disinvestimenti azionari, non risultava viceversa accertata la durata del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria a consentire la riferibilità della maggior capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente;

che il ricorso è affidato a tre motivi;

che, col primo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, giacchè, a fronte della richiesta dell’Agenzia di riduzione della pretesa fiscale, il giudice dell’impugnazione si sarebbe spinto a ritenere inidonea tutta la documentazione ed ad annullare tutta la sentenza;

che, col secondo, si invoca la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, nonchè degli artt. 2697 e 2729 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3: una volta dedotta e documentata dal contribuente la capacità di spesa nell’anno di riferimento, sarebbe dovuto spettare all’Agenzia l’onere di contrastare la ragionevolezza del fatto;

che, col terzo, il ricorrente assume l’omesso esame di un fatto decisivo e risolutivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: la CTR avrebbe omesso di argomentare sul finanziamento della spesa da parte di soggetti diversi dal contribuente, nonchè sulla capacità di spesa rinveniente dalla verifica finanziaria prodotta nel giudizio d’impugnazione;

che l’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso; che il primo motivo è immeritevole di accoglimento; che, col suo gravame dinanzi alla CTR, l’Ufficio aveva sostenuto che la documentazione prodotta dal contribuente, consistita in attestazioni di incasso di somme da parte di istituti di credito, non sarebbe stata idonea a superare la presunzione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, sicchè, avendo l’Agenzia accertato una maggiore capacità contributiva per Euro 159.154,00, la CTP avrebbe comunque dovuto ridurre la pretesa fiscale e non annullarla totalmente;

che i giudici d’appello hanno condiviso l’argomentazione principale dell’appellante, senza travalicare i principi di cui agli artt. 112 e 115 c.p.c.;

che il secondo motivo è anch’esso infondato;

che, infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, nella versione vigente “ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. (Sez. 5, n. 25104 del 26/11/2014);

che neppure la terza censura coglie nel segno;

che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014);

che, nella specie, a guardar bene, la doglianza si traduce nella diversa valutazione delle prove addotte dal contribuente, ben distante dalle fattispecie poc’anzi considerate;

che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo;

che, ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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