Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11102 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 27/04/2021), n.11102

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4823/2017 proposto da:

K.G. e D.N.A., rappresentate e difese dagli avv. Angelo

Cuva e Giovanni Palmieri ed elettivamente domiciliate presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, Via del Fante n. 2;

– ricorrenti –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2705/30/16 della Commissione tributaria

Regionale della Sicilia, depositata il 12/07/2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/01/2021

dal Consigliere Dott. Pepe Stefano.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. L’Agenzia delle entrate notificava a K.G. e D.N.A. l’avviso di rettifica con il quale l’Ufficio aveva rideterminato il valore dei beni a loro trasferito a seguito di dichiarazione di successione del dante causa D.N.G. e, per l’effetto, richiesto maggiori imposte di successione.

2. A seguito di impugnazione, la CTR, con sentenza n. 81/23/2002, confermava la pronuncia di primo grado e, per l’effetto, accoglieva l’originario ricorso delle contribuenti.

3.Con successiva sentenza n. 12219/08 questa Corte, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia dell’entrate, cassava con rinvio la sentenza della CTR.

4. L’Amministrazione riassumeva il giudizio e la CTR, con sentenza n. 116/24/2010, confermava la legittimità dei suindicati avvisi.

5. L’Agenzia dell’entrate, in ragione dell’intervenuta sentenza, notificava alle contribuenti due avvisi di liquidazione relativi al recupero delle maggiori imposte di successione dovute.

6. Le contribuenti impugnavano tali avvisi deducendone la nullità sul presupposto di non aver avuto notizia dell’atto ad essi prodromico ovvero della sentenza n. 116/24/2010 emessa dalla CTR in assenza di una valida notifica nei loro confronti del ricorso in riassunzione e della indicata sentenza.

6. La CTR, con sentenza n. 2705/30/16, depositata il 12/7/2016, rigettava l’appello e, per l’effetto, confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto l’originario ricorso.

7. Avverso tale sentenza le contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

8. L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i contribuenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza emessa dalla CTR per violazione dell’art. 112 c.p.c. In proposito le ricorrenti rilevano di aver eccepito dinnanzi ai giudici di merito la nullità degli avvisi di liquidazione in quanto essi originavano direttamente ed esclusivamente dalla sentenza della CTR n. 116/24/2010; sentenza che doveva ritenersi illegittima in quanto conseguente ad un atto di riassunzione inesistente per mancata notifica dello stesso alle contribuenti.

A fronte di tali argomenti, i contribuenti ritengono che la CTR abbia confuso l’oggetto del giudizio che non era il procedimento di riassunzione conclusosi con la sentenza della CTR n. 116/24/2010, ma la legittimità degli avvisi di liquidazione in assenza di un valido atto prodromico alla loro emanazione.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 291 e 392 c.p.c.

Le contribuenti rilevano che nel caso di specie la notifica dell’atto di riassunzione era avvenuta nei confronti del difensore che aveva assistito le stesse nelle fasi di merito e non dinnanzi alla Suprema Corte e, dunque, a un difensore a cui era stata revocata la procura, con la conseguenza che la relativa notifica doveva intendersi inesistente e non nulla.

3. Con il terzo motivo viene dedotta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e degli artt. 24 e 111 Cost..

Con tale censura le contribuenti lamentano che gli avvisi di accertamento a loro notificati dall’Agenzia delle entrate richiamavano esclusivamente gli estremi della sentenza della CTR n 116/24/2010 sulla quale si fondavano senza ulteriore indicazione così violando le norme sopra indicate.

4. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, non sono fondati.

La censura proposta dalle ricorrenti muove da un errato presupposto argomentativo secondo il quale la CTR non avrebbe colto l’oggetto del giudizio a lei demandato e cioè l’illegittimità derivata degli avvisi di accertamento in quanto fondanti su una sentenza illegittima, incentrandosi i giudici di merito nell’esaminare la regolarità del procedimento di riassunzione posto alla base di tale sentenza.

In primo luogo, va evidenziato che la censura così posta risulta frutto di una sovrapposizione di piani, risultando di tutta evidenza la stretta inscindibilità delle questioni come sopra riportate.

E’, infatti, evidente che la dedotta illegittimità degli avvisi, trova ragione nella illegittima della sentenza e, in particolare, nel procedimento di riassunzione sulla quale essa si fonda.

La CTR, dunque, proprio nell’affrontare la questione prospettata dalle ricorrenti, ha correttamente esaminato la ritualità della procedura di riassunzione posta a fondamento della sentenza della CTR n. 116/24/2010 di cui veniva chiesta la dichiarazione di nullità.

Nel caso di specie è pacifico che l’Agenzia delle entrate ha provveduto a riassumere il giudizio, a seguito della sentenza di questa Corte, notificando il relativo atto presso il domicilio eletto dalle contribuenti nelle fasi di merito e, dunque, presso lo studio del loro difensore.

Tale notifica, in quanto difforme da quella prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, era da considerarsi nulla e non inesistente.

Costituisce ius receptum della giurisprudenza di legittimità (ex plurimis e da ultimo Cass. n. 20049 del 2015), da cui non si ravvisa ora ragione per discostarsi, il principio secondo il quale la riassunzione del giudizio davanti al giudice di rinvio, eseguita con notificazione presso il domiciliatario ovvero al difensore costituito nelle pregresse fasi di merito, anzichè alla parte personalmente, è nulla, ma – data la possibilità di ricollegare tali soggetti con precedenti designazioni della stessa parte – non è inesistente.

In sostanza, fermo il principio che è inesistente la notificazione eseguita in luogo privo di collegamento con il destinatario ovvero quando omessa la consegna dell’atto da notificare, mentre è nulla quando essa, nonostante l’inosservanza di formalità e di disposizioni di legge, sia comunque materialmente avvenuta mediante rilascio di copia dell’atto a persona e luogo avente un qualche riferimento con il destinatario della notificazione, la notifica avvenuta al difensore delle contribuenti nelle fasi di merito, seppure non più loro rappresentante nel successivo giudizio di legittimità, non conduce, proprio per la riferibilità dello stesso alle odierne ricorrenti, a una dichiarazione di inesistenza della notifica dell’atto in riassunzione.

Ne consegue che, in applicazione dell’art. 291 c.p.c., il giudice di rinvio non poteva dichiarare in tale ipotesi l’estinzione del processo, ma, a meno che la parte intimata non si fosse costituita, sanando la nullità; egli avrebbe dovuto ordinare la rinnovazione della notificazione. In tali casi, la prosecuzione del giudizio nonostante l’invalidità, comporta che la S.C. investita del relativo ricorso, deve dichiarare la nullità e cassare la sentenza impugnata con rinvio, quand’anche nelle more delle precorse fasi processuali sia decorso il termine perentorio stabilito dall’art. 392 c.p.c., potendo la menzionata nullità essere sanata con effetto retroattivo dalla riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio, ritualmente eseguita dall’una o dall’altra parte in lite, con le forme prescritte dall’art. 392 c.p.c., comma 2.

Era, pertanto, onere delle contribuenti impugnare la sentenza n. 116/24/2010 emessa dalla CTR, quale giudice del rinvio.

Tale mancata attività processuale non può essere surrogata, così come avvenuto nel caso di specie, con l’avvio di un ulteriore giudizio tributario avente ad oggetto gli avvisi di liquidazione che richiamano la sentenza sopra indicata, risolvendosi tale esercizio del potere di impugnazione in una forma elusiva del procedimento sopra delineato.

La CTR nel rigettare l’appello delle contribuenti ha fatto corretta applicazione di tali principi.

5. Il terzo motivo deve essere dichiarato inammissibile.

Con esso viene, infatti, prospettata, per la prima volta in sede di legittimità, un presunto vizio di motivazione degli avvisi di liquidazione oggetto di impugnazione limitandosi essi ad indicare la sentenza n. 116/24 del 2010 posto a loro fondamento.

All’uopo deve rilevarsi che, per come riportato nel ricorso (pag. 2) le contribuenti sin dal giudizio di primo grado “con l’unico motivo di ricorso eccepivano l’illegittimità degli atti impugnati per illegittimità e mancata legale comunicazione dell’atto ad essi prodromico, ovvero la sentenza n. 116/24/2010” emessa dalla CTR di Palermo.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate che si liquidano in Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

 

 

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