Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 111 del 08/01/2021

Cassazione civile sez. I, 08/01/2021, (ud. 29/10/2020, dep. 08/01/2021), n.111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17894/2019 proposto da:

Y.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO n. 9,

presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2208/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 5.10.2017 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale aveva respinto la domanda di Y.S. volta al riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria.

Interponeva appello lo Y. e la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata, n. 2208 del 2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione Y.S. affidandosi a sette motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria senza previo esame della condizione di violenza generalizzata esistente in Gambia, Paese di origine del richiedente.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione E.D.U. perchè il procedimento previsto in materia di protezione internazionale sarebbe caratterizzato da una irragionevole compressione del diritto di difesa del richiedente, sotto il profilo dell’imparzialità dell’organo decidente, dell’effettività della tutela e del mancato esercizio, da parte del giudice di merito, del dovere di cooperazione istruttoria nell’acquisizione delle informazioni sul Paese di provenienza del richiedente la protezione.

Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), riproponendo in sostanza la stessa censura di cui alla prima doglianza.

Con il sesto motivo, invece, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7 e 8, perchè la Corte territoriale non avrebbe riconosciuto l’esistenza, in Gambia, di una situazione di grave violazione dei diritti umani fondamentali.

Le quattro censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

Il ricorrente aveva riferito di essere stato fermato mentre, alla guida del suo taxi, trasportava un cliente; che era stata trovata della sostanza stupefacente nel bagaglio di quest’ultimo, il quale però ne aveva negato la proprietà; che la polizia aveva allora intimato al richiedente di trovare un avvocato nel termine di 15 giorni; che egli, non avendo la necessaria disponibilità economica e temendo una condanna a 18 anni di reclusione, si era risolto a fuggire dal Paese. La storia è stata ritenuta non credibile e la situazione esistente in Gambia è stata apprezzata dal giudice di merito (cfr. pagg. 5 e ss.), con indicazione delle fonti internazionali consultate e delle informazioni specifiche da esse tratte (cfr. pag. 7). Il ricorrente contrappone alle fonti consultate dalla Corte di Appello il rapporto freedomhouse del 2018 e l’avviso contenuto nel sito del Ministero degli Affari esteri del 2019, senza tuttavia indicare in modo specifico sotto quali profili dette fonti conterrebbero informazioni differenti da quelle individuate dal giudice di merito. Nel merito, peraltro, è notorio che la situazione del Gambia sia notevolmente migliorata, da quando (ad inizio 2017) il nuovo presidente A.B. ha preso il posto del deposto dittatore Y.J., il quale, dopo un iniziale rifiuto di prendere atto della sconfitta alle elezioni del 2016, ha accettato il verdetto delle urne, allontanandosi dal Paese sotto la pressione della forza di interposizione inviata in Gambia dell’Ecowas. Le stesse fonti indicate dal ricorrente dimostrano il progresso delle condizioni del Paese, sia sotto il profilo della trasparenza dell’azione del governo, che sotto il profilo della sicurezza generale. Le censure, quindi, non si confrontano con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con specifico riferimento al quarto motivo, inoltre, va dichiarata inammissibile la doglianza genericamente proposta in relazione alla compressione dei diritti di difesa del richiedente, perchè il richiedente non indica alcuna lesione che gli sarebbe derivata, in concreto, per effetto della peculiare cadenza processuale prevista dal legislatore in materia di protezione internazionale.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, che ha introdotto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, artt. 12, 14, 31 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di disporre l’audizione del richiedente, in assenza di videoregistrazione del colloquio svoltosi innanzi la Commissione territoriale.

Con il terzo motivo, logicamente connesso al secondo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,13 e 27, per mancato svolgimento, nel corso del processo di merito, del colloquio personale con il richiedente la protezione.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate. Va invero ribadito che “Nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24544 del 21/11/2011, Rv. 619702; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 14600 del 29/05/2019, Rv. 654301).

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto non necessaria l’audizione perchè lo Y. era stato posto in grado di riferire ogni circostanza utile dinanzi alla Commissione territoriale. Il ricorrente non si confronta con tale passaggio della motivazione, ma si limita a dolersi genericamente della sua mancata audizione, senza neanche aver cura di indicare quali elementi egli avesse in animo di dettagliare in sede di (rinnovata) audizione. Sul punto, ferma restando la non obbligatorietà dell’incombente in appello, è opportuno ribadire che il motivo non contiene neppure le indicazioni specifiche richieste dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento all’audizione che si svolge nell’udienza prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis. Tale disposizione, infatti, è stata interpretata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, non massimata) nel senso che, fermo il principio per cui l’obbligo di fissazione dell’udienza non implica automaticamente anche quello di rinnovare l’audizione del richiedente, il giudice è tuttavia tenuto a disporla quando:

a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda di asilo (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, lett. c)), poichè in tal caso va assicurato il confronto tra il giudice ed il richiedente, ed il diritto di quest’ultimo di essere ascoltato, su detti nuovi elementi, non preventivamente dedotti ed approfonditi nella fase amministrativa;

b) il giudice ritenga necessaria una nuova audizione, anche in assenza di nuove deduzioni, per acquisire chiarimenti in ordine alle incongruenze e contraddizioni rilevate dalla Commissione nelle dichiarazioni del richiedente asilo (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 10, lett. a) e b));

c) il ricorso contenga l’istanza del richiedente di essere ascoltato, con la precisazione degli aspetti in ordine ai quali egli intende fornire chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, lett. b)).

Le censure in esame non rientrano neppure nel paradigma suindicato, in quanto il ricorrente non indica nei due motivi, nè specifica di aver dedotto in atto di appello, alcuno specifico tema o elemento nuovo, non previamente approfondito in occasione dell’audizione innanzi la Commissione territoriale o nel corso del giudizio di primo grado, nè di aver proposto con il predetto atto di appello specifica istanza di essere ascoltato, corredata dall’indicazione degli aspetti in relazione ai quali egli intendeva rendere chiarimenti.

Con il settimo ed ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 2 Cost., artt. 3 e 8 della Convenzione E.D.U., perchè la Corte di Appello di Catanzaro avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale ha infatti apprezzato la situazione esistente in Gambia, Paese di origine del richiedente, la sua condizione individuale e la sua integrazione in Italia, escludendo la sussistenza di profili di vulnerabilità e di rischi di compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio, a fronte della mancata allegazione, da parte del richiedente, di una specifica situazione di vulnerabilità soggettiva. Il ricorrente contesta tale valutazione, senza tuttavia allegare alcun elemento concreto che il giudice di merito non avrebbe considerato, o avrebbe valutato in modo non corretto, e senza confrontarsi con la motivazione resa dal giudice di merito, nè indicare alcun profilo di effettiva integrazione sociolavorativa in Italia ulteriore rispetto al rapporto di lavoro a tempo determinato presso una azienda agricola indicato dal giudice di appello (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata), e da quest’ultimo ritenuto insufficiente ai fini della dimostrazione della predetta integrazione.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di notificazione di controricorso da parte del Ministero dell’Interno, intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

 

 

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