Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11095 del 19/04/2019

Cassazione civile sez. I, 19/04/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 19/04/2019), n.11095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11244/2018 proposto da:

Z.A., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Ceci Mauro, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Gorizia, in

persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 143/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

pubblicata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/03/2019 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- La Corte di Appello di L’Aquila ha respinto l’appello presentato da Z.A., cittadino pakistano, avverso l’ordinanza resa dal Tribunale di L’Aquila in data 19 gennaio 2017, con rigetto del ricorso presentato nei confronti del provvedimento della Commissione territoriale di Ancona, che aveva escluso la sussistenza nel richiedente dei presupposti stabiliti dalla legge per il riconoscimento della protezione internazionale e per la concessione della protezione umanitaria.

Contro la sentenza della Corte di Appello è ora proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo.

Resiste, con controricorso, il Ministero.

2.- Il motivo di ricorso assume “violazione o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Violazione di legge per mancata applicazione della Convenzione di Ginevra, art. 2 e violazione di legge per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e per la mancata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – omessa valutazione documenti disponibilità lavorativa ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria”.

Nella sostanza, il motivo assume che la “Corte territoriale non motiva affatto sulla mancanza dichiarata dei presupposti di legge per la concessione dei diversi tipi di “protezione” alternativa a quella internazionale”, limitandosi a utilizzare “frasi che costituiscono delle cosi dette clausole di stile” e “non esaminando per niente la storia personale del richiedente”.

3.- Il ricorso è inammissibile.

Il motivo non viene in effetti a confrontarsi con le ragioni poste dalla Corte aquilana a base delle proprie valutazioni.

La pronuncia ha rilevato, in particolare, come “dallo stesso racconto” del richiedente “si desuma che la vicenda è strettamente privata, consistendo in divergenze familiari sull’opportunità di un matrimonio, che avrebbe avuto conseguenze tragiche per la fidanzata e per uno zio del ricorrente, ma non per quest’ultimo, ad opera dei familiari della ragazza”.

Essa ha pure preso in esame i reports relativi alla situazione del Pakistan (linee guida dell’UNHCR; rapporti elaborati dall’EASO), per rilevare che fenomeni di violenze indiscriminate si riscontrano effettivamente nel Paese del Pakistan. Questo, tuttavia, con riferimento alle provincie di frontiera del nord-ovest, laddove il ricorrente proviene invece dal distretto del (OMISSIS), “che si trova nella parte opposta (quella nord-orientale)”.

Con riguardo alla protezione umanitaria, inoltre, la Corte territoriale ha rilevato come non siano, di per sè, condizioni sufficienti per la concessione la “giovane età del richiedente” e l’eventuale svolgimento di una “attività lavorativa in Italia”, posto che la normativa fa segnato perno sulla c.d. condizione di vulnerabilità.

4.- Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

Il ricorrente risulta ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

la corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 2.100,00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2019

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