Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1109 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 18/01/2017, (ud. 07/11/2016, dep.18/01/2017),  n. 1109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19030/2011 proposto da:

CASSIM SRL, in persona dell’Amm.re Unico e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI VILLA SEVERINI 54,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TINELLI, che lo rappresenta

e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE, in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

SERIT SICILIA SPA AGENTE RISCOSSIONE PROVINCIA DI SIRACUSA, in

persona del Presidente del C.d.A., elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA MAZZINI 27, presso lo STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS

AVVOVATI, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO MARANO giusta

delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 158/2010 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 25/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato RIDOLFI per delega dell’Avvocato

TINELLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MELONCELLI che si riporta

agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 158 del 25 maggio 2010 la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia accoglieva, previa riunione, gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate e dalla concessionaria per la riscossione SERIT SICILIA s.p.a. e rigettava l’appello incidentale proposto dalla contribuente SOGEMA s.r.l. (ora CASSIM s.r.l.) avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla predetta società avverso una cartella di pagamento emessa a seguito di iscrizione a ruolo per omessi o tardivi versamenti di IRPEG, IVA, IRAP e ritenute alla fonte risultanti dal controllo automatizzato delle dichiarazioni relative agli anni di imposta 2002 e 2003, effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis.

2. Sosteneva la CTR, con riferimento ai motivi di appello proposti dall’Amministrazione finanziaria e dalla concessionaria per la riscossione, per quanto ancora qui di interesse:

– che la sottoscrizione della cartella di pagamento non costituiva elemento essenziale della procedura esattoriale e la sua mancanza non comportava la nullità della stessa se inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo;

– che l’inutile decorso del termine annuale per la rettifica delle dichiarazioni, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 1, non costituiva causa di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi, stante l’efficacia retroattiva della disposizione di interpretazione autentica di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 28, sulla natura meramente ordinatoria di quel termine;

con riferimento, invece, all’appello incidentale proposto dalla società contribuente in relazione alla compensazione delle spese processuali, sosteneva che il giudice di primo grado aveva adeguatamente giustificato la statuizione adottata e che, in ogni caso, a seguito dell’accoglimento dell’appello dell’Agenzia era venuta meno anche la soccombenza dell’Ufficio in primo grado, mentre in relazione ai motivi di impugnazione della cartella di pagamento, riproposti dalla società appellata, osservava:

– che la mancanza sulla cartella impugnata della relata di notifica non comportava l’inesistenza della stessa, sia per intervenuta sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo dell’atto desumibile dall’avvenuta tempestiva impugnazione del medesimo, sia perchè la concessionaria per la riscossione aveva provato documentalmente che la notifica era stata effettuata a soggetto qualificatosi amministratore della società contribuente;

– che era infondato il motivo relativo all’illegittimità della cartella per omessa sottoscrizione dei ruoli, prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, trattandosi di norma regolatrice dei rapporti tra ente creditore e concessionario per la riscossione, per come desumibile anche dalle modalità di sottoscrizione dei ruoli introdotte dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 156 del 2005;

– che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non sussistevano ostacoli normativi all’inclusione di più ruoli in un’unica cartella;

– che la società contribuente non aveva fornito alcuna prova di aver aderito al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9;

– che gravava sulla società contribuente l’onere, nella specie non assolto, di provare l’integrale versamento delle somme dalla medesima dichiarate come dovute.

3. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione la società contribuente deducendo undici motivi, cui replicano le intimate con separati controricorsi. La Serit Sicilia s.p.a. deposita memoria ex art. 372 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la sentenza impugnata laddove, in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4 e art. 25, comma 2, del D.M. Finanze n. 321 del 1999, ha ritenuto legittima la cartella di pagamento benchè priva di sottoscrizione, sostenendo, per un verso, che la cartella esattoriale è assimilabile all’atto di precetto, la cui sottoscrizione è espressamente prevista dall’art. 125 c.p.c. e, per altro verso, che il combinato disposto dagli artt. 1 e 6 del citato D.M., prevedendo una corrispondenza contenutistica tra ruolo e cartella, consente di ravvisare come necessaria la sottoscrizione della seconda al pari del primo, per il quale la sottoscrizione è requisito di validità previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Al riguardo questa Corte ha più volte ricompreso “la cartella di pagamento nell’ambito di un processo di natura amministrativa dotato di una disciplina sua propria”, con la conseguenza che, “stante la specialità del rapporto tributario e delle regole che presiedono alla realizzazione della pretesa impositiva”, non vi può essere “totale coincidenza con le prescrizioni generali dettate per l’atto di precetto; di cui, pure, la cartella mutua la sostanza” (così da ultimo Cass. n. 21840 del 2016). Per la stessa ragione non è postulabile la tesi, pure sostenuta dalla ricorrente, dell’applicazione alla cartella di pagamento della disposizione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, che prevede la sottoscrizione del ruolo e che è riferibile solo ed esclusivamente a tale atto. Peraltro, la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello è diretta derivazione del principio affermato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 117 del 2000, che esaminando “la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, denunziato in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost., nella parte in cui omette di indicare la sottoscrizione autografa tra gli elementi costitutivi della cartella di pagamento”, l’ha ritenuta infondata “per palese erroneità del presupposto su cui essa si fonda”, costituendo “diritto vivente” (come da ultimo ulteriormente ribadito da Cass. n. 20798 del 2016, n. 24492 del 2015, n. 26053 del 2015, n. 25773 del 2014 e n. 13461 del 2012)a principio secondo cui l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi previsti dalla legge, ed è regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui l’atto proviene, che è questione che nel caso di specie non viene neanche prospettata dalla ricorrente. Pertanto, sulla base dei principi sopra enunciati, correttamente il giudice di appello ha escluso la dedotta causa di nullità della cartella di pagamento.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la sentenza impugnata per omessa motivazione sul rigetto del motivo di impugnazione della cartella di pagamento per violazione dell’obbligo di invio della comunicazione di irregolarità, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, sostenendo che “nessuna statuizione è di fatto rintracciabile, nemmeno implicitamente, nella sentenza riguardo alle ragioni del rigetto dell’eccepito vizio di omesso invio delle preventive comunicazioni da emettersi (…) all’esito del controllo liquidatorio” (pag. 38 del ricorso).

2.1. Così come prospettato il motivo è inammissibile. Denuncia, infatti, come vizio motivazionale quello che, muovendo dal presupposto che la sentenza gravata non contiene alcuna statuizione, neanche implicita, sulla domanda di annullamento della cartella perchè non preceduta dall’invio della comunicazione di irregolarità, costituisce all’evidenza vizio di omessa pronuncia su domanda ritualmente introdotta dalla ricorrente sia in primo grado che in secondo grado, denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., nella specie non dedotto (cfr. Cass. n. 329 e n. 13759 del 2016; v. anche Cass. n. 3417 del 2015).

2.2. In ogni caso, anche a voler ritenere che dalla sentenza impugnata si possa evincere un implicito rigetto di quella domanda (come contraddittoriamente sembra adombrare la ricorrente a pag. 36 del ricorso, laddove constata “come la pronuncia impugnata (…) nulla dica in relazione alle motivazioni del rigetto implicito anche di tale doglianza”), il motivo in esame sarebbe comunque infondato in quanto la CTR ha testualmente affermato “che l’Ufficio ha proceduto all’iscrizione a ruolo delle somme dichiarate dalla contribuente, ex art. 36 bis, non apportando alcuna rettifica ai valori dichiarati”; affermazione che, implicitamente escludendo “la sussistenza di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” presentata dalla contribuente, in quanto non oggetto di alcuna rettifica, è chiaramente idonea – pur nella sua sinteticità – a rendere palese il criterio logico seguito dal giudice di merito per rigettare (implicitamente) la doglianza della società contribuente, peraltro correttamente conformandosi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte – dirimente della questione posta dalla ricorrente – in base alla quale l’obbligo di instaurazione del contraddittorio prima dell’iscrizione a ruolo a seguito di liquidazione in esito a controllo di dichiarazioni secondo procedure automatizzate, sussiste per l’Amministrazione finanziaria soltanto quando da quel controllo emergano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione e non, invece, in presenza di meri errori materiali ovvero, come nella specie, di omessi o tardivi versamenti (cfr., ex multis, Cass. 12023 del 2015, n. 8342 del 2012).

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la medesima questione posta nel secondo mezzo di impugnazione ma sotto il profilo dell’error in procedendo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo la nullità della sentenza impugnata perchè priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione, imposta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2.

3.1. Il motivo, che è assorbito dalla rilevata infondatezza del precedente motivo (v. par. 2.2), è comunque infondato. L’assenza della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa vale ad integrare un motivo di nullità della sentenza solo nell’ipotesi, nella specie insussistente, in cui “l’omissione impedisca totalmente, non risultando richiamati in alcun modo i tratti essenziali della lite neppure nella parte motiva, di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, nonchè di controllare che siano state osservate le forme indispensabili poste dall’ordinamento a garanzia del regolare svolgimento della giurisdizione” (cfr. Cass. n. 5146 del 2001; v. anche Cass. n. 13990 del 2003 e molte altre successive pronunce conformi, tra cui Cass. n. 28113 del 2013).

4. Con il quarto motivo la ricorrente censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la sentenza impugnata laddove, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, L. n. 449 del 1997, art. 28 e art. 154 c.p.c., ha ritenuto legittima la cartella di pagamento benchè l’Amministrazione finanziaria fosse decaduta dal potere di rettifica delle dichiarazioni presentate da essa contribuente ai fini delle imposte dirette e dell’IVA negli anni di imposta 2002 e 2003, da effettuarsi, secondo le citate disposizioni, “entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo” e, al più tardi, in applicazione dell’art. 154 c.p.c., entro la proroga del termine dilatorio per un periodo di durata eguale a quello originario, mentre nel caso di specie i ruoli erano stati resi esecutivi soltanto nel dicembre del 2006.

4.1. Il motivo è infondato e va rigettato, dovendosi dare continuità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 21498 del 2004 (cui hanno fatto seguito numerose successive pronunce di questa Sezione, tra cui Cass. n. 15307 del 2009, n. 8055 del 2013, n. 240 del 2014) secondo cui “in tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie, la disposizione, espressamente definita di interpretazione autentica, contenuta nella L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 28, indipendentemente da tale qualificazione espressa dalla legge, in presenza di un obiettivo dubbio ermeneutico sulla sua natura, ha efficacia retroattiva, e il termine annuale per la rettifica delle dichiarazioni fissato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, non ha natura perentoria, il che comporta che il suo inutile decorso non è causa di decadenza dell’Amministrazione Finanziaria dal potere di procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi, nei limiti imposti dai principi costituzionali e di civiltà giuridica. Infatti, in materia tributaria, ogni decadenza deve essere espressamente prevista, sicchè, in mancanza di un’esplicita previsione, il termine fissato dalla legge per il compimento di un atto, ha efficacia meramente esortativa (cioè costituisce un invito a non indugiare) e l’atto può essere compiuto dall’interessato fino a quando ciò non gli venga precluso dalla sopravvenuta prescrizione del relativo diritto”. Tuttavia, non essendo concepibile che il contribuente resti soggetto “sine die” al potere dell’Amministrazione, “la legittimità della pretesa erariale è subordinata, alla luce dell’intervento legislativo realizzato con il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, commi 5 bis e 5 ter, convertito nella L. n. 156 del 2005”, emanato in ossequio alla sentenza n. 280 del 2005 della Corte costituzionale, “alla notificazione della cartella di pagamento al contribuente entro il termine di decadenza del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, dovendo l’ordinamento garantire l’interesse del medesimo contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, regola applicabile anche per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della detta L. di Conversione n. 156 del 2005” (cfr. Cass. n. 15329 del 2014; conf., tra le tante, Cass. n. 22223 del 2015, n. 16990 del 2012).

4.2. Nella specie, in cui il termine di decadenza delle dichiarazioni relative agli anni di imposta 2002 e 2003 andava a scadere rispettivamente nel 2003 e 2004, la cartella di pagamento notificata in data 17 aprile 2007 deve ritenersi tempestiva.

4.3. Da ultimo va osservato che è improprio il riferimento fatto dalla ricorrente alla disciplina dei termini contenuta nell’art. 154 c.p.c., in quanto, così come condivisibilmente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 240 del 2014 e n. 11988 del 2003) “l’art. 154 c.p.c., disciplina la proroga dei soli termini processuali, sicchè non si applica a quelli, di carattere sostanziale, riguardanti gli accertamenti ed i controlli delle dichiarazioni tributarie”.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la medesima questione posta nel quarto mezzo di impugnazione, ma con specifico riferimento al termine di decadenza previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, sostenendo che la disposizione di interpretazione autentica contenuta nella L. n. 449 del 1997, art. 28, è riferita solo ed esclusivamente al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e pertanto, la natura ordinatoria del termine previsto dalla citata disposizione, in mancanza di un’espressa “voluntas legis”, non può essere esteso al medesimo termine previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis.

5.1. Il motivo è infondato alla stregua del principio giurisprudenziale, al quale questo Collegio intende dare continuità, in assenza di valide ragioni per discostarsene, secondo cui “in tema di riscossione dell’IVA, il termine di decadenza previsto per eseguire la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001 scade il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, in quanto deve applicarsi la disciplina generale dettata dal D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, commi 5 bis e 5 ter, come introdotti dalla Legge di Conversione del 31 luglio 2005, n. 156, anche al dichiarato fine di conseguire “la necessaria uniformità del sistema di riscossione mediante ruolo delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto”, mentre non può invocarsi il più breve termine quadriennale, previsto dal D.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, per la notifica degli avvisi di rettifica e di accertamento in materia di IVA, giacchè il rinvio ad esso, non previsto dalla legge, determinerebbe un’anticipata consumazione del termine di decadenza che il legislatore del 2005 ha inteso evitare, con disposizioni ritenute compatibili con la Costituzione dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 11 del 2008 e nell’ordinanza n. 178 del 2008, ed in linea con l’esigenza posta dalla sesta Direttiva 77/388/CEE di evitare forme di rinuncia generale ed indiscriminata al potere di verifica e di rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria in materia di IVA” (cfr. Cass. n. 15786 del 2012; n. 15661 del 2014; n. 24767 del 2015 e, con evidente anticipazione, già nella sentenza n. 26421 del 2005).

6. Con il sesto motivo la ricorrente censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la sentenza impugnata laddove, in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1 e art. 5, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, primo periodo e lett. f) e art. 148 c.p.c., ha ritenuto legittima la cartella di pagamento benchè quella consegnata alla società contribuente fosse priva della relata di notifica, costituente vizio di inesistenza della cartella stessa e non mera nullità sanabile con la sua impugnazione.

6.1. Anche questo motivo è infondato.

6.2. Al riguardo deve osservarsi che “il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 a proposito della notifica della cartella esattoriale, prevede che essa possa realizzarsi con varie modalità, e così tra l’altro anche senza ricorrere alla collaborazione di terzi (messi comunali, agenti della polizia municipale…), ma direttamente ad opera del Concessionario “mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento”” ed, in specie, “della ordinaria raccomandata postale, disciplinata dal D.M. 9 aprile 2001, che all’art. 32 dispone che: “Tutti gli invii di posta raccomandata sono consegnati al destinatario o ad altra persona individuata come di seguito specificato, dietro firma per ricevuta…”, mentre al successivo art. 39, prevede che: “Sono abilitati a ricevere gli invii di posta presso il domicilio del destinatario, anche i componenti del nucleo familiare, i conviventi e i collaboratori familiari e, se vi è servizio di portierato, il portiere” (cfr. Cass. 27 maggio 2011, n. 11708; conf. Cass. 12 gennaio 2012, n. 270, Cass. 19 settembre 2012, n. 15746, Cass. 19 ottobre 2012, n. 17939, nonchè Cass. 11 dicembre 2012, n. 22572).

6.3. Ciò posto, con riferimento al caso di specie, in cui la notifica della cartella di pagamento è avvenuta con le predette modalità e cioè mediante invio diretto, da parte del concessionario per la riscossione, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, va ribadito il principio espresso da questa Corte in un caso del tutto analogo a quello qui vagliato, in cui, dichiarando l’infondatezza della tesi sostenuta dal contribuente secondo cui “la notificazione della cartella, mancando la relata di notificazione, sarebbe inesistente e, quindi, insuscettibile di sanatoria anche a seguito della costituzione in giudizio del contribuente”, ha affermato, nella sentenza del 17 gennaio 2013, n. 1091, che nell’ipotesi di cartella esattoriale notificata direttamente da parte del concessionario, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 26, “secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’Ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente”. E’ appena il caso di aggiungere che anche secondo la successiva pronuncia n. 8321/2013 di questa Corte, la notifica della cartella di pagamento è specialmente disciplinata dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 (cfr., già in questo senso, Cass. n. 14105 del 2000) ed “à sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 comma 1, modificato D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 12 e D.Lgs. n. 193 del 2001, art. 1, la notifica in discorso può farsi direttamente dal concessionario mediante lettera raccomandata senza affidamento a soggetti abilitati, e, perciò senza che debba formarsi alcuna relata di notifica, come chiaramente confermato al cit. D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, laddove al concessionario vien fatto obbligo di conservare per cinque l’avviso di ricevimento della raccomandata, coll’illazione per cui la stessa costituisce unica prova richiesta della avvenuta notifica a mezzo di spedizione postale (Cass. n. 14327 del 2009; in senso conforme, più recentemente, Cass. n. 6395 del 2014 e n. 4567 del 2015).

Le predette pronunce rendono poi ragione della correttezza della soluzione adottata dal giudice di appello in ordine alla questione della mancanza della relata di notifica della cartella di pagamento, sollevata dalla società contribuente, essendosi peraltro affermato (cfr. Cass. n. 9111/2012, n. 270/2012, n. 11708/2011, n. 21309/2010 e n. 2690/2002) che la notifica degli atti del concessionario può realizzarsi anche senza ricorrere alla collaborazione di terzi (messi comunali, agenti della polizia municipale…), cioè senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario e senza necessità di un’apposita relata (cfr. Cass. n. 6395/2014 e n. 4567/2015 cit.).

6.4. A quanto fin qui detto, aggiungasi che – una volta esclusa, sulla base dei suesposti principi, l’inesistenza della notificazione – ove si volesse ipotizzare la sussistenza di un vizio comportante la nullità della medesima, sarebbe comunque intervenuta la sanatoria ex art. 156 c.p.c., a seguito della tempestiva proposizione del ricorso in opposizione. In tal senso si è espressa questa Corte nella già citata sentenza n. 8321/2013, ma anche nella sentenza n. 6613 del 2013 che aveva ritenuto “di dare continuità al principio (Cass. n. 2272 del 2011, SU n. 19854 del 2004) – che può estendersi al caso, qui rilevante, di cartella di pagamento emessa del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis – secondo cui la natura sostanziale e non processuale dell’avviso di accertamento tributario non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria”>. Pertanto, il rinvio contenuto al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, dettato in materia di notifica della cartella di pagamento, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, dettato in materia di notificazione dell’avviso di accertamento, che a sua volta rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile (con espressa esclusione di quelle di cui alla lettera “r del comma 1, tra cui non è ricompreso l’art. 156 c.p.c.), comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che, se la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c. (in tal senso Cass. n. 6613/2013 cit.), ad analoga conclusione deve pervenirsi con riguardo alla notificazione della cartella di pagamento.

7. Argomentazione, questa appena sopra sviluppata, che rende ragione dell’infondatezza del settimo motivo di ricorso con cui la ricorrente ha dedotto, appunto, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, commi 1 e 5, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 1, primo periodo e lett. f) e art. 156 c.p.c., comma 3, sostenendo l’inapplicabilità al caso di specie della sanatoria prevista per gli atti processuali dalla citata disposizione del codice di rito.

8. Con l’ottavo motivo la ricorrente censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la sentenza impugnata laddove, in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, ha ritenuto legittima la cartella di pagamento nonostante il difetto di sottoscrizione del ruolo.

8.1. Il motivo è infondato e va rigettato in quanto non considera che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio non incide in alcun modo sulla validità dell’iscrizione a ruolo del tributo, poichè si tratta di atto interno e privo di autonomo rilievo esterno, trasfuso nella cartella da notificare al contribuente, la quale deve essere notificata al contribuente e per la quale neanche è prescritta la sottoscrizione del titolare dell’ufficio (Cass. n. 26053 del 2015, n. 6199 del 2015, n. 6610 del 2013), costituendo ius receptum il principio secondo cui “la mancata sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autotità da cui promana, giacchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge (Cass. 4555/15, 25773/14, 1425/13, 11458/12, 13461/12, 6616/11, 4283/10, 4757/09 14894/08, 4923/07, 9779/03, 2390/00; cfr. Corte Cost. n. 117/00)” (cfr. Cass. n. 19761 del 2016).

8.2. A quanto detto deve aggiungersi (sulla scia di Cass. n. 19761 del 2016) che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi di mancata sottoscrizione del ruolo e quindi opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova dell’insussistenza del potere e/o della provenienza a carico del contribuente (Cass. 24322/14), che non può limitarsi ad una generica contestazione della insussistenza del potere e/o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti (Cass. 6616/11), tenuto conto anche della “natura vincolata” degli atti meramente esecutivi, quali il ruolo e la cartella di pagamento, che non presentano in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, con la conseguenza che va applicato il generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, il quale impedisce l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, il suo contenuto dispositivo non avrebbe comunque potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cass. 2365/13).

9. Con il nono motivo la ricorrente censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la sentenza impugnata laddove, in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 ter, lett. e), convertito con modificazioni dalla L. n. 156 del 2005 e art. 2697 c.c., ha ritenuto legittima la cartella di pagamento nonostante la mancanza di prova dell’avvenuta sottoscrizione del ruolo con le modalità previste dalle citate disposizioni, il cui onere incombeva all’Amministrazione finanziaria, che lo avrebbe dovuto soddisfare “dimostrando la validazione dei dati contenuti nel ruolo”.

9.1. Il motivo è infondato sia per le ragioni esposte nel precedente motivo sulla generale irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento amministrativo (Cass. n. 2365/16), sia perchè la prova della formazione ed esecutività del ruolo (a mezzo sottoscrizione o validazione a livello centrale dei dati in esso contenuti, del D.L. n. 106 del 2005, ex art. 1, comma 5-ter, lett. e), introdotto dalla Legge di Conversione n. 156 del 2005) è ricavabile dalla stessa emissione della cartella esattoriale la cui notifica, per espressa previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1, u.p., “vale anche come notificazione del ruolo”.

10. Con il decimo motivo la ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 23 e art. 111 Cost. – la nullità della sentenza impugnata laddove, in violazione dei principi “di acquisizione processuale – secondo il quale le risultanze istruttorie del processo debbono intendersi comune ad entrambe le parti” e di quello “di non contestazione – secondo cui devono ritenersi provati i fatti non tempestivamente contestati”, ha escluso che fosse provata l’avvenuta adesione di essa contribuente al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, nonostante dalle produzioni documentali della controparte Agenzia delle entrate risultava depositata (al n. 4 dell’elenco) la “ristampa dichiarazione di condono prodotta ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9”.

10.1. Il motivo è inammissibile perchè non censura l’affermazione, pure fatta dalla Commissione di appello, idonea da sola a reggere autonomamente la decisione sulla questione dell’adesione della contribuente al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, della mancanza di prova dell’avvenuto perfezionamento di quel condono, che non risulta provata dalla produzione della sola “dichiarazione di condono”.

10.2. Il motivo è comunque infondato in quanto per espressa previsione normativa (L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9) la definizione automatica per gli anni pregressi, di cui al primo comma della citata legge rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione, facendo, tuttavia, salvi gli effetti della liquidazione delle imposte in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, con la conseguenza che “la detta definizione non può incidere sulla liquidazione ex art. 36-bis e su quanto ad essa causalmente collegato (interessi – di per sè stessi di natura accessoria – e sanzioni, riferite al ritardato pagamento di un acconto che la contribuente doveva eseguire sulla base della sua stessa dichiarazione); da tanto discende che se la contribuente intendeva condonare siffatte sanzioni ed interessi (oggetto della cartella impugnata), doveva avvalersi della procedura di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9-bis pacificamente non attivata nella fattispecie (v. in fattispecie analoga Cass., Sez. 5, n. 26725 del 29/11/2013)” (così in Cass. n. 11334 del 2016).

11. Con l’undicesimo motivo la ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sostenendo che l’Agenzia delle entrate non aveva provato l’esistenza del debito tributario mediante la produzione delle dichiarazioni dei redditi presentate da essa contribuente e da cui dovevano risultare le somme dovute o non versate.

11.1. Il motivo è palesemente infondato. Invero, il debito tributario portato dalla cartella di pagamento deriva da una mera liquidazione di quanto esposto dalla stessa contribuente nelle dichiarazioni all’epoca presentate, a seguito di semplice riscontro cartolare di queste ultime che evidenzino errori materiali o di calcolo oppure a seguito di verifica dell’omesso versamento, integrale o parziale, delle imposte dichiarate come dovute, di talchè, considerato che il documento da cui sono tratti gli elementi posti a base della liquidazione è in possesso della contribuente e questa, pertanto, si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale (cfr., ex multi, Cass. n. 22402 del 2014; n. 15564 del 2016), la produzione in giudizio della dichiarazione verificata è del tutto superflua e, quindi, nell’ipotesi – come quella in esame – in cui la contribuente contesti la non corrispondenza tra quanto liquidato dall’Ufficio e quanto da essa originariamente dichiarato, era onere della medesima fornire la relativa prova documentale, o mediante produzione di quella dichiarazione, al fine di dimostrare l’insussistenza dei rilevati errori materiali o di calcolo, oppure delle ricevute di versamento degli importi effettivamente dovuti (cfr., ex multis, Cass. 27140 del 2011).

12. Conclusivamente, da quanto fin qui detto discende che il ricorso va rigettato in quanto inammissibili il secondo e decimo motivo, infondati tutti gli altri, e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore delle intimate nella misura liquidata in dispositivo, tenuto conto delle attività svolte da ciascuna, oltre al rimborso, a favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese eventualmente prenotate a debito e, a favore dell’agente della riscossione, delle spese forfettarie nella misura che si ritiene di indicare nel 15% oltre accessori come per legge.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il secondo e decimo motivo, infondati tutti gli altri e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore delle intimate in Euro 20.000,00 a favore dell’Agenzia delle Entrate, oltre spese prenotate a debito, e in Euro 15.000,00 a favore dell’agente della riscossione, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 7 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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