Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11089 del 05/05/2017
Cassazione civile, sez. VI, 05/05/2017, (ud. 20/04/2017, dep.05/05/2017), n. 11089
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – rel. Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10657-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
ROSARIO CALI’;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1104/25/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di PALERMO, depositata il 19/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/04/2017 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO.
Fatto
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte, costituito il contraddittorio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), osserva con motivazione semplificata:
L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR – Sicilia che il 19 marzo 2015, riformando la decisione della CTP – Palermo, ha annullato la cartella notificata al commercialista Dott. P.R. per il pagamento dell’IRAP relativa all’anno d’imposta 2004. Il contribuente resiste con controricorso.
Il fisco censura – per violazione di norme di diritto (art. 111 Cost.; art. 132 c.p.c.; art. 188 att. c.p.c.; art. 36 proc. trib.; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis) – la sentenza d’appello laddove stima l’attività del contribuente priva del requisito dell’autonoma organizzazione. Denuncia, in sostanza, difetto assoluto di motivazione ovvero vizio motivazione apparente laddove la CTR, riguardo all’accoglimento dell’appello del contribuente, affida la motivazione della decisione all’affermazione “che si sia in presenza di lavoratore autonomo, che eserciti la professione senza avvalersi di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività e che non abbia lavoratori dipendenti abituali, circostanza condivisa dall’Ufficio”.
La parte ricorrente si duole che la CTR avrebbe utilizzato argomenti lacunosi, sbrigativi e anapodittici al fine di accogliere l’appello del contribuente, ma non deduce alcunchè circa la ritenuta assenza di dipendenti e di beni strumentali eccedenti in capo al contribuente.
Dunque, la succinta motivazione pone in luce una chiara ratio decidendi che non si risolve in quella tautologia autoreferenziale, illusoria e figurativa che è tipica della motivazione mancante perchè apparente. Com’è noto, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), comporta la riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Resta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio emerga a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esclusa qualunque rilevanza della “sufficiena” della motivazione. (Sez. U, n. 8053 del 2014).
Il che rende estraneo al perimetro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l’omesso esame di fatti e dati emergente dal confronto con le risultanze processuali e, in particolare, nelle specie il preteso avvalimento, in maniera stabile e continuativa, di un collaboratore professionale (e non esecutivo), con significativi esborsi per remunerarlo.
Si tratterebbe, invece, di eventuale errore di giustificazione della decisione di merito sul fatto da denunciarsi nei modi e coi limiti del novellato n. 5) della norma di rito. Mentre del tutto incomprensibile è il richiamo al n. 3) della norma di rito e, dunque, alla violazione di disposizione di diritto sostanziale quale è il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, di cui v’è traccia in rubrica però senza alcun seguito realmente impugnatorio.
Conseguentemente il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, con ordinanza d’inammissibilità. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, (nel caso di prenotazione a debito il contributo non è versato ma prenotato al fine di consentire, in caso di condanna della controparte alla rifusione delle spese in favore del ricorrente, il recupero dello stesso in danno della parte soccombente).
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 3500,00 (di cui Euro 200,00 per borsuali), oltre alle spese generali (15%) e agli oneri di legge.
Motivazione Semplificata.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017