Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11086 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. un., 07/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 07/05/2010), n.11086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente di Sezione –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7873/2009 proposto da:

C.C. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato SIVIERI Orlando,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MENEGUZZO DARIO,

per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE VENETO ((OMISSIS)), in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI

5, presso lo studio dell’avvocato MANZI Luigi, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ZANON EZIO, CAPRIOGLIO FRANCA, per

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

DIRIGENTE DELL’UFFICIO DEL GENIO CIVILE DI VICENZA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 11/2009 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 16/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

uditi gli avvocati Orlando SIVIERI, Emanuele COGLITORE per delega

dell’avvocato Luigi Manzi;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Il Sig. C.C. ha impugnato, dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche:

a) il silenzio-inadempimento, maturato il 22 giugno 2006, rispetto ad una istanza, presentata l’11 luglio 1995, intesa ad ottenere la concessione per una piccola derivazione d’acqua a scopo idroelettrico;

b) il provvedimento, in data 6 luglio 2006, di richiesta del giudizio di compatibilità ambientale del progetto, ai sensi della Legge Regionale sopravvenuta, n. 10/1999.

Il giudice adito ha respinto il ricorso sulla base dei seguenti rilievi:

a) non è condivisibile la tesi che la normativa applicabile ai fini del rilascio della concessione di derivazione sia esclusivamente quella vigente al momento della “protocollazione della domanda”, senza che abbia alcun rilievo la normativa intervenuta prima del rilascio del provvedimento concessorio che preveda, come nella specie, la VIA: “costituisce giurisprudenza pacifica l’orientamento secondo cui, nel caso di successione di leggi, l’atto finale non può porsi in contrasto con la nuova regolamentazione, in attuazione del noto principio tempus regit actum, con la conseguenza che deve darsi prevalenza alle disposizioni della nuova regolamentazione” (p. 6 della sentenza impugnata);

b) “l’istruttoria in esame si è svolta in vigenza del D.P.R. 12 aprile 1996, che prevedeva la sottoposizione a VIA o alla c.d.

procedura di “screening” e che tale normativa costituisce atto di indirizzo e coordinamento vincolante per le regioni, suscettibile di applicazione immediata pur in mancanza di recepimento ad opera della legislazione regionale, in applicazione e gli rectius: degli obblighi comunitari, come del resto ha rilevato la sentenza del Consiglio di Stato n. 4532/01 che ha disapplicato la L.R. n. 10 del 1999, art. 27, comma 4, che, in via transitoria, aveva escluso la VIA per quei progetti per i quali, alla data di entrata in vigore della legge, erano già state presentate le istanze per l’ottenimento delle autorizzazioni o approvazioni” (p. 7 della sentenza impugnata).

Il Sig. C. ricorre contro la Regione Veneto, per la cassazione della sentenza del TSAP, meglio in epigrafe indicata, sulla base di quattro motivi. La regione resiste con controricorso.

Diritto

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Giova ribadire, in via preliminare, che la sentenza impugnata si regge su una doppia ratio decidendi, ciascuna della quale regge autonomamente ed in maniera autosufficiente la decisione adottata dal TSAP. La prima, è basata sul principio secondo il quale le innovazioni legislative devono trovare applicazione anche nei procedimenti amministrativi in corso, fino a quando non sia stato emanato il provvedimento definitivo (di qui la necessità, nella specie, della VIA prevista dallo ius superveniens); la seconda basata sulla constatazione che comunque nella specie dovesse trovare applicazione il D.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione della L. 22 febbraio 1994, n. 146, art. 40, comma 1, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, abrogato poi dal D.L. n. 152 del 2006, art. 48).

Con i primi tre motivi, denunciando la violazione e falsa applicazione di diverse disposizioni di legge e principi di diritto (L. n. 349 del 1986, art. 6, in relazione alla Dir. 85/337/CEE e al R.D. n. 1775 del 1933, artt. 9 e 15; L.R. Veneto n. 10 del 1999, Dir.

85/337/CEE e art. 3 Dir. 97/11/CEE, e L. n. 146 del 1994, art. 40, in relazione al principio comunitario di “protocollazione”; R.D. n. 1775 del 1933, artt. 9 e 15, in relazione al principio tempus regit actum), la parte ricorrente censura la prima ratio decidendi, sul rilievo che l’istanza del Sig. C. non necessitava di ulteriori valutazioni di impatto ambientale avendo già superato all’interno della procedura non ancora conclusa, le valutazioni richieste dalla normativa vigente ratione temporis, che gli adempimenti procedurali richiesti erano soltanto quelli previsti in base al principio di protocollazione e che il principio tempus regit actum era stato malamente applicato perchè l’obbligo del nuovo adempimento era intervenuto quando il procedimento amministrativo aveva già superato la fase delle valutazioni ambientali.

Prima ancora di esaminare nel merito i motivi di censura che contestano la legittimità della prima ratio decidendi (spesso, peraltro, carenti di autosufficienza in relazione alla evoluzione del procedimento amministrativo e ai contenuti dei relativi atti), va esaminato il quarto motivo di ricorso, con il quale viene censurata la seconda ratio decidendi. Infatti, si tratta di motivo inammissibile che, lasciando comunque integra la decisione impugnata, rende inutile l’esame degli altri motivi, il cui accoglimento non potrebbe portare alla cassazione della sentenza impugnata, sorretta comunque da una motivazione parallela e prioritaria. Il TSAP afferma che, a prescindere, dalla corretta applicazione del principio tempus regit actum e della necessità, in base alla normativa sopravvenuta, di produrre la VIA, tale adempimento era comunque richiesto, nella specie, in forza del D.P.R. 12 aprile 1996, già vigente durante l’istruttoria.

Il ricorrente eccepisce che questa seconda statuizione del TSAP sarebbe errata perchè il D.P.R. 12 aprile 1996, riguardava soltanto le aree protette ai sensi della legge 394/1991 e che tale presupposto, nella specie, non ricorreva. Sostanzialmente eccepisce quindi che il TSAP non ha tenuto conto di tale eccezione, ritualmente formulata. Prospetta, perciò, il seguente quesito di diritto: se il TSAP ha errato affermando che “l’istruttoria della pratica del Sig. C. si è svolta in vigenza del D.P.R. 12 aprile 1996, in quanto l’area oggetto dell’ intervento non rientra tra le aree protette ex L. n. 349 del 1991, e che il Tribunale avrebbe dovuto, al contrario, affermare che la pratica rientrava nella vigenza della L.R. n. 10 del 1999, così come modificato dalla L.R. n. 27 del 2006, la quale nell’allegato “C3-bis, ha previsto di assoggettare a valutazione di impatto ambientale le derivazioni di acqua superficiali anche laddove pertinenti a “aree sensibili” di cui alla lettera “B” dell’allegato D, che riguarda “AMBIENTE IDRICO SUPERFICIALE – specchi acquei marini o lacustri e fiumi, torrenti e corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, qual è appunto l’area in cui insiste il progetto del Sig. C.”. La censura si incentra sul rilievo che l’area e la natura dell’intervento in questione non rientravano nella disciplina dettata dalla normativa richiamata dal TSAP. In altri termini, la parte ricorrente censura la ricostruzione in fatto del presupposto applicativo delle norme, piuttosto che l’errata interpretazione delle stesse. Il motivo, quindi, escluso il vizio revocatorio che va eccepito sulla base di altri presupposti, avrebbe dovuto essere prospettato – in maniera autosufficiente – come vizio di motivazione (possibile dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, v. Cass. 5394/2007), di omessa pronuncia o di omessa valutazione di prove (violazione dell’art. 116 c.p.c.), rispetto alle tesi prospettate dal C., al fine di consentire a questa Corte Suprema di verificare se è vero che erroneamente il TSAP ha ritenuto applicabile il D.P.R. 12 aprile 1996, senza tenere conto degli elementi offerti dalla parte privata. Il motivo, quindi, così come è stato proposto è inammissibile perchè, dando per scontato che il fatto sia diverso da quello ritenuto dal TSAP, non è idoneo a scalfire la ratio decidendi, fondata appunto su un presupposto che non coincide con quello che vorrebbe (attraverso una inammissibile revisione del merito) la parte ricorrente.

Conseguentemente, il ricorso va rigettato, a prescindere dalla fondatezza degli altri motivi dedotti per censurare l’altra parallela ed autonoma ratio decidendi, i quali diventano inammissibili per carenza di interesse dinanzi alla inammissibilità del motivo prospettato per censurare l’altra ratio, sufficiente a sorreggere anche da sola l’intera impalcatura della decisione impugnata.

Tenuto conto della peculiarità e complessità della fattispecie esaminata, che nel merito presenta aspetti sui quali si sono registrate aperture innovative nella giurisprudenza di questa Corte (v. SS. UU. 10362/2009; conf. 71/2001), sussistono giuste ragioni per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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