Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11081 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. I, 10/06/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 10/06/2020), n.11081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24391/2015 proposto da:

Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Cosenza, in

persona del legale rapp.te pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma Via Di Val Fiorita 90, presso lo studio dell’avvocato Francesco

Lilli e rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Spataro, in

forza di procura spedale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.D., Co.De. e C.R., elettivamente domiciliati

in Roma Viale XXI Aprile 11, presso lo studio dell’avvocato Corrado

Morrone e rappresentati e difesi dall’avvocato Giovanni Battista

Policastri, in forza di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 719/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 28/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 23/9/2010 C.D., De. e R. hanno convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Catanzaro il Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Cosenza (di seguito, semplicemente, Consorzio), proponendo opposizione alla stima avverso la determinazione dell’indennità di espropriazione con riferimento ad un terreno sito in (OMISSIS) (foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS)) espropriato loro con Decreto 10 ottobre 2005, per la realizzazione di insediamenti produttivi nell’agglomerato di (OMISSIS), lamentando l’irrisorietà dell’indennità provvisoria, non comprensiva dei danni cagionati al raccolto del fondo.

Si è costituito in giudizio il Consorzio, eccependo l’incompetenza funzionale della Corte di appello, dando atto della determinazione dell’indennità definitiva di esproprio in data 24/9/2007, contestando la debenza dell’indennità di occupazione ed eccependo il difetto di giurisdizione della Corte di appello sulle domande risarcitone, devolute al TAR di Reggio Calabria.

Esperita consulenza tecnica d’ufficio, la Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 28/5/2015, ha accolto l’opposizione e ha determinato l’indennità di esproprio nella somma di Euro 82.300,00, ordinando al Consorzio il deposito presso la Cassa depositi e prestiti della differenza rispetto a quanto già depositato, con gli interessi legali dalla data del decreto di esproprio e ponendo a carico del Consorzio le spese di causa e di consulenza tecnica.

2. Avverso la predetta sentenza, notificata in data 29/6/2015, con atto notificato il 28-30/9/2015 ha proposto ricorso per cassazione il Consorzio, svolgendo due motivi.

Con atto notificato il 13/11/2015 hanno proposto controricorso C.D., De. e R., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione. I controricorrenti hanno deposito memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, come modificato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

1.1. Il Consulente tecnico nominato dalla Corte di appello, dopo aver accertato la natura edificabile del terreno de quo, destinato a insediamenti produttivi e in particolare alla realizzazione di capannoni industriali, aveva determinato il suo valore al metro quadrò in Euro 10, basandosi sulla media di vari atti di compravendita; tra tali atti però, come era stato segnalato dal Consulente di parte del Consorzio, ne erano inclusi tre (quelli a rogito Notaio Fino del 21/10/2004 e del Notaio D.S. del 7/10/2005 e del 30/12/2004) che riguardavano terreni dissimili, perchè già urbanizzati e rivenduti dal Consorzio a privati e società.

Nella sentenza impugnata non vi era traccia dell’esame delle censure mosse dal Consorzio, che si era spinto sino a chiedere la rinnovazione delle operazioni peritali e lamentava che nell’applicazione del metodo sintetico comparativo fossero stati presi in considerazione il prezzo di mercato di immobili non omogenei.

1.2. I controricorrenti eccepiscono l’inammissibilità del motivo perchè caratterizzato dalla sovrapposizione di mezzi di ricorso eterogenei.

Il ricorrente mescola effettivamente all’interno dello stesso motivo sia la doglianza di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, sia quella di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

1.3. Un ampio indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, in tema di motivi promiscui, non ritiene consentito proporre cumulativamente due mezzi di impugnazione eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso e riversando impropriamente con tale tecnica espositiva sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Sez. 3, 23/6/2017 n. 15651; Sez. 6, 4/12/2014 n. 25722; Sez. 2, 31/1/2013 n. 2299; Sez. 3, 29/5/2012 n. 8551; Sez. 1, 23/9/2011 n. 19443; Sez. 5, 29/2/2008 n. 5471). Appare infatti inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Sez. 1, n. 19443 del 23/09/2011, Rv. 619790 – 01).

Tuttavia nella giurisprudenza di questa Corte si è anche ritenuto che l’inammissibilità in linea di principio della mescolanza e della sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Sez. 6, 09/08/2017 n. 19893; Sez. un. 6/5/2015, n. 9100). In particolare, le Sezioni Unite con la sentenza n. 17931 del 24/7/2013 hanno ritenuto che, ove tale scindibilità sia possibile, debba ritenersi ammissibile la formulazione di unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure siano tenute distinte, alla luce dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, segnatamente a quello, tradizionale e millenario, iura novit curia, ed a quello, di derivazione sovranazionale, della cd. “effettività” della tutela, giurisdizionale, da ritenersi insito nel diritto al “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost., elaborato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile e segnatamente nell’attività di interpretazione delle norme processuali, corrispondere una effettiva ed esauriente risposta da parte degli organi statuali preposti all’esercizio della funzione giurisdizionale, senza eccessivi formalismi.

1.4. Nella fattispecie, tale operazione di scissione può essere compiuta senza troppe difficoltà nell’ambito delle deduzioni del Consorzio ricorrente, isolando le censure volte a denunciare una violazione di legge da quelle relative a un asserito vizio motivazionale.

1.5. La violazione di legge denunciata non sussiste: la Corte di appello ha inteso attribuire agli espropriati il valore di mercato del loro terreno e a tal fine si è basata sulla valutazione operata dal Consulente tecnico, condotta secondo il cosiddetto metodo “sintetico comparativo”.

E’ d’uopo ricordare che in tema di liquidazione dell’indennità di espropriazione per le aree edificabile la determinazione del valore del fondo può essere effettuata tanto con metodo sintetico-comparativo, volto ad individuare il prezzo di mercato dell’immobile attraverso il confronto con quelli di beni aventi caratteristiche omogenee, quanto con metodo analitico-ricostruttivo, fondato sull’accertamento del costo di trasformazione del fondo, non potendosi stabilire tra i due criteri un rapporto di regola ad eccezione, e restando pertanto rimessa al giudice di merito la scelta di un metodo di stima improntato, per quanto possibile, a canoni di effettività. (Sez. 6 – 1, n. 6243 del 31/03/2016, Rv. 639266 – 01).

1.6. La violazione di legge non può essere ravvisata neppure con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c..

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi, riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. Analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciatile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116, che non a caso è rubricato “della valutazione delle prove” (Sez. 3, 28/02/2017, n. 5009; Sez. 2, 14/03/2018, n. 6231).

1.7. Nella fattispecie il Consorzio ricorrente lamenta omesso esame di fatto decisivo perchè la Corte territoriale, recependo integralmente la valutazione del prezzo di mercato formulata con metodo sintetico comparativo dal Consulente tecnico d’ufficio, non ha tenuto conto delle obiezioni sollevate dal suo consulente di parte, prima in sede di osservazioni alla bozza di relazione e poi ancora con apposita memoria di controdeduzioni alla consulenza d’ufficio.

In particolare, la Corte non si darebbe data” carico di confutare il rilievo della disomogeneità degli immobili, o meglio di alcuni degli immobili, a cui si riferivano gli atti di compravendita presi in considerazione dal Consulente d’ufficio, ai fini dell’elaborazione di una media statistica, perchè relativi a terreni non urbanizzati e quindi di minore valore commerciale.

1.8. Nella giurisprudenza di questa Corte si è progressivamente consolidato un orientamento in tema di adesione da parte del giudice del merito alle valutazioni operate dal Consulente d’ufficio: si ritiene, cioè, che il giudice del merito non sia tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione; non può invece esimersi da una più puntuale motivazione, allorquando le critiche mosse – alla consulenza siano specifiche e tèli, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (Sez. 1, n. 26694 del 13/12/2006, Rv. 596094 – 01).

Infatti, qualora il giudice del merito aderisce al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione. (Sez. 1, n. 15147 del 11/06/2018, Rv. 649560 – 01; Sez. 1, n. 23637 del 21/11/2016, Rv. 642660 – 01; Sez. 3, n. 12703 del 19/06/2015, Rv. 635773 – 01).

1.9. Tuttavia, allorchè il giudice di merito ha aderito alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione ha tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, l’obbligo della motivazione è soddisfatto con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, senza che il giudice debba necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive.

(Sez. 6 – 3, n. 1815 del 02/02/2015, Rv. 634182 – 01; Sez. 1, n. 8355 del 03/04/2007, Rv. 595700 – 01; Sez. 3, n. 10688 del 24/04/2008, Rv.. 603249 – 01); in tal caso, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (Sez. 1, n. 282 del 09/01/2009, Rv. 606211 -01).

1.10. Il ricorrente per cassazione è quindi tenuto in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ad indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (Sez. 1, n. 16368 del 17/07/2014, Rv. 632050 – 01).

1.11. Nella specie dal ricorso stesso (pag. 8) risulta che il Consulente d’ufficio aveva puntualmente replicato nella sua relazione finale alle critiche del Consulente di parte del,Consorzio relativamente alla disomogeneità dei terreni presi in considerazione, sostenendo che i terreni in questione dovevano considerarsi parzialmente urbanizzati sulla base della relazione tecnica illustrativa dell’atto di programmazione finalizzato all’esproprio di cui alla Delib. 29 dicembre 2004, n. 45.

Tale assunto viene riportato nel ricorso in modo del tutto insufficiente sulla base di circa tre righe, del tutto decontestualizzate, con la contrapposizione della contraria opinione del Consulente di parte.

1.12. In tal modo il ricorrente non ha soddisfatto gli oneri di autosufficienza e specificità del ricorso, mettendo in condizione questa Corte di legittimità di verificare sulla base del contenuto stesso dell’atto di impugnazione la fondatezza della doglianza, e in particolare l’inidoneità della risposta del C.t.u. alle critiche del Consulente di parte.

I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza. (Sez. 5, n. 29093 del 13/11/2018, Rv. 651277 – 01).

II ricorrente quindi per il principio di autosufficienza ha l’onere di trascrivere nel ricorso per cassazione il testo integrale, o la parte significativa del documento su cui il ricorso si fonda, al fine di consentire il vaglio di decisività (Sez. 5, n. 13625 del 21/05/2019, Rv. 653996 – 01; Sez. 3, n. 6735 del 08/03/2019, Rv. 653255 – 01; Sez. 5, n. 31038 del 30/11/2018, -Rv. 651622 – 01).

1.13. La Corte di appello non doveva quindi necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, pur non espressamente confutate, dovevano ritenersi implicitamente disattese perchè incompatibili con il parere del perito d’ufficio, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, come modificato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

2.1. Secondo il ricorrente, la Corte di appello non aveva colto l’erroneità della consulenza tecnica laddove non aveva considerato la riduzione dell’indennità di espropriazione dei 25%, come era previsto per gii interventi di riforma economico-sociale, trattandosi di procedura di esproprio finalizzata a favorire l’industrializzazione e ad attirare investimenti in area depressa del centro-sud.

2.2. Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 1, sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, lett. a), prevede la riduzione del 25% dell’espropriazione finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale.

A norma della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 90, tali disposizioni si applicano a tutti i procedimenti espropriativi in corso; la predetta norma intertemporale sancisce la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità espropriativa solo per i procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi (Sez. un., 28/10/2009, n. 22756; Sez. 1, 18/08/2017, n. 20177; Sez. 1, 13/04/2015, n. 7417).

2.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di espropriazione per pubblica utilità, il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, deve riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (Sez. 1, n. 1621 del 28/01/2016, Rv. 638750 – 01; Sez. 1, n. 2774 del 23/02/2012, Rv. 621306 – 01; Sez.l, 28/1/2011, n. 2100).

Tale principio è stato recentemente ribadito con l’ordinanza della Sez. 1, 06/04/2018 n. 8485, ove è stato escluso che l’inquadramento della procedura espropriativa nel piano regolatore delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale redatti a cura di un Consorzio per lo sviluppo industriale, produttivo ai sensi del D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 51, degli stessi effetti giuridici del piano territoriale di coordinamento di cui alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, possa automaticamente configurare l’intervento come finalizzato alla riforma economico-sociale, in difetto di esplicito riconoscimento normativo.

3.. Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate nella somma di Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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