Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1107 del 18/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1107 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: ROSSETTI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso 28521-2015 proposto da:
PLANTAMURA DOMENICO già titolare della cessata impresa edile
omonima, elettivamente domiciliato in ROMA VIA RENATO
SACCHETTI n.125, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA
STILLITANI, rappresentato e difeso dall’avvocato ASCANIO
AMENDUNI;

– ricorrente contro
Per la Gestione Liquidatoria della ex UNITA’ SANITARTA LOCALE BA/7, in persona del Commissario Liquidatore, elettivamentedomiciliato in ROMA VIA COSSERIA n.2, presso lo studio
dell’avvocato PLACIDI ALFREDO, rappresentata e difesa
dall’avvocato EDVIGE TROTTA;

– controricorrente

Data pubblicazione: 18/01/2018

avverso la sentenza n. 665/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,
depositata 11 27/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. l\L-kRCO
ROSSETTI.

l. In data non indicata nel ricorso, Domenico Plantamura convenne
dinanzi al Tribunale di Bari la USI, BA/7 di Altamura, esponendo:
(-) di avere stipulato con la USI_, un contratto preliminare, avente ad
oggetto la futura stipula d’un contratto di locazione d’un immobile di
proprietà dell’attore;
(-) che la USL si rifiutò di stipulare il definitivo.
Chiese pertanto la condanna della USL all’esecuzione in forma
specifica dell’obbligo di contrattare, ed al risarcimento del danno (così
si riferisce a p. 6 del ricorso, sebbene poco oltre si soggiunga che quella
accolta fu una domanda di risoluzione del preliminare per
inadempimento).
La USL si costituì eccependo che l’attore per primo si era reso

inadempiente, non consegnando la richiesta documentazione
urbanistica relativa all’immobile. Domandò perciò in via
riconvenzionale la condanna dell’attore al pagamento della penale
contrattualmente prevista.
2. Con sentenza 28.2.2000 n. 181 il Tribunale di Bari accolse la
domanda attorea e dichiarò risolto ex art. – 1453 c.c. il contratto
preliminare.
La Corte d’appello di bari, adita dalla USL, con sentenza 2.10.2002 n.
818 accolse il gravame e dichiarò il contratto preliminare risolto per
inadempimento di Domenico Plantamura, che condannò al pagamento
della penale.
Ric. 2015 n. 28521 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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Rilevato che:

Il ricorso per cassazione avverso tale sentenza fu rigettato da questa
Corte con sentenza 28.9.2010 n. 20339.
3. Nel 2011 Domenico Plantamura impugnò per revocazione, ai sensi
dell’art. 395, n. 3, c.p.c., la sentenza n. 818/02 della Corte d’appello di
Bari, sostenendo di avere scoperto (nel 2011) una delibera della USL

interessata alla stipula della locazione, per avere avuto parere negativo
circa la congruità del canone promesso.
Secondo il ricorrente tale documento, se fosse stato noto all’epoca
della decisione d’appello, avrebbe dimostrato ai giudici che fu la USL a
Iidersi inadempiente al preliminare.
4. Con sentenza 27.4.2015 n. 665 la Corte d’appello di Bari rigettò la
domanda di revocazione, affermando che la delibera della USL del
1992 era pubblica e pubblicata, e quindi mancava il requisito della

mancata conoscena sena colpa” della prova tardivamente scoperta.

5. La suddetta sentenza di rigetto della domanda di revocazione è ora
impugnata per cassazione, con ricorso fondato su due motivi ed
illustrato da memoria.
Ha resistito con controricorso la ASL.
Considerato che:
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. E’ denunciata, in particolare, la violazione
degli artt. 2697, 2727, 2728, 2729, 2735 c.c.; 395 c.p.c.; 7 e 24 della I.
7.8.1990 n. 241.
Nella illustrazione del motivo il ricorrente, dopo avere ampiamente
ripercorso le allegazioni in fatto già sostenute dinanzi al giudice della
revocazione (pp. 14-17 del ricorso), deduce una tesi così riassumibile:
Ric. 2015 n. 28521 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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emessa nel 1992, dalla quale emergeva che la USL non era più

(a) la Corte d’appello ha ritenuto che il documento indicato dal
ricorrente come “decisivo”, e costituito dalla delibera della USL del
1992, era un atto pubblico, e poteva da lui essere conosciuto già
durante lo svolgimento del giudizio presupposto;
(b) questa statuizione sarebbe erronea, secondo il ricorrente, per più

(-) sia perché il suddetto documento era stato emesso nell’ambito d’un
procedimento negoziale, e non amministrativo;
(-) sia perché colui il quale abbia una lite giudiziaria con la pubblica
amministrazione non ha alcun onere di chiedere, sempre e comunque
l’accesso ai documenti amministrativi;
(-) sia perché la USL, a suo tempo, non gli aveva affatto comunicato
l’avvio del procedimento destinato a sfociare nel provvedimento
suddetto;
(-) sia perché, se a suo tempo avesse chiesto alla USL copia di quel
provvedimento, la USL gli avrebbe opposto il divieto di ostensione di
cui all’art. 24, comma 7, della 1. 7.8.1990 n. 241.
1.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Presupposto della revocazione per scoperta di documenti, prevista

dall’art. 395, n. 3, c.p.c., è che tali documenti non si poterono produrre
a suo tempo che la parte non aveva potuto produrre in giudizio “per
causa di fora maggiore o per fatto dell’avversario”. Ovviamente tanto l’una,
quanto l’altra di tali ipotesi vanno provate da chi domanda la
revocazione della sentenza.
Nel caso di specie che esistesse una forza maggiore deve escludersi in

jure; che sia esistito il “fatto dell’avversario” non è stato provato.
1.3. L’impedimento dovuto a “forza maggiore” è infatti
inconcepibile con riferimento ai provvedimenti amministrativi, ai quali
chiunque ha diritto di accedere, ai sensi dell’art. 22, commi 2 e 3, della
Ric. 2015 n. 28521 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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aspetti:

1. 7.8.1990 n. 241 (secondo cui “l’accesso ai documenti amministrativi, attese
le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce printipio generale
dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipaione e di assicurarne
l’imparialità e la traJparen.”(comma2); e “tutti i documenti amministrativi
sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e

Pertanto non importava, nel presente giudizio, accertare se il ricorrente
sapesse o non sapesse dell’esistenza del documento che assume
tardivamente scoperto: l’inconoscibilità incolpevole di quel
documento, infatti, per condurre all’accoglimento della domanda di
[evocazione sarebbe dovuta essere oggettiva e non soggettiva.
Nulla rileva, pertanto, se il ricorrente abbia o non abbia avuto l’agio, il
tempo o la preveggenza di acquisire tempestivamente quella prova.
Quel che unicamente rileva è che, se l’avesse voluto, avrebbe potuto
accedervi senza ostacoli giuridici e di fatto.
E nel nostro caso ostacoli giuridici non v’erano, per quanto già detto.
Deve solo aggiungersi che la lettera della cui mancata valutazione il
ricorrente si duole non conteneva dati sensibili, e non rientrava in
alcuna delle ipotesi in cui l’art. 25 1. 241/90 vieta il diritto di accesso.
Si rileva, altresì, che, al di là della possibilità di attivarsi ai sensi della 1.
n. 241/9, il ricorrente avrebbe anche potuto chiedere nel giudizio in
cui venne emessa la sentenza revocanda l’istanza di esibizione della
documentazione a norma dell’art. 210 cod. proc. civ.
1.4. Quanto al secondo potenziale presupposto della revocazione ex
art. 395, n. 3, c.p.c. (il “fatto dell’avversario”), esso non solo non è mai
stato dimostrato dal ricorrente, ma anzi la Corte d’appello ha accertato
l’esatto contrario, rilevando (p. 9, primo capoverso, della sentenza
impugnata) che quel provvedimento fu a ftis so all’Albo Pretorio della

Ric. 2015 n. 28521 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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6″; ipotesi, queste ultime, come si dirà non sussistenti nel nostro caso).

USL il 7.10.1992, e soggiungendo che la circostanza fu dichiarato dallo
stesso Domenico Plantamura.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la
sentenza impugnata sarebbe affetta da un • vizio di violazione di legge,

violazione degli artt. 2735 c.c.; 116 e 395 c.p.c..
2.2. Nella illustrazione del motivo, il ricorrente torma a ripetere in larga
parte le deduzioni già svolte nell’illustrazione del primo motivo.
Ribadisce che il documento tardivamente scoperto era decisivo
(questione superflua, dal momento che l’istanza di revocazione è stata
rigettata non perché il documento non fosse decisivo, ma perché
l’ignoranza della sua esistenza non fu dovuta a forza maggiore o fatto
dell’avversario); che la USL aveva interesse a non consentirne la
conoscenza (circostanza, vera o falsa che fosse, contrastata
dall’affermazione della Corte d’appello, secondo cui il provvedimento
in questione fu affisso all’albo pretorio della USL).
Anche questo motivo va dunque dichiarato manifestamente infondato,
per le medesime ragioni già esposto ai §5, 1.3 ed 1.4 della presente
decisione.
3. Le spese.
3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico
del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate
nel dispositivo.
3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto
con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte
ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater,

121c. 2015 n. 28521 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. E’ denunciata, in particolare, la

d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma
17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).

4. La responsabilità aggravata.
4.1. Il giudizio concluso della presente sentenza non può ritenersi
iniziato a questi effetti il 17.6.2011, data di notificazione dell’atto di

E ciò ancorché, vertendosi in una ipotesi di revocazione ai sensi del n.
3 dell’art. 395 c.p.c., sulla sentenza revocanda si fosse formato d
giudicato, giusta la previsione dell’art. 324 c.p.c.. E’ sufficiente
osservare che la sentenza revocanda era stata emessa comunque in un
giudizio iniziato nel 1993 ed il giudizio di revocazione è comunque
parte del medesimo, perché introdotto comunque con riferimento ad
esso.
Ad esso, pertanto, è applicabile

(ex multis, Cass. n. 22226 del 2014)

l’art. 385, comma 4, c.p.c. e non l’art. 96, terzo comma, c.p.c. nel testo
aggiunto dall’art. 45, comma 12, della 1. 18 giugno 2009, n. 69, il quale
stabilisce che “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il
anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a
Avore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Norma
che, per espressa previsione dell’art. 58, comma 1, della legge teste
citata, si applica “ai giudi.zi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”.
4.2. Invero, circa la disciplina applicabile, questa Corte ritiene che agire
o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave vuol dire azionare la
propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza
dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; ovvero senza aver
adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza
dell’infondatezza della propria posizione.
Nel caso di specie, il ricorrente ha proposto una impugnazione
sostenendo una tesi insostenibile: ovvero di non avere potuto
Ric. 2015 n. 28521 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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citazione per revocazione.

conoscere, senza propria colpa, un provvedimento amministrativo
accessibile e pubblicato nell’albo pretorio della USL.
Una tesi così distante da principi giuridici pacifici e risalenti, per di più
espressamente sanciti dal codice civile, e non frutto di interpretazioni,
ad avviso di questa Corte costituisce una ipotesi (almeno) di colpa

Il ricorrente va di conseguenza condannato d’ufficio, ai sensi dell’art.
385, comma quarto, 96, comma 3, c.p.c., al pagamento in favore della
parte intimata, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma
equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno.
tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento
l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di
giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226
c.c. nell’importo di curo 5.000, oltre interessi legali dalla data di
pubblicazione della presente ordinanza.

P.q.m.
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna Domenico Plantamura alla rifusione in favore di
Gestione Liquidatoria della USL BA/7 di Altamura delle spese del
presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro
8.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese
forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) condanna Domenico Plantamura, ai sensi dell’art. 385, comma
quarto, c.p.c., al pagamento in favore della Gestione Liquidatoria della
USL BA/7 di Altamura della somma di euro 5.000, oltre interessi legali
dalla data della presente ordinanza;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1

quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Domenico

Ric. 2015 n. 28521 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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grave.

Plantamura di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione

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