Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11069 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. I, 10/06/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28325/2017 proposto da:

Carena S.p.a. Impresa di Costruzioni, in proprio e quale capogruppo

dell’Associazione Temporanea di Imprese tra Carena S.p.a. Impresa di

Costruzioni ed Orsi Impianti S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso

Vittorio Emanuele II n. 154, presso lo studio dell’avvocato Giuliano

Luigi, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Augusto

Moretti, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

Comune di Lecco, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 30, presso lo studio

del Dott. Giuseppe Placidi, rappresentato e difeso dall’avvocato

Umberto Fantigrossi, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Provvedimento

Interregionale alle OO.PP. per la Lombardia e l’Emilia Romagna già

Provveditorato Interregionale alle OO.PP. per la Lombardia e la

Liguria), in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato,

che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 4241/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

pubblicata il 09/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2019 dal Cons. LAURA SCALIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS Stanislao, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e per l’assorbimento di quello incidentale proposto dal

Comune di Lecco, con dichiarazione di inammissibilità dell’unico

motivo del ricorso incidentale del Ministero, come da requisitoria

scritta depositata;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Francesca Rossetti, con delega

scritta dell’avv. Giuliano, che si riporta;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale Comune di

Lecco, l’Avvocato Umberto Fantigrossi che si riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 4241 del 2017, decidendo sull’impugnazione proposta da Carena S.p.A. – Impresa di Costruzioni, in proprio e quale capogruppo dell’ATI tra Carena S.p.A. – Impresa di costruzioni e Orsi Impianti S.p.A., nei confronti del Comune di Lecco ed il Ministero delle infrastrutture e trasporti (Provveditorato Interregionale alle OO.PP. per Lombardia e l’Emilia Romagna già Provveditorato Interregionale alle OO.PP. per la Lombardia e la Liguria), respingeva gli appelli in via principale ed incidentale proposti dalle parti così confermando la sentenza con cui il locale Tribunale aveva condannato le indicate Amministrazioni, ivi convenute, al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 536.258,75, oltre accessori, a titolo di corrispettivo per opere non contabilizzate, di un contratto di appalto di opera pubblica avente ad oggetto lavori e forniture necessari per la realizzazione dell’ampliamento del palazzo di giustizia di Lecco.

La Corte di merito dichiarava inammissibile l’impugnazione promossa avverso la sentenza di primo grado in quanto reiterativa di rilievi difensivi di parte che si ponevano in un rapporto di mera alternatività rispetto a quelli che, svolti dal consulente tecnico di ufficio, erano stati recepiti dal primo giudice.

2. Carena S.p.A. – Impresa di Costruzioni, nell’indicata qualità, ricorre per la cassazione della sentenza di appello con due motivi cui resistono con controricorso il Comune di Lecco ed il Ministero delle infrastrutture e trasporti che propongono, altresì, ricorso incidentale affidato ad unico motivo, il primo dei quali condizionato ed illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale, Carena S.p.A., Impresa di costruzioni, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omessa motivazione, per avere il giudice di appello ritenuto generiche, e quindi inammissibili, le censure mosse alla sentenza di primo grado, appellata, per una errata ed omessa valutazione delle difese della ricorrente e degli elementi di prova relativi alle opere oggetto di causa, come ricostruite dalla espletata c.t.u..

Il motivo è inammissibile per ragioni e termini di seguito indicati e precisati.

Carena S.p.A. deduce di avere, con il proposto appello, provveduto ad indicare in modo inequivoco le censure mosse alla sentenza di primo grado che, come tali, nel rispetto degli oneri di allegazione che gravano sul ricorrente nel giudizio di legittimità, la prima provvede a riportare in ricorso (pp. 13 e 14) e sulle quali la Corte di merito avrebbe dovuto decidere.

A fronte di siffatta doglianza questa Corte di legittimità non può non rilevare che la valutazione che si vorrebbe mancata nel proposto ricorso sia stata in realtà oggetto di apprezzamento da parte dei giudici di appello.

Vero è infatti che seppure giudicate inammissibili, le doglianze di Carena S.p.A. sono state ritenute infondate dalla Corte territoriale nel merito (pp. 16 ss. della sentenza); l’effetto è stato pertanto quello per il quale, non essendosi il giudicante privato della potestas iudicandi, la ratio decidendi è rimasta integrata dal rigetto nel merito del gravame per infoncatezza delle censure (Cass. n. 30354 del 2017, pp. 3 e 4) evidenza, quest’ultima, sostenuta dal fatto che nel dispositivo della sentenza è presente una decisione di merito.

E’ inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione col quale si censuri la ritenuta inammissibilità di un motivo di appello in realtà esaminato e deciso nel merito, in quanto una tale censura non è in grado di incidere sulla ratio decidendi – non censurata – della sentenza impugnata, onde quest’ultima resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa.

Nè, come ancora precisato da questa Corte di legittimità, può addivenirsi alla cassazione della sentenza di appello per il solo fatto della erronea valutazione dell’inammissibilità di una impugnazione là questa sia stata comunque esaminata e rigettata nel merito perchè ciò condurrebbe, in modo illogico ed in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo e di economia dell’attività processuale (art. 111 Cost., comma 2), ad un rinvio della causa dinanzi al giudice di merito affinchè questi valuti la fondatezza dell’impugnazione che ha già valutato (Cass. 30354 cit. p. 4).

Ne consegue l’inammissibilità ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1, del primo motivo, in applicazione del principio per il quale, ove la sentenza è sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’intervenuta definitività dell’autonoma motivazione di infondatezza nel merito, perchè non impugnata, fa sì che quella, ulteriore, di inammissibilità non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. 27/07/2017 n. 18641; Cass. 03/11/2011 n. 22753).

Segnatamente, nel caso in cui l’ordinanza di inammissibilità del gravame, pronunciata ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., indichi ulteriori rationes decidendi, del tutto assenti nella sentenza di primo grado, con le quali il giudice di appello abbia corroborato la propria decisione, questa risulterà autonomamente impugnabile nella parte in cui ha aggiunto e integrato la motivazione del giudice di prime cure (Cass. 09/03/2018 n. 5655; vd. Cass. 23/06/2017 n. 15644).

2. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed omessa motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto infondate le censure mosse alla sentenza di primo grado appellata, per errata ed omessa valutazione delle difese di Carena S.p.A. e degli elementi di prova relativi alle opere come emersi dalla espletata consulenza tecnica di ufficio.

Il motivo è inammissibile perchè incapace di contrastare la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità in punto di confronto della motivazione della sentenza impugnata con gli esiti della disposta consulenza tecnica di ufficio.

Secondo principi fermi nella giurisprudenza di legittimità e dai quali il ricorso non offre ragione di discostarsi, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poichè l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente.

Diversa è invece l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate sia dai consulenti di parte che dai difensori ed in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass. 11/06/2018 n. 15147; Cass. 21/11/2016 n. 23637).

Nel caso di specie, è vero che il giudice di merito si è adeguato alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, ma è altrettanto vero che la relazione della consulenza di ufficio, come rilevato dalla Corte di appello (p. 17 sentenza), ha espressamente preso in considerazione e confutato le critiche specifiche e circostanziate avanzate nei confronti dell’elaborato tecnico, in tal modo realizzando quel pieno dialogo processuale a cui resta estranea ogni dedotta omissione.

A sostegno, d’altra parte, di un ulteriore rilievo di inammissibilità del proposto mezzo depone la sua mancanza di autosufficienza; la ricorrente con il formulato motivo non ha allegato (pp. 15 e 16 del ricorso) quali sono state le contestazioni che, fatte valere rispetto alla c.t.u., non sono poi state prese in considerazione dal consulente di ufficio e dal giudice.

4. Con ricorso incidentale condizionato il Comune di Lecco denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 1411 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e omessa motivazione, nella parte in cui la Corte di merito aveva valutato negativamente la domanda di estromissione dell’ente territoriale avendo esso affiancato in veste di committente il Provveditorato.

Il motivo è assorbito dal rigetto del ricorso principale.

5. Con ricorso incidentale il Ministero delle infrastrutture e trasporti denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 109 del 1994, art. 19 e del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Richiamata la motivazione della sentenza di appello, il Ministero assume, nella dedotta erroneità della contraria conclusione sul punto raggiunta dalla Corte di merito, di aver operato unicamente, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 19, comma 3 e del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 8, in funzione di stazione appaltante su incarico del Comune di Lecco che, con nota del 10 settembre 2004, avrebbe reso manifesta la volontà di limitare le funzioni della stazione appaltante alla sola fase pubblicistica, o della c.d. evidenza pubblica, della vicenda contrattuale.

Ragione, quella indicata, per la quale non si sarebbe inteso come la Corte di merito avesse potuto fondatamente, invece, ritenere legittimato passivo il ricorrente incidentale, erroneamente convenuto.

Si sarebbe attribuito rilievo alla concreta condotta tenuta in corso d’opera dal Comune di Lecco e dal Ministero delle infrastrutture e trasporti, con il riconoscere portata dirimente all’avvalimento da parte dell’ente territoriale dell’Amministrazione centrale per l’intimazione della risoluzione del rapporto negoziale, attraverso l’emissione del decreto di risoluzione del contratto, dopo che il predetto ente, attraverso il responsabile del procedimento dallo stesso nominato, aveva interamente espletato e concluso la relativa istruttoria procedimentale, ai sensi del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 119, con la proposta di risoluzione poi recepita formalmente nel decreto del Provveditorato in data 28.11.2007.

Il ricorso incidentale proposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è inammissibile per manifesta sua infondatezza.

Resta evidente come si sia nella fattispecie in esame in presenza di una ipotesi di collaborazione di enti nell’esecuzione di opere pubbliche nel rispetto della definizione datane dalla giurisprudenza di legittimità.

Segnatamente, risponde a principio consolidato di questa Corte di cassazione quello per il quale, l’attribuzione del compito di provvedere alla realizzazione di un’opera di pubblico interesse spettante alla competenza di un ente diverso, che comporti l’assunzione da parte dell’esecutore della veste di stazione appaltante, non si configura come una delegazione amministrativa intersoggettiva, in virtù della quale l’ente delegato è legittimato ad operare nei confronti dei terzi in nome proprio, nell’ambito di una competenza propria e con piena autonomia e responsabilità, ma dà luogo ad un fenomeno di collaborazione tra enti nell’esecuzione di opere pubbliche.

Nell’ambito dell’indicata figura la stipulazione di contratti di appalto con i terzi non si traduce, per vero ed in genere, nell’assunzione della veste di committente da parte della stazione appaltante, chiamata invece ad operare quale ente prescelto per la realizzazione dell’intervento programmato, e dunque in qualità di nudus minister dell’ente competente, privo di poteri esterni idonei a consentirne l’individuazione quale controparte sostanziale dell’appaltatore.

Nè può attribuirsi a siffatta qualificazione una portata assoluta in ragione della pluralità delle forme in cui si può manifestare la predetta collaborazione.

Si assiste, piuttosto, ad una regola generale ed astratta che in sede applicativa, in relazione alle singole fattispecie, può subire deroghe in relazione alla qualità o all’ampiezza dei poteri attribuiti agli enti cooperanti dalla legge o dall’atto amministrativo.

Può, così, aversi il mero compimento degli adempimenti materiali necessari per la realizzazione dell’intervento o ancora una estensione destinata a ricomprendere la delega con effetti esterni del potere di contrattare con i terzi e di assumere gli obblighi derivanti dagli atti posti in essere, incluso quello di pagare il corrispettivo dell’appalto (Cass. 21/07/2004 n. 13513; Cass. 15/05/2015 n. 10020; vd. anche: Cass. n. 8496/2018 non massimata, p. 5).

Con la conseguenza che anche la legittimazione passiva in ordine ai rapporti obbligatori nascenti dal contratto di appalto va determinata secondo un’indagine da condursi, caso per caso, in ragione dei compiti, poteri e obblighi che di volta in volta si riconoscono attribuiti all’uno o all’altro degli enti cooperanti e, quindi, dell’ampiezza della delega devoluta alla stazione appaltante (Cass. n. 13513 cit.; Cass. 19/02/1991 n. 1714).

In applicazione degli indicati principi la Corte di appello, per un accertamento rispettoso del caso in concreto, nel respingere l’appello incidentale ha da una parte rilevato l’insussistenza nel testo contrattuale, apprezzato come chiaro e univoco, dell’evidenza che la stazione appaltante abbia soltanto il compito di gestire la fase genetica del rapporto negoziale, dovendo essa invece rimanere del “tutto estranea all’intera fase esecutiva del contratto”, e dall’altra che la risoluzione contrattuale intimata dal Provveditorato su incarico del Comune di Lecco non è idonea a sostenere l’affermazione che siffatto ente abbia inteso avvalersi del Provveditorato anche in fase esecutiva.

La duplicità delle ragioni di sostegno della decisione impugnata rende inammissibile la dedotta critica di contraddittorietà della motivazione (p. 11 ricorso incidentale). Ed invero nella interpretazione di clausole contrattuali a cui si accompagnano espressioni non univoche, il ricorso per cassazione non può limitarsi a prospettare una sia pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse che risulti fondata sulla valorizzazione di talune espressioni piuttosto che di altre, ma deve spingersi a rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 22/06/2017 n. 15471).

E’ ancora pacifico nere affermazioni di questa Corte di legittimità che il ricorrente per cassazione, che voglia denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violatio e, in particolare, il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. 28319/2017).

Sulla indicata premessa il ricorso incidentale diretto a contrastare la decisione impugnata, la cui lettura avrebbe valorizzato la fase esecutiva del rapporto contrattuale, è inammissibile per difetto di interesse.

Ferma l’indicata inconcludenza della proposta critica, vero pure è che la Corte di appello ha debitamente ricostruito la portata del contratto avvalorando la conclusione raggiunta, circa l’evidenza che l’incarico tra enti non fosse limitato alla sola fase genetica del rapporto, dal comportamento successivo tenuto dai contraenti in sede di risoluzione del contratto.

7. Conclusivamente: il ricorso principale è infondato e va rigettato; il ricorso incidentale condizionato resta assorbito; il ricorso incidentale autonomo va dichiarato inammissibile.

Le spese nella reciproca soccombenza delle parti restano tra le stesse compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principale ed incidentale autonomo, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile quello proposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed assorbito quello incidentale condizionato proposto dal Comune di Lecco.

Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, principale ed incidentali autonomo, rispettivamente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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