Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11068 del 07/05/2010
Cassazione civile sez. lav., 07/05/2010, (ud. 24/02/2010, dep. 07/05/2010), n.11068
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
BARBERINI 3, presso lo studio dell’avvocato PARLATO GUIDO, che lo
rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
ARIN SPA in persona del Procuratore Speciale pro tempore, nonche’
ARIN – AZIENDA SPECIALE in persona del Commissario Liquidatore,
elettivamente in ROMA, VIA SARDEGNA 50, presso lo studio
dell’avvocato MERILLI EMANUELE, rappresentate e difese dall’avvocato
TURRA’ SERGIO, giuste procure a margine della prima e della seconda
pagina del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 7409/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del
10.12.08, depositata il 15/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
24/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LA TERZA Maura;
udito per il ricorrente l’Avvocato Guido Parlato che si riporta agli
scritti, insistendo per l’accoglimento del ricorso e per la
trattazione dello stesso in pubblica udienza;
E’ presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che
nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Letta la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 15 gennaio 2009 di rigetto della domanda proposta da F.F. nei confronti dell’Arin e dell’Arin spa per conseguire il computo, nella determinazione del trattamento pensionistico in godimento, della indennita’ di incentivazione, con conseguente condanna al pagamento delle differenze; affermavano i Giudici d’appello che il F. era stato collocato in quiescenza fin dal primo gennaio 1980, onde non era a lui applicabile la Delib.n. 404 del 1987, con la quale si era stabilito che la pensione aziendale doveva essere calcolata su tutti gli elementi retributivi aventi carattere di fissita’, continuita’ ed irrevocabilita’, limitatamente pero’ al personale in servizio alla data del primo gennaio 1987;
Letto il ricorso del soccombente articolato in un unico motivo, concernente la violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. e difetto di motivazione;
Letto il controricorso dell’Arin spa e della Arin Azienda speciale, con cui si eccepisce la inammissibilita’ del ricorso, la relazione resa ex art. 380 bis c.p.c., che parimenti rileva la inammissibilita’ del ricorso, nonche’ la memoria di parte ricorrente;
Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, e che non sono validamente confutati in memoria, essendo inidoneo il quesito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c.. Il quesito e’ il seguente: “Se l’interpretazione del testo contrattuale vada eseguito, ai sensi degli artt. 1362 e 1363 c.c. esaminando l’inteso contesto dell’atto, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre ed attribuendo a ciascuna il senso che emana dal significato letterale e logico delle parole usate. Se quindi violi tali regole dell’ermeneutica l’interprete che ricostruisce la volonta’ delle parti sulla base soltanto di alcune clausole, per giunta costituenti soltanto la premessa dell’atto da interpretare”;
Ritenuto che, in tal modo, il ricorrente si e’ limitato a riportare il disposto delle norme sull’ermeneutica, senza alcun collegamento con il caso concreto, ed e’ quindi inammissibile, perche’ si e’ affermato che “A norma dell’art. 366 “bis” c.p.c., e’ inammissibile il motivo di ricorso per Cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilita’ alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. U, n. 6420 del 11/03/2008); nello stesso senso si e’ affermato che la formulazione del quesito prevista dall’art. 366-bis c.p.c., postula l’enunciazione, ad opera del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e percio’ tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice “a quo”. Non e’ pertanto ammissibile un motivo di ricorso che si concluda con l’esposizione di un quesito meramente ripetitivo del contenuto della norma applicata dal giudice del merito (Cass. n. 14682 del 22/06/2007);
Ritenuto che, se fosse consentita la formulazione di un quesito in termini generali e astratti, verrebbe frustrato il principio ispiratore della riforma che e’ quello per cui, nella progressiva complessita’ del giudizio, a cui concorrono di questi tempi anche la pluralita’ delle fonti di regolamentazione, lo schematismo, in cui si deve compendiare il quesito, viene richiesto alle parti ed al giudice in quanto ritenuto foriero di semplificazione e chiarezza;
Ritenuto che il ricorso e’ quindi inammissibile e che le spese, liquidate come da dispositivo, devono seguire la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese liquidate in Euro 30,00 oltre Euro millecinquecento/00 per onorari, oltre Iva e CPA e spese generali.
Cosi’ deciso in Roma il 24 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010