Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11066 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 27/04/2021), n.11066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA E. Luigi – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOVIK A. Ton – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20565/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.S., difeso dall’avvocato Clerici Alessandra, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lenti Lucilla in

Roma, via Crescenzio 19;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 414/14, depositata in data 23/01/2014, non notificata.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Nei confronti di B.S. fu emesso un avviso di accertamento per Ires, Iva, Irap relativo all’anno di imposta 2004.

2. Con sentenza n. 314/44/12, la Commissione tributaria provinciale di Milano (CTP) accolse il ricorso del contribuente.

3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia (CTR) ha rigettato l’appello dell’agenzia delle entrate.

4. A sostegno della decisione, la CTR afferma che: -l’avviso di accertamento impugnato era stato notificato al ricorrente oltre i termini perentori previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, e che non era applicabile il raddoppio del termine in quanto la denuncia che l’ufficio aveva affermato di aver presentato alla procura della Repubblica di Roma non era stata allegata tra i documenti prodotti nel giudizio di primo grado, ed era stata allegata all’atto di appello; -la stessa, peraltro, era stata compilata 12 mesi dopo la notifica dell’avviso di accertamento e non era possibile sapere se fosse stata inoltrata alla procura della Repubblica; -infine, il ricorrente non era stato sottoscrittore del Modello Unico 2004 e destinatario dell’ordinanza del Gip; dichiarava assorbite le altre questioni proposte dalle parti.

5. L’agenzia ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza per due motivi, cui il contribuente resiste con controricorso e depositata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente, rileva la Corte che l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal contribuente, sotto il profilo dell’assenza dei requisiti dell’autosufficienza e dell’esposizione sommaria dei fatti di causa è infondata, ravvisandosi nelle doglianze dedotte una critica afferente l’esatta portata della norma censurata, idonea a delineare tutte le questioni su cui il Collegio è chiamato a pronunciare.

2. Con il primo motivo di ricorso, l’agenzia deduce “art. 360 c.p.c., comma 10, n. 3) violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 30, nonchè del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, commi 24 e 26 conv. con mod. in L. n. 248 del 2006”: premesso che la stessa CTR nel corpo della decisione aveva dato atto, con giudizio di fatto, che l’ufficio aveva allegato all’atto di appello la denuncia, afferma che la decisione sarebbe erronea laddove aveva escluso l’applicabilità al caso di specie del raddoppio dei termini di decadenza, in contrasto con l’interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 resa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 247/2011; rileva come per l’operatività del raddoppio dei termini non era necessario per l’ufficio fornire la prova dell’inoltro alla A.G. della denuncia, essendo sufficiente che dalle indagini fosse emersa la commissione di una violazione in grado di integrare un reato tributario.

3. Con il secondo motivo del ricorso, l’agenzia denuncia: “art. 360 c.p.c., comma 10, n. 4): nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7”, per aver la CTR dichiarato inutilizzabile la denuncia di reato tardivamente presentata; sarebbe stato obbligo del giudice di appello acquisire d’ufficio questo documento come indispensabile ai fini del decidere.

3.1. I motivi, esaminabili congiuntamente perchè connessi, sono fondati.

Invero, la statuizione d’appello si pone in insanabile contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza”, come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, “senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati” (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016);

3.2. Nelle citate pronunce, questa Corte ha avuto cura di precisare che “non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza”, applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario, ma che deve essere accertato dal giudice, con la conseguenza che il raddoppio opera a prescindere dalla presentazione di una formale denuncia da parte dell’agenzia (peraltro, secondo quanto si legge nel controricorso alla pag. 3, la denuncia di reato era già stata presentata antecedentemente al PVC della GdF del 18/12/2009, visto che in esso si legge che una ordinanza di custodia cautelare era stata emessa in precedenza a carico di altri soggetti, ciò che rende incomprensibile l’affermazione che si legge in sentenza secondo cui mancava la prova che la denuncia fosse stata inoltrata alla procura della Repubblica).

3.3. Tale raddoppio non è nemmeno escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, nè dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando “nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)” (Cass. n. 16728/16, cit.).

3.4. Su tale assetto nessun effetto spiegava la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonchè D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati nel 2010 – si applica la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2 (che non è stato modificato dalla successiva L. n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto.

3.5. Fermo quanto già esposto nell’esame del precedente motivo, e a tacere che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c., per completezza argomentativa va ricordato il principio di recente affermato da questa Corte (Cass. sez. 5, n. 16476 del 31/7/2020), che il Collegio condivide e fa proprio, secondo cui “Il principio che emerge dalla giurisprudenza sull’interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 1 è quello per cui il potere di indagine autonoma del giudice tributario è esercitabile, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, quando gli elementi di giudizio già in atti od acquisiti non siano sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata. Questo potere sopravvive alla riconosciuta natura dispositiva del processo tributario, sancita anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 109 del 2007, che ha così delineato i limiti dei poteri di cui all’art. 7 comma 1, anche a seguito dell’abrogazione legislativa del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3 che affermava che “è sempre data alle Commissioni tributarie la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia”, e che, quindi, consentiva un vero e proprio potere d’ufficio in “supplenza” della parte probatoriamente inerte.”.

4. Pertanto, dato atto che è la stessa CTR che nello svolgimento del processo riconosce che “La denuncia (….) è stata allegata all’atto di appello”, il ricorso dell’agenzia va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR che, in diversa composizione, riesaminerà la vicenda processuale, compresi i motivi non esaminati, alla stregua dei suesposti principi, e regolamenterà le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla CTR della Lombardia in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

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