Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1106 del 18/01/2018

Cassazione civile, sez. VI, 18/01/2018, (ud. 19/09/2017, dep.18/01/2018),  n. 1106

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. Nel 2002 Q.G. e C.A.P. convennero dinanzi al Tribunale di Cremona B.S., G.P., il Comune di Cingia dè Botti e la società AXA Assicurazioni S.p.A. (d’ora innanzi, per brevità, “la AXA”), esponendo che:

(-) erano i genitori di Q.A., deceduto il (OMISSIS) all’età di anni quattro;

(-) Q.A. era deceduto a causa delle lesioni patite dopo essere stato investito da un mezzo di proprietà comunale adibito al servizio di “scuolabus”, assicurato contro i rischi della responsabilità civile dalla società AXA;

(-) tale mezzo era condotto da B.S., e su esso si trovava una persona addetta alla sorveglianza dei bambini, ovvero G.P.;

(-) l’investimento andava ascritto a responsabilità del conducente il quale, dopo aver fatto discendere il bambino dal bus, riprese la marcia “senza attendere o comunque verificare che lo stesso fosse a distanza di sicurezza”.

2. La società AXA si costituì negando qualunque responsabilità del conducente. Sostenne che questi, dopo aver fatto discendere il bambino, attese che venisse recuperato dalla madre, e riprese la marcia solo dopo essersi accertato che il bimbo fu preso in braccio da quest’ultima. Fu solo a questo punto che il piccolo, dopo essere stato posato in terra dalla madre, inciampò nel marciapiede e finì sulla strada, dove venne sormontato dalle ruote posteriori del bus, in quel momento in fase di ripartenza.

3. Con sentenza 10 agosto 2011 n. 341 il Tribunale di Cremona rigettò la domanda, ritenendo (così si legge nella sentenza d’appello) che “mancasse in atti la prova di qualunque responsabilità del conducente convenuto”.

4. La Corte d’appello di Brescia, adita dalle parti soccombenti, con sentenza 4 novembre 2014 n. 1311 rigettò il gravame.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello accertò in punto di fatto che il conducente dello scuolabus lasciò scendere il bimbo; che la madre lo recuperò; che lo scuolabus a questo punto ripartì; che il bimbo in quel momento cadde finendo col capo sulla traiettoria del mezzo; che lo scuolabus lo sormontò con una delle ruote posteriori.

Sulla base di questi accertamenti di fatto, la Corte d’appello ritenne di non ravvisare alcuna colpa nella condotta del conducente. Secondo il giudice di merito, infatti, questi, una volta veduto il bimbo tra le braccia della madre, poteva fare ragionevole affidamento sul fatto che ormai il piccolo si trovasse in condizioni di sicurezza, e il mezzo potesse dunque ripartire (questo, in sostanza, il contenuto delle pp. 911 della sentenza impugnata).

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Q.G. e C.A.P., con ricorso fondato su sei motivi ed illustrato da memoria.

Hanno resistito con un controricorso unitario il Comune di Cingia dè Botti e la società AXA, i quali hanno altresì depositato memoria.

Considerato che:

1. Questioni preliminari.

1.1. 11 Comune e la Axa hanno eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, sostenendo che esso sia volto ad ottenere il riesame nel merito dei fatti già accertati dalla Corte d’appello.

1.2. Tale eccezione è infondata.

Il giudizio di legittimità non può estendersi a sindacare gli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.

Questo generale principio conosce, nella pratica, numerose declinazioni: sarà dunque inammissibile la richiesta di ricostruire i fatti in modo diverso rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito; la richiesta di valutare le prove in modo diverso rispetto alle valutazioni del giudice di merito; la richiesta di attribuire ad un mezzo di prova trascurato dal giudice di merito maggior peso rispetto alle altre fonti, ritenute invece decisive dalla sentenza impugnata; la richiesta di interpretare un contratto od un negozio in modo difforme rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito.

Non è invece affatto precluso al giudice di legittimità stabilire se il giudice di merito abbia correttamente sussunto sotto l’appropriata previsione normativa i fatti da lui accertati, ferma restando l’insindacabilità di questi ultimi e l’impossibilità di ricostruirli in modo diverso.

Questo tipo di errore, prasseologicamente definito “vizio di sussunzione”, non è un errore di accertamento, ma un errore di giudizio: esso infatti consiste nello scegliere in modo erroneo quella, tra le tante norme dell’ordinamento, della quale deve farsi applicazione al caso concreto. In materia di fatti illeciti il giudice può incorrere in un vizio di sussunzione tra l’altro quando, ricostruita correttamente la condotta tenuta dal preteso responsabile, ne valuti la liceità o la colpevolezza in base a regole di condotta diverse da quelle dettate, per quel caso, dalla legge.

Nel nostro caso, come meglio si dirà esaminando i primi tre motivi di ricorso, è proprio questo il nucleo delle censure mosse dai ricorrenti alla sentenza impugnata: essi infatti, sia pur tra altre doglianze, hanno sostenuto che la condotta del conducente dello scuolabus, così come ricostruita dalla Corte d’appello, non si sarebbe dovuta ritenere conforme nè alle regole del codice della strada, nè a quelle della ordinaria diligenza.

A prescindere dunque, per ora, da qualsiasi valutazione circa la fondatezza d’una simile censura, essa comunque non investe l’accertamento dei fatti, ma la valutazione di essi sub specie iuris, per come è stata compiuta dalla Corte d’appello.

Ne consegue che il ricorso va dichiarato, per questa parte, ammissibile.

2. Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso.

2.1. I primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni tra loro strettamente intrecciate.

Col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 140,141 e 154 C.d.S.. Svolgono, al riguardo, una censura così riassumibile:

(a) la Corte d’appello ha ritenuto il conducente dello scuolabus esente da responsabilità per essere egli ripartito solo dopo essersi accertato che il bambino fosse stato ricevuto dalla madre, e fosse nella “sfera di controllo” di quest’ultima;

(b) i ricorrenti non negano che ciò sia avvenuto, ma affermano in buona sostanza che tale condotta fu comunque colposa, perchè le regole del codice della stradaavrebbero imposto al conducente non già di limitarsi a verificare se il bambino fosse stato preso in consegna dalla madre, ma di accertarsi, prima di riprendere la marcia, che l’uno e l’altra fossero in posizione di assoluta sicurezza.

Col secondo motivo i ricorrenti lamentano che la sentenza sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (lamentano, anche in questo caso, la violazione degli artt. 140,141 e 154 C.d.S.), sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Deducono che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare il seguente “fatto decisivo”: che il conducente dello scuolabus, al momento di ripartire, guardò soltanto alla propria sinistra, per accertarsi che non sopraggiungessero da tergo altri mezzi; egli invece non guardò alla propria destra, ovvero dalla parte dove era disceso il bambino e dove si trovava la di lui madre, e di conseguenza non si accertò della distanza a cui costoro si trovassero dal bus, al momento in cui il mezzo riprese la marcia.

Col terzo motivo di ricorso, infine, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 157 e 158 C.d.S..

Deducono, a tal riguardo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto diligente la condotta del conducente dello scuolabus, nonostante avesse accertato in fatto che questi accostò il mezzo e fece discendere il bimbo non attenendosi alle prescrizioni degli artt. 157 e 158 C.d.S.: ovvero non nel punto previsto per la fermata, non parallelamente al margine destro della carreggiata, e nemmeno in posizione strettamente accostata a quest’ultimo.

2.2. Le censure sopra riassunte sono fondate nei limiti e nei sensi di cui di seguito.

La colpa civile consiste in una devianza: ovvero nello scostamento da una regola di condotta.

Tale regola di condotta può essere dettata tanto da una norma di legge, quanto da regole di comune prudenza.

In tema di circolazione stradale, le regole di condotta sono ovviamente dettate dal codice della strada, con precetti che tuttavia non esauriscono la gamma delle condotte prudenti esigibili degli utenti della strada, in quanto anche condotte non espressamente previste dal codice potrebbero legittimamente pretendersi dagli automobilisti o dai pedoni, quando siano da loro esigibili alla stregua della diligenza esigibile dal buon padre di famiglia, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 1.

Pertanto il giudice chiamato a valutare se la condotta tenuta dal conducente di un veicolo sia stata o non sia stata prudente, e come tale ideona a vincere le presunzioni di cui all’art. 2054 c.c., comma 1 e 2, deve innanzitutto ricostruire in facto quella condotta; e poi valutare in iure se essa sia conforme: (a) ai precetti del codice della strada; (b) alle regole di ordinaria prudenza esigibile nel caso concreto.

2.3. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato in punto di fatto che:

(a) Q.A., dopo essere sceso dal bus, venne preso in braccio (o comunque tenuto per mano) dalla madre;

(b) quando il conducente del bus chiuse le porte del mezzo, e si accinse a ripartire, la madre del bambino si trovava all’altezza del guidatore;

(c) il bambino cadde all’altezza della ruota posteriore del bus.

Dopo avere accertato questi fatti, la Corte d’appello ha ritenuto che in essi non fosse ravvisabile alcuna condotta colposa del conducente lo scuolabus.

Lo ha fatto con un ragionamento così riassumibile: dopo avere visto il bambino essere ormai sotto la sorveglianza della madre, il conducente poteva ragionevolmente attendersi che fosse questa a badare all’incolumità del piccolo; egli pertanto, legittimamente trascurò di occuparsi della posizione e della condotta dei due pedoni che si trovavano alla sua destra, in quanto doveva prioritariamente occuparsi di ripartire, e quindi di sorvegliare il sopraggiungere di veicoli dalla sua sinistra.

La Corte d’appello, in definitiva, ha accertato in punto di fatto che il conducente di un bus ha lasciato scendere dei passeggeri, ed è poi ripartito senza occuparsi di dove fossero, perchè “l’autista doveva badare al traffico e non poteva prospettarsi una caduta del minore, sotto la diretta sorveglianza della madre che lo teneva per mano” (così la sentenza impugnata, p. 10, primo capoverso).

Così giudicando, la Corte d’appello è effettivamente incorsa in un errore di diritto, consistito nel falsamente applicare le regole del codice della strada che disciplinano la condotta dei conducenti.

2.4. La regola principale cui ogni conducente deve attenersi è quella della salvaguardia dell’incolumità propria ed altrui, dettata dall’art. 140 C.d.S., comma 1. Tale norma stabilisce che gli utenti della strada devono sempre “comportarsi in modo da non costituire pericolo (…) per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale”.

“In ogni caso” vuol dire che su qualsiasi altra esigenza (di circolazione, di celerità, di efficienza d’un servizio), prevale per la nostra legge sempre e comunque la salvaguardia dell’incolumità delle persone.

Il successivo art. 191 C.d.S., comma 3, fin dal testo originario nel disciplinare la condotta dei conducenti rispetto ai pedoni, stabilisce che “i conducenti….devono comunque prevenire situazioni di pericolo che possano derivare da comportamenti scorretti o maldestri di bambini o di anziani, quando sia ragionevole prevederli in relazione alla situazione di fatto”.

Anche in questo caso la norma detta una prescrizione che non ammette deroghe.

Ora, sarebbe evidentemente assurda un’interpretazione del combinato disposto di queste due norme che portasse alla seguente conclusione: che il conducente di un veicolo a motore debba sorvegliare la strada dinanzi a sè, ma possa disinteressarsi dei pedoni che si trovino accanto e dietro il suo veicolo, anche quando sia possibile avvistarli con l’ordinaria diligenza e tanto più quando debba ripartire dopo averli fatti scendere dal veicolo condotto.

Una interpretazione di questo tipo, infatti, sarebbe incoerente con lo scopo della legge, che per quanto detto è garantire nel massimo grado possibile l’incolumità degli utenti della strada.

Le due norme appena ricordate vanno dunque lette nel loro insieme, e nel loro insieme esse esprimono un concetto molto semplice: poichè chi guida un autobus può provocare danni a chi circola a piedi, deve prestare particolare attenzione nella guida, in ragione dell’intrinseca pericolosità dell’attività svolta.

“Prestare particolare attenzione” vuoi dire che il conducente di un veicolo a motore, massimamente quando si tratti di veicoli di ingombranti dimensioni come gli autobus, prima di eseguire qualsiasi manovra deve accertarsi non solo che nel raggio d’azione del mezzo non vi siano pedoni, ma anche che non possano ragionevolmente entrarvi od interferirvi.

Il conducente di un mezzo di ingombranti dimensioni, dunque, ha l’obbligo di non iniziare o proseguire alcuna manovra, quando avvisti intorno a sè pedoni che tardino a scansarsi, e che possano teoricamente interferire coi movimenti del mezzo. Questa è la regola di condotta che risulta dal combinato disposto dell’art. 140 C.d.S., comma 1, e art. 191 C.d.S., comma 4.

questo precetto, dunque, la Corte d’appello avrebbe dovuto comparare la condotta del conducente dello scuolabus, per come accertata in concreto: e se l’avesse fatto, avrebbe dovuto concludere che quella condotta, così come ricostruita dalla Corte d’appello, a quel precetto conforme non fu, dal momento che il conducente riprese la marcia nonostante vi fossero ancora pedoni nelle vicinanze del mezzo; non aspettò che si allontanassero, e non ne sorvegliò i movimenti.

2.5.. I principi appena esposti per un verso costituiscono il corollario di regole da tempo affermate da questa Corte; e dall’altro non sono infittitati dai rilievi svolti dalle parti controricorrenti nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

2.5.1. Questa Corte ha infatti già in più occasioni stabilito che il conducente di un veicolo a motore, quando si veda contorniato o preceduto da pedoni, ha il dovere giuridico di prevenirne anche le eventuali scorrettezze, adeguando coerentemente la propria condotta di guida, e all’occorrenza arrestando la marcia.

Ha ritenuto, in particolare, che il conducente, quando sia accertata la presenza di bambini sul marciapiede latistante la traiettoria del veicolo, in caso di investimento per vincere la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 1, deve dimostrare che il pedone investito (in quel caso, un bimbo di tre anni, svincolatosi dalle mani della nonna per inseguire un cuginetto) non avesse tenuto un comportamento che denunciasse il suo intento di attraversamento della strada, seppur di corsa e fuori dalle strisce pedonali. (Sez. 3, Sentenza n. 3542 del 13/02/2013).

Si è poi affermato che la condotta anche anomala ed imprudente di un pedone non vale di per sè ad escludere la responsabilità dell’automobilista, ove tale condotta anomala del pedone fosse, per le circostanze di tempo e di luogo, ragionevolmente prevedibile, e che tale prevedibilità “deve ritenersi di norma sussistente con riferimento alla condotta dei bambini, in quanto istintivamente imprudenti, con la conseguenza che in presenza di essi, e massimamente in prossimità di istituti scolastici, l’automobilista ha l’obbligo di procedere con la massima cautela, e tenersi pronto ad arrestare il veicolo in caso di necessità” (Sez. 3, Sentenza n. 524 del 12/01/2011).

2.5.2. Per le ragioni indicate la corte territoriale ha sostanzialmente commesso un errore di sussunzione, là dove la dinamica della vicenda per come da essa stessa accertate avrebbero dovuto indurla a ravvisare in essa la tenuta di una condotta di guida del conducente dello scuolabus non conforme al Codice della Stradaed alle norme di comune prudenza e, dunque, affetta da colpa. Com’è noto, il vizio di sussunzione, che integra la c.d. falsa applicazione di norma di diritto, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, ricorre allorquando il giudice di merito, dopo avere ricostruito i fatti rilevanti per la decisione in un certo modo si rifiuta erroneamente di ricondurli sotto la norma che appare idonea a disciplinarli oppure li riconduce sotto una norma diversa. La Corte di Cassazione, in tal caso, procede al suo sindacato in iure, in quanto assume i fatti per come ricostruiti dal giudice di merito e rileva il rifiuto o l’errore nel procedimento di sussunzione, così censurando un vizio in iure i quanto relativo all’applicazione della norma giuridica.

2.6. Come accennato, rispetto alle considerazioni svolte nei precedenti p. 2.2 e seguenti della presente motivazione, non appaiono decisive le considerazioni svolte dalla difesa dei controricorrenti nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

In tale memoria i controricorrenti spendono cinque argomenti per sostenere che il ricorso sia infondato.

2.6.1. Con un primo rilievo, i controricorrenti assumono che la caduta del bimbo fu accidentale, e dunque costituì una fatalità (p. 2 della memoria).

A tale rilievo deve replicarsi in primo luogo che in questa sede è irrilevante discutere per quale causa il bambino inciampò e cadde (causa che, del resto, rimase ignota allo stesso giudice di merito) ed infatti nelle considerazioni svolte sopra non lo si è fatto; è rilevante, invece, solo se la condotta del conducente, così come accertata dalla Corte d’appello, fu conforme alle regole del codice della strada, dettate anche per prevenire le fatalità.

In secondo luogo al rilievo in esame deve comunque replicarsi, sempre sul piano del procedimento di sussunzione, che se fu fatalità la caduta del bambino, non fu fatalità l’investimento, dal momento che il rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 191, comma 3, cod. strad., da parte del conducente lo scuolabus avrebbe potuto verosimilmente prevenirlo.

2.6.2. Con un secondo rilievo, i controricorrenti deducono che il conducente del bus non tenne una condotta colposa, perchè ripartì solo dopo essersi sincerato che “la madre ed il bimbo fossero in condizioni di sicurezza” (pp. 3-4 della memoria).

Il rilievo recepisce e duplica l’errore di sussunzione già commesso dalla Corte d’appello, e qui denunciato.

Che un pedone sia “in condizioni di sicurezza” ai sensi dell’art. 191 C.d.S., infatti, non vuol dire nè che il pedone sia disceso dal bus, nè che il pedone sia salito sul marciapiede, nè che il pedone sia vigilato od affidato ad altro pedone. Vuoi dire, invece, una cosa ben diversa, ovvero che il pedone sia sufficientemente distante dal mezzo in manovra. Il giudice di merito, invece, come già detto ritenne “in sicurezza” il bambino sol perchè recuperato dalla madre, ma senza considerare che tanto l’una, quanto l’altra, si trovavano ancora in prossimità del bus quando questo riprese la marcia.

2.6.3. Con un terzo rilievo, i controricorrenti deducono che la condotta del conducente dello scuolabus non potesse ritenersi scorretta, in quanto – come rilevato anche dal consulente tecnico nominato dal giudice di merito – “manca un regolamento comunale sul comportamento che deve essere tenuto dagli addetti al servizio scuolabus” (p. 5 della memoria).

Il rilievo è oggettivamente fragile, dal momento che la condotta dei conducenti di veicoli a motore è disciplinate dalle regole del codice della strada, e rispetto a tali regole ne va valutata la natura colposa o meno.

2.6.4. Con un quarto rilievo, i controricorrenti richiamano ampi stralci della relazione della seconda consulenza tecnica d’ufficio eseguita nei gradi di merito, per sostenere che la responsabilità dell’accaduto andasse ascritta (solo) alla madre della vittima (pp. 6-7 della memoria). Ma il rilievo non è pertinente, atteso che le considerazioni della detta consulenza risultano enunciate senza considerare la disciplina del Codice della Strada che, in base a quanto sopra esposto, imponeva al conducente di controllare, prima di ripartire, se i pedoni discesi erano in sicurezza rispetto alla manovra di ripartenza, mentre sarà il giudice di rinvio ad apprezzare – sulla base delle emergenze della consulenza quale possa essere stato il contributo alla causazione del danno dell’eventuale condotta inappropriata o imprudente della madre del piccolo.

2.6.5. Con un quinto rilievo, infine, i controricorrenti lamentano che la proposta del consigliere relatore di definizione del procedimento in camera di consiglio faccia riferimento ad una norma (l’art. 141 C.d.S.) non solo non pertinente rispetto al caso concreto, ma nemmeno mai invocata dagli stessi ricorrenti.

Il rilievo è infondato.

Per quanto riguarda la proposta formulata dal consigliere relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., essa, come già affermato da questa Corte, non vincola mai il Collegio giudicante: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4541 del 22.2.2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 395 del 10/01/2017), che il motivo sia fondato.

Per quanto riguarda, poi, la circostanza che i ricorrenti non abbiano espressamente invocato l’art. 191 C.d.S., ma altre diverse norme di questo testo normativo, va ricordato che, in virtù del principio iura novit curia, l’erronea individuazione, da parte del ricorrente per cassazione, della norma che si assume violata, resta senza conseguenze quando dalla descrizione del vizio che si ascrive alla sentenza impugnata possa inequivocabilmente risalirsi alla norma stessa (così come stabilito da Sez. 3, Sentenza n. 4439 del 25/02/2014).

E nel nostro caso, per quanto già detto, i ricorrenti hanno in sostanza prospettato un error in iudicando, consistito nel ritenere non colposa la condotta del conducente d’un autobus il quale, dopo la discesa dei passeggeri, abbia ripreso la marcia senza aspettare che si allontanassero: e dunque hanno presupposto l’esistenza d’una norma che prescrivesse tale condotta, invocandone la violazione. E tanto basta perchè questa Corte, in virtù del principio jura novit curia, possa procedere ad individuare correttamente la norma effettivamente violata, sebbene non espressamente menzionata dai ricorrenti.

3. L’esame degli ulteriori motivi di ricorso resta assorbito.

4. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, la quale tornerà a valutare la. colpa del conducente dello scuolabus applicando il seguente principio di diritto:

“il combinato disposto dell’art. 140 C.d.S., comma 1, e art. 191 C.d.S., comma 3, impone al conducente di uno scuolabus di non riprendere la marcia, dopo aver fatto discendere i passeggeri, sino a quando questi ultimi non si siano portati a debita distanza dal mezzo, ovvero non si trovino in condizioni di non interferenza con le manovre di esso. Ne consegue che incorre in vizio in iure di sussunzione il giudice di merito che omette di considerare negligente la condotta di guida del conducente che sia stata accertata non conforme a detta regola di condotta”.

Come già anticipato, naturalmente, il giudice di rinvio, fermo l’obbligo di decidere la controversia applicando tale principio e, dunque, ritenendo sussistente una condotta colpevole del conducente e la sua efficienza causale su sinistro, bene potrà valutare in che misura essa abbia contribuito a determinarlo, tenuto conto della condotta della madre del bambino.

5. Le spese.

Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 19 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2018

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