Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11057 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 27/04/2021), n.11057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria Giuli – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet T – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 27748 del ruolo generale dell’anno 2014,

proposto da:

Amministrazione giudiziaria della Icop s.r.l., in persona dei suoi

amministratori giudiziari, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Salvatore Rijli, in forza

di provvedimento autorizzativo del G.D. del 31.10.2014,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Bruno

Chiarantano, in Roma, Borgo Pio n. 160;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, n.

123/05/13, depositata in data 9 ottobre 2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29 gennaio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 123/05/13, depositata in data 9 ottobre 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio-Calabria, previa riunione, rigettava l’appello proposto da Icop s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, e accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Ufficio nei confronti della detta società avverso la sentenza n. 193/02/2010, della Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale, previo p.v.c. della G.d.F., l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultima, per l’anno 2004, maggiori ricavi non dichiarati, ai fini Irpeg, Irap e Iva e l’indebita deduzione di costi, ai fini delle imposte dirette e detrazione ai fini Iva;

– in punto di fatto, per quanto di interesse, il giudice di appello ha premesso che: 1) previo p.v.c. della G.d.F., con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), l’Ufficio aveva ripreso a tassazione, per il 2004, ai fini Irpeg, Irap e Iva, maggiori ricavi, erroneamente contabilizzati nel 2005, pur afferendo al 2004, in violazione del principio di competenza temporale, nonchè costi indebitamente dedotti e detratti ai fini Iva, sostenuti per somministrazione di pasti, acquisto di carburanti e lubrificanti, polizze assicurative di mezzi aziendali; 2) avverso il suddetto avviso di accertamento la contribuente aveva proposto ricorso alla CTP di Reggio- Calabria che, con sentenza n. 193/2/10, l’aveva accolto parzialmente quanto alla deducibilità dei costi relativi all’acquisto di carburanti, vitto per gli operai e polizze assicurative, confermando per il resto l’atto impositivo; 3) avverso la sentenza di primo grado avevano proposto separati appelli la società contribuente e l’Agenzia;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) era legittima la ripresa relativa ai maggiori elementi positivi del 2004, erroneamente contabilizzati nel 2005, in violazione delle regole inderogabili sulla imputazione temporale di proventi e oneri nell’esercizio di competenza (109 del TUIR); nè l’applicazione di detto principio implicava di per sè la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggiore imposta proponibile, nei limiti ordinari per la prescrizione ex art. 2935 c.c. a decorrere dalla formazione del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione all’annualità non di competenza; 2) era illegittima la deduzione dei costi relativi all’acquisto di carburanti/lubrificanti, stante l’obbligatorietà della relativa c.d. scheda carburante ai sensi del D.P.R. n. 444 del 1997; 3) era legittima la deduzione, per il 2004, dei costi per le polizze assicurative dei mezzi aziendali, atteso che i contratti assicurativi riguardavano più esercizi di imposta e dunque, in ipotesi, anche quello sottoposto a verifica; 4) era legittima la deduzione dei costi per il vitto degli operai in quanto le fatture prodotte non apparivano prive del requisito dell’inerenza riguardando consumazioni a menù fisso, a favore di un numero ricorrente di persone che avevano consumato i pasti in esercizi del pari ricorrenti, e stante la coincidenza tra i luoghi di operatività della attività di impresa e la sede degli esercizi medesimi;

– avverso la sentenza della CTR, la Amministrazione giudiziaria della Icop s.r.l. ha proposto ricorso principale per cassazione affidato a cinque motivi cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate, spiegando ricorso incidentale articolato in tre motivi;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c., art. 375, comma 2, introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, per avere la CTR – confermando sul punto la decisione di primo grado – nel ritenere legittima la ripresa a tassazione dei maggiori ricavi asseritamente non contabilizzati nel 2004, violato l’eccepito divieto di “doppia imposizione”, essendo stati i lavori – relativamente ai quali erano stati accertati ricavi pari a Euro 85.513,90 – già tassati in forza della loro inclusione, per un importo equivalente, nelle rimanenze finali al 31.12.2004;

– il motivo è infondato;

– dalla sentenza impugnata si evince che la CTR ha ritenuto legittima la ripresa relativa ai maggiori ricavi (pari a Euro 85.513,90) in quanto gli elementi positivi di reddito del 2004 erano stati contabilizzati nell’anno 2005, in violazione del principio della competenza economica; con ciò facendo corretta applicazione del principio affermato da questa Corte secondo cui: “In tema di determinazione dei redditi di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109), comma 1, i ricavi, i costi e gli altri oneri sono imputabili nell’esercizio di competenza in cui si è formato il titolo giuridico che ne costituisce la fonte, purchè l’esistenza o l’ammontare degli stessi sia determinabile in modo oggettivo, circostanze, queste ultime, che rientrano, per i componenti positivi, nell’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria e per quelli negativi in quello del contribuente.” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 28671 del 09/11/2018); secondo consolidato principio, che occorre in questa sede ribadire, in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, dettate in via generale dall’art. 75 t.u.i.r., sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo di reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come “esercizio di competenza”, nè essendone ammessa l’imputazione in misura superiore a quella prevista per ciascun esercizio. Il recupero a tassazione dei ricavi nell’esercizio di competenza non può, pertanto, trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio, non potendosi lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile (Cass. 17/12/2013, n. 28159; Cass. 28/07/2006, n. 17195); nè l’applicazione di detto criterio implica di per sè la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 c.c., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza (Cass. n. 11646 del 2017; id. n. 16349 del 2014) (cfr. Cass. 27/02/2015, n. 4023; Cass. 17/07/2014, n. 16349; Cass. 18/12/2009, n. 26665);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR omesso di considerare che-come eccepito nei gradi di merito dalla contribuente – non soltanto i contestati ricavi erano stati dichiarati nell’annualità successiva, ma gli stessi erano stati assoggettati ad imposizione diretta (nell’anno di competenza) mediante la valorizzazione dei ricavi nelle rimanenze finali;

– il rigetto del primo motivo, stante la inderogabilità delle regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, dettate in via generale dall’art. 75 (ora 109) t.u.i.r., rende privo di rilevanza il secondo motivo; in ogni caso la censura, non investe l’omesso esame di un “fatto storico” principale o secondario – la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)- che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare, in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 9 ottobre 2013);

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla dedotta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, con riferimento alla dedotta “doppia imposizione” per effetto della avvenuta inclusione tra le rimanenze finali dei lavori ultimati nel 2004 nell’importo corrispondente ai maggiori ricavi accertati;

– il motivo è infondato;

– va premesso che costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e configura il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012); nella specie, la CTR – dopo avere richiamato i motivi di appello della contribuente – di cui il primo concernente l’assunto difetto di motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla ritenuta legittimità della ripresa relativa alla omessa contabilizzazione di elementi positivi di reddito e il secondo relativo alla dedotta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, per c.d. doppia imposizione, per essere stati i lavori contestati inclusi nelle rimanenze finali del 2004 ha rigettato il gravame, osservando che, come correttamente ritenuto dalla CTP, era legittimo il rilievo dell’Ufficio relativo all’imputazione temporale dei ricavi, in applicazione dell’inderogabile principio della competenza economica e che l’applicazione di tale principio non implicava di per sè la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggiore imposta proponibile negli ordinari limiti della prescrizione ex art. 2935 c.c.;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 132 e 36, per avere la CTR, con il dispositivo, accolto parzialmente l’appello dell’Ufficio in relazione al vitto per i dipendenti e le polizze assicurative per i mezzi aziendali, e, nella parte motiva, disatteso tali motivi di censura, con evidente contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza;

– il motivo è infondato;

– questa Suprema Corte già con la remota sentenza n. 1205 del 1984 (che peraltro richiama precedenti ancora più lontani, quali Cass. 4188/79; 16/78 e 2784/68) ha sancito il principio che al contrasto tra formulazione letterale del dispositivo (di rigetto della domanda) e pronunzia adottata in motivazione (di accoglimento) integra, non un vizio incidente sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, come tale emendabile con la procedura ex art. 287 c.p.c. (applicabile anche al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie), e non denunciabile (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) con ricorso per Cassazione”. In senso analogo si è successivamente espressa la giurisprudenza di questa Corte, che ha precisato che “il contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – distinguendosi, quindi, sia dall’error in iudicando deducibile ex art. 360 c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4 – ed è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepito e rilevato ictu oculi, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza” (Cass. 17392/04 e 10129/99). I principi sopra enunciati hanno trovato esplicita condivisione in numerose successive pronunce, anche recenti, tra cui Cass. n. 16488 del 2006, n. 22433 del 2017 e n. 5939 del 2018. Da ultimo, questa Corte ha ribadito che “Il contrasto tra motivazione e dispositivo che determina la nullità della sentenza ricorre solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, nel suo complesso, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, ricorrendo nelle altre ipotesi un mero errore materiale”. (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26074 del 17/10/2018). Tali essendo i principi giurisprudenziali in materia, rileva il Collegio che, nel caso di specie, la lettura della motivazione della sentenza impugnata consente di affermare con certezza quale sia stato il contenuto essenziale del decisum, posto che la CTR in motivazione afferma con argomentazioni chiare e univoche: 1) la legittima deducibilità dei costi relativi alle polizze assicurative dei mezzi aziendali, non risultando violato il principio della competenza, “atteso che detti contratti riguarda (vano) più esercizi di imposta e dunque, in ipotesi, anche quello sottoposto a verifica”; 2) la legittima deducibilità dei costi relativi al vitto dei dipendenti, in quanto le fatture prodotte, pur non indicando il nominativo delle persone che avevano usufruito delle prestazioni, non apparivano prive del requisito dell’inerenza, riguardando consumazioni a menù fisso, a favore di un numero ricorrente di persone che avevano consumato i pasti in esercizi del pari ricorrenti, la cui sede coincideva con i luoghi di operatività dell’attività di impresa; pertanto, nella specie, il contrasto tra motivazione e dispositivo (in relazione al vitto dei dipendenti e alle polizze assicurative) non determina la nullità della sentenza in quanto non incide sulla idoneità del provvedimento, nel suo complesso, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, risolvendosi tale difformità sostanzialmente in un mero errore materiale;

– con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR – nel ritenere, in motivazione, indeducibili i costi relativi al carburante in mancanza delle relative schede carburanti – omesso di considerare fatti circostanziati e documentati (acquisto di un distributore mobile, di una pistola automatica bassa portata, di altro serbatoio) idonei a comprovare la esclusione della operatività, nella specie, del D.P.R. n. 444 del 1997 (come già accertato dal medesimo collegio, nella stessa udienza, per le annualità 2003 e 2005);

– il motivo si profila inammissibile non avendo la ricorrente assolto all’onere di riportare, in ossequio al principio di autosufficienza, nelle parti rilevanti, gli atti difensivi dei gradi di merito onde permettere a questa Corte di valutare la fondatezza della censura quanto alla asserita deduzione di fatti circostanziati comprovanti la derogabilità, nella specie, della disciplina di cui al D.P.R. n. 444 del 1997;

– con il primo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 444 del 1997, art. 1 e dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR, nel dispositivo della sentenza confermato solo i rilievi relativi ai costi per il vitto per i dipendenti e le polizze assicurative per mezzi aziendali, ancorchè per quanto riguardava i costi per il carburante l’obbligo di annotazione in apposite schede fosse espressamente previsto dal D.P.R. n. 444 del 1997, art. 1;

– il motivo si profila inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi, essendo chiaramente evincibile dalla motivazione della sentenza impugnata la conferma del rilievo dell’Ufficio relativo alla indeducibilità dei costi relativi al carburante, stante l’obbligatorietà della relativa scheda in base alla disciplina in materia di acquisto di carburante per autotrazione di cui al D.P.R. n. 444 del 1997;

– con il secondo motivo, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 109 TUIR, dell’art. 2697 c.c. per avere la CTR- in violazione del principio della competenza economica – in presenza di polizze assicurative riferite a più esercizi di imposta, imputato i relativi costi al 2004, limitandosi ad affermare, sul punto, che “in ipotesi” i contratti si riferissero anche all’esercizio di imposta in esame;

– con il terzo motivo, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, degli artt. 75 e 109 TUIR, dell’art. 2697 c.c. per avere la CTR ritenuto legittimamente deducibili i costi per il vitto dei dipendenti, ancorchè la società non avesse prodotto alcun elemento atto a comprovare l’inerenza delle fatture con l’attività di impresa (nelle quali era stato indicato solo il numero delle persone, senza alcuna identificazione, nè descrizione della causa per la quale la spesa era stata sostenuta);

– i motivi secondo e terzo del ricorso incidentale – da trattare congiuntamente per connessione – si profilano inammissibili in quanto, pur denunciando vizi di violazione di legge, in realtà tendono inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito; va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018; Cass., sez. 5, 26 novembre 2020, n. 26961); invero, nella specie, la CTR ha ritenuto: 1) deducibili i costi relativi alle polizze assicurative per i mezzi aziendali, accertando – con un apprezzamento di merito, sebbene formulato in termini probabilistici, non sindacabile in sede di legittimità – che “detti contratti riguardavano più esercizi di imposta e, dunque, in ipotesi, anche quello sottoposto a verifica”; 2) deducibili i costi relativi al vitto dei dipendenti in quanto – con una valutazione di merito ugualmente insindacabile – le fatture prodotte in atti non apparivano prive del requisito dell’inerenza, dato che, pur non indicando il nominativo delle persone che avevano usufruito delle prestazioni, riguardavano consumazioni a menù fisso, a favore di un numero ricorrente di persone che avevano consumato i pasti in esercizi del pari ricorrenti, la cui sede coincideva con i luoghi di operatività dell’attività di impresa; ciò peraltro, in conformità al condivisibile indirizzo di questa Corte secondo cui “In tema di redditi di impresa, la deducibilità dei costi inerenti all’attività di impresa va apprezzata secondo un giudizio di tipo qualitativo, con la conseguenza non rilevano valutazioni in termini di utilità o di vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e neppure in termini di congruità del costo” (Cass. Sez. 5, Ord. n. 22938 del 26/09/2018; Sez. 5, Ord. n. 450 del 11/01/2018; Sez. 5, Ord. n. 29404 del 13/11/2019);

– in conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale;

– in considerazione della reciproca soccombenza, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

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