Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11056 del 27/05/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 11056 Anno 2016
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: SCARPA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 5604-2012 proposto da:
FORNASARO PIERO FRNPRI56TO8L4241, elettivamente
domiciliato in ROMA, P.ZZA DEI CAPRETTARI 70, presso lo
studio dell’avvocato MAURIZIO MARTINETTI, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MAURIZIO CONTI;

– ricorrente contro
AGENZIA PER LA MOBILITA’ TERRITORIALE SPA ,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 18,
presso lo studio dell’avvocato ALFONSO QUINTARELLI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHIARA FRONZONI;

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Data pubblicazione: 27/05/2016

- controticorrente-

avverso la sentenza n. 571/2011 della CORTE D’APPELLO di
TRIESTE, depositata il 13/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

uditi gli Avvocati Fornas aro per delega dell’Avvocato Martinetti e
Mortati per delega dell’Avvocato Fronzoni;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
IGNAZIO PATRONE che ha concluso in via principale
l’integrazione del contraddittorio ed in via subordinata per il rigetto del
ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Gli avvocati Piero Fomasaro e Maria Rosa Gambi, del foro di
Trieste, chiesero ed ottennero dal Tribunale di Trieste un decreto
ingiuntivo (n. 74/2004) nei confronti della ACT – Azienda
Consorziale Trasporti — (poi Agenzia per la Mobilità Territoriale
S.p.A.) per il pagamento della somma di curo 150.900,08, oltre
interessi e spese, pretesa quale compenso per l’attività professionale
svolta a favore dell’intimata, e consistita, in particolare, nello studio
e nella predisposizione di un contratto “normativo”, sottoscritto il 28
maggio 2003, diretto a disciplinare l’assetto degli interessi tra la
stessa ACT – Azienda Consorziale Trasporti — ed altre società, in
vista della futura costituzione, tra le stesse, di un’associazione
temporanea d’imprese, finalizzata a rappresentarle unitariamente nei
confronti dell’amministrazione comunale di Trieste e dei terzi, e
nella successiva gara per l’aggiudicazione di un appalto per la
costruzione di un parcheggio sotterraneo in Trieste, con la
previsione, inoltre, delle clausole statutarie della futura società di

Ric. 2012 n. 05604 sez. S2 – ud. 03-05-2016
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03/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

progetto, da costituire solo in caso di esito positivo della gara, ai fini
della realizzazione dei lavori.
Il Tribunale di Trieste, con sentenza del 27 novembre 2007,
decidendo sull’opposizione proposta dalla ACT, revocava il decreto

dell’avvocato Gambi, condannava l’opponente al pagamento in
favore del solo avvocato Fornasaro della somma di euro 4.417,87,
oltre accessori di legge ed interessi legali a far data dal 28 gennaio
2004.
Veniva proposto appello dagli avvocati Piero Fornasaro e Maria
Rosa Gambi, e la Corte d’Appello di Trieste , con sentenza del 13
settembre 2011, accoglieva il gravame solo quanto alla condanna
della Agenzia per la Mobilità Territoriale S.p.A. (già ACT Azienda
Consorziale Trasporti) agli interessi ex art. 5, d. Igs. n. 231/2002,
confermando per il resto la pronuncia di primo grado.
Per quanto ancora rilevi in questa sede, il secondo motivo di appello
lamentava che la liquidazione del compenso, operata dal Tribunale,
avesse violato gli artt. 5 e 6 delle disposizioni generali per le
prestazioni giudiziali in materia civile della tariffa professionale
dell’epoca, non avendo il primo giudice considerato, ai fini della
quantificazione del valore della pratica, né il rilevante importo dei
lavori (curo 24.332.000,00) al cui espletamento era finalizzata la
futura costituzione dell’ associazione temporanea d’imprese, né la
straordinaria importanza delle questioni trattate e l’inderogabile
urgenza della prestazione, né i risultati conseguiti. A dire
dell’appellante, si trattava di una convenzione normativa che
regolava tutti i possibili sviluppi dell’iniziativa, poi andata a buon
fine con l’aggiudicazione dell’appalto. La Corte di Trieste osservava
Ric. 2012 n. 05604 sez. 52 – ud. 03-05-2016
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ingiuntivo, e, ritenuto il difetto di legittimazione sostanziale attiva

al riguardo come la prestazione professionale fosse stata resa in
materia stragiudiziale, sicché trovava applicazione ratione temporis
la tabella D di cui alla tariffa forense approvata con d.m. 5 ottobre
1994, n. 585. La liquidazione non poteva perciò dirsi regolata, come

6 delle “disposizioni generali” dettate dalla tariffa per le prestazioni
giudiziali”, bensì dall’art. 5 delle “norme generali” dettate in materia
stragiudiziale. Questa disposizione, osservava la Corte del merito,
stabilisce, al primo comma, che “il valore della pratica o dell’affare
si determina a norma del codice di procedura civile”, senza
aggiungere alcun contemperamento, per un eventuale aumento o
diminuzione del compenso, avendo riguardo ai risultati o ai vantaggi
conseguiti dal cliente, o all’urgenza della prestazione, o alla
straordinaria importanza dell’ affare, come invece prevede
l’omologo art. 5 delle disposizioni generali per le prestazioni rese a
favore del cliente nella materia giudiziale. Secondo la Corte di
Trieste, nella determinazione del valore della pratica — consistente
nello studio e nella predisposizione delle clausole del contratto
“normativo” sottoscritto il 28 maggio 2003 — non doveva, perciò,
farsi riferimento all’ammontare dell’investimento che avrebbe
comportato dapprima la partecipazione alla gara pubblica ad opera
dell’A.T.I., e poi l’esecuzione dei lavori da parte della costituenda
società di progetto. H richiamo effettuato dall’art. 5 delle “norme
generali” alle disposizioni del codice di procedura civile (artt. 10 e
ss.) impone, secondo i giudici dell’appello, di tener conto dei valori
numerici espressi, ovvero dei soli elementi di valutazione
precostituiti e disponibili al tempo della prestazione, in origine
obiettivamente valutabili dal cliente e dal professionista, senza
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voluto dall’avvocato Fornasaro, in base ai criteri di cui agli artt. 5 e

considerare i possibili sviluppi economici dell’affare o gli
investimenti che questo possa nel tempo comportare. Ciò che si
demandò al professionista, osserva la Corte di Trieste, “fu di
predispone un contratto contenente le clausole di futuri ed eventuali

d’imprese ed eventualmente di una società, e di certo non rilevano,
per la liquidazione del compenso, il fine ultimo dell’operazione
negoziale, ossia la possibile aggiudicazione dell’appalto per la
realizzazione di un’opera pubblica e l’ammontare dei futuri ed
eventuali investimenti per essa necessari”. Pertanto, la pratica,
secondo i giudici dell’appello, doveva considerarsi “per quel che si
poteva valutare in base agli elementi esistenti al tempo della
prestazione, di valore indeterminabile”. La Corte di Trieste, infine,
non riconosceva nulla a titolo di danno da svalutazione monetaria,
trattandosi di domanda proposta per la prima volta in appello; e,
quanto alla domanda di rimborso del costo sostenuto dall’avvocato
Fornasaro per ottenere il parere dell’ ordine professionale, già
proposta in primo grado, e neppure esaminata dal Tribunale,
osservava come l’appellante si fosse limitato a riproporre la stessa
nelle conclusioni dell’atto d’ appello, senza muovere al riguardo uno
specifico motivo di censura ex art. 342 c.p.c.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste Piero
Fornasaro ha proposto ricorso articolato in quattro motivi. Resiste
con controricorso l’Agenzia per la Mobilità Territoriale S.p.A.
MOTIVI DELLA DECISIONE
11 ricorso non risulta rivolto anche all’avvocato Maria Rosa Gambi,
la quale aveva agito in sede monitoria insieme all’avvocato Piero
Fornasaro ed era stata parte dei precedenti gradi di giudizio.
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accordi negoziali, circa la costituzione di un raggruppamento

Tuttavia, va disattesa l’eccezione del Pubblico Ministero diretta a
disporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331
c.p.c., in quanto, vertendosi in tema di compensi di avvocati, ogni
difensore ha un diritto autonomo verso il cliente in relazione

affidata più difensori, tra gli stessi sussista solidarietà attiva né
unicità del rapporto sostanziale. Ne deriva che i distinti titoli di
credito azionati danno luogo a procedimenti di liquidazione
autonomi e deve escludersi ogni ipotesi di litisconsorzio necessario,
così come va negata, in sede di impugnazione, una situazione di
inscindibilità delle cause, restando sempre possibile la scissione del
rapporto processuale, e quindi operando, piuttosto, l’art. 332 c.p.c.
I.Col primo motivo di ricorso l’avvocato Piero Fornasaro deduce
violazione dell’art. 5 della Tariffa per onorari ed indennità spettanti
agli avvocati in materia stragiudiziale, approvata con D.M. 5 ottobre
1994, n. 585, in relazione agli artt. 10 e 12 c.p.c. ed al paragrafo 2
Tabella D della Tariffa. Si deduce l’erroneità della sentenza
impugnata, per aver ritenuto di valore indeterminabile una pratica
nella quale all’avvocato era demandata la redazione di un contratto
contenente clausole di accordi negoziali futuri ed eventuali, invece
di riconoscere gli onorari spettanti all’avvocato in relazione agli
accordi negoziali regolati nel contratto anche seppur dipendenti da
eventi futuri ed incerti. Si fa riferimento all’impegno economico che
sarebbe derivato in ipotesi di aggiudicazione dell’appalto pubblico,
stimato in apposito studio di fattibilità finanziaria in €
21.012.648,00.
Il secondo motivo di ricorso censura l’ insufficiente motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, n. 5,
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all’attività effettivamente svolta, senza che, ove la pratica sia stata

c.p.c., quanto alla sussistenza di elementi idonei a determinare il
valore dell’attività svolta al professionista. Il testo della
Convenzione normativa redatto dall’avvocato Fornasaro ed i
documenti ad essa allegati avrebbero dimostrato la consapevolezza

comportato un investimento quanto meno pari ad € 24.332.000,00,
mentre la sentenza della Corte triestina si sarebbe limitata ad
affermare l’indeterminatezza del valore della pratica.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.: la novità della
domanda del danno da svalutazione monetaria sarebbe frutto di un
errore dei giudici di appello, in quanto la stessa domanda era stata
già formulata nella comparsa di costituzione davanti al Tribunale di
Trieste,e così ripresa nell’atto di appello [“in ogni caso, con interessi
di mora ex d. lgs. n. 231/02 (o, in subordine, interessi legali) dal dì
del dovuto al saldo e risarcimento del danno da svalutazione
monetaria da liquidarsi in conformità agli indici ISTAT relativi
all’incremento del costo della vita per famiglie di operai ed
impiegati”].
Il quarto motivo, sempre denunciato ex art. 360 n. 3, c.p.c., censura
la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. circa la
statuizione di inammissibilità della domanda (subordinata) di
rimborso delle spese del costo sostenuto per la liquidazione della
parcella. Si evidenzia come il Tribunale di Trieste “omise
totalmente di considerare la domanda subordinata” concernente,
appunto, le spese sostenute per la liquidazione della parcella, pari ad
Euro 3.375,00, proposta dall’avvocato Fornasaro nell’atto di
costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Si
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dei sottoscrittori che la realizzazione dell’opera pubblica avrebbe

chiede allora di riconoscere che, laddove il giudice di primo grado,
violando l’art. 112 c.p.c., non si pronunci su una domanda
subordinata, il requisito di specificità dei motivi di appello ex art.
342 c.p.c. possa intendersi soddisfatto mediante richiesta d’integrale

ampio ed articolato atto di appello.
HA primi due motivi di ricorso, che per la loro connessione vanno
esaminati congiuntamente, risultano fondati per quanto di ragione.
Il dato normativo di riferimento va tratto, ratione temporis, dalle
tariffe degli onorari ed indennità spettanti agli avvocati in materia
stragiudiziale civile stabilite dal Decreto del Ministro di Grazia e
Giustizia 5 ottobre 1994, n. 585, in quanto vigenti all’epoca delle
svolte prestazioni. L’art. 4 delle relative Norme generali prevedeva:
“Per la determinazione degli onorari fra il massimo ed il minimo
stabiliti, si deve tenere presente il valore e la natura della pratica, il
numero e l’importanza delle questioni trattate, il pregio dell’opera
prestata, i risultati ed i vantaggi anche morali conseguiti dal cliente
e se le prestazioni sono richieste in condizioni di particolare
urgenza”. Il successivo art. 5, comma 1, affermava: “Il valore della
pratica o dell’affare si determina a norma del codice di procedura
civile”.

Il comma 2 aggiungeva:

“Le pratiche di valore

indeterminabile si considerano di valore eccedente le Lire
10.000.000 (€ 5.164,57), ma non superiore a Lire 200.000.000 (E
103.291,38) (…)”. Il punto 2, lettera O dell’allegata tariffa stabiliva,
quindi, per la prestazione di assistenza consistente nella redazione di
contratti, gli onorari quantificati in misura percentuale per scaglioni
di importo progressivo rispetto al valore della pratica.

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riforma della sentenza impugnata, inserita nel contesto di un più

Va correttamente inquadrata tra le prestazioni stragiudiziali
l’assistenza nella redazione dei contratti, attività consistente nella
redazione ex novo di un contratto, cioè nell’attività creativa della
traduzione in termini tecnico- giuridici delle pattuizioni di due parti

In un remoto precedente, e con riguardo ai Decreti ministeriali
previgenti che recavano disposizioni analoghe all’art. 5 appena
richiamato, questa Corte aveva affermato che “l’art 12, primo
comma, cod. proc. civ. (la cui norma, con le altre del codice di rito
concernenti la competenza per valore, è richiamata in materia
stragiudiziale sia dall’art 5 del DM 28 novembre 1960 che dai
corrispondenti articoli dei decreti ministeriali 2 aprile 1965 e 30
maggio 1969, successivamente entrati in vigore) dispone che il
valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla
risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in
base a quella parte del rapporto che ..è. in contestazione. Detta regola
non subisce deroghe quando il giudice e chiamato ad esaminare
questioni relative all’esistenza ed alla validità dell’intero rapporto
obbligatorio quale premessa logica della richiesta decisione, purché
su tali questioni non sia domandata una pronuncia con efficacia di
giudicato” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1765 del 07/06/1972).
Come visto, il d.m. 5 ottobre 1994, n. 585, stabilendo all’art. 5 delle
Norme generali per gli onorari in materia stragiudiziale civile che “il
valore della pratica o dell’affare si determina a norma del codice di
procedura civile”, fissava poi nell’allegata tariffa, per la prestazione
di assistenza nella redazione di contratti effettivamente portati a
conclusione, un onorario determinato in modo non analitico (ovvero
prestazione per prestazione, in dati periodi di tempo), ma globale, in
Ric. 2012 n. 05604 sez. 52 – ud. 03-05-2016
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(così Cass. sez. 2, Sentenza n. 4842 del 14/11/1989).

percentuale, appunto, al valore della pratica, comprensivo di
qualunque altro onorario previsto dalla tariffa, rimanendo a tal fine
inapplicabili, ai fini della liquidazione, i criteri concernenti il
risultato o il vantaggio procurati al cliente. Si trattava, peraltro, di un

il cliente accordarsi liberamente su una diversa liquidazione del
compenso per la prestazione di assistenza ad un contratto.
Dovendosi il valore della pratica stragiudiziale, ai sensi del citato
art. 5, calcolare a norma del codice di procedura civile, è noto come
il valore della causa, in virtù degli ara. 10 e ss. c.p.c., si identifica in
base a quanto in concreto richiesto nella domanda dall’attore, ed
avendosi come riferimento temporale il momento di proposizione
della domanda stessa (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5573 del
08/03/2010; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20118 del 18/09/2006). Non
possono perciò spiegare influenza, ai fini della determinazione del
valore della domanda, le successive modificazioni o gli ampliamenti
che siano provocati da uno sviluppo della stessa, ad esempio in
conseguenza di una situazione di fatto non ancora completamente
esauritasi nelle sue conseguenze economiche.
Tuttavia, la Corte d’Appello di Trieste ha definito di “valore
indeterminabile” (e ciò agli effetti del comma 2 dell’art. 5 delle
Norme generali), sulla base degli elementi esistenti al tempo della
prestazione, la pratica relativa al contratto “normativo” del 28
maggio 2003, redatto con l’assistenza dell’avvocato Fornasaro,
contratto che conteneva le clausole di futuri ed eventuali accordi
negoziali circa la costituzione di un raggruppamento di imprese o di
una società. Ad avviso dei giudici d’appello, non potevano
contribuire a determinare il valore della pratica né l’importo
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sistema remunerativo derogabile, ben potendo il professionista ed

dell’appalto pubblico alla cui aggiudicazione l’operazione negoziale
era preordinata, né l’ammontare degli investimenti necessari a
questo fine.
Nonostante il richiamo di un principio interpretativo secondo il

venga quantificata numericamente al momento della sua
proposizione, la Corte di Trieste ha col suo ragionamento disatteso,
in realtà, un costante orientamento di questa Corte, per il quale,
tanto ai fini della competenza che ai fini della liquidazione dei
compensi di avvocato, possono essere definite di valore
“indeterminabile” soltanto le cause o le pratiche aventi ad oggetto
beni insuscettibili di valutazione economica, in quanto tale
indeterminabilità del valore va intesa in senso obiettivo, quale
conseguenza, cioè, di un’intrinseca inidoneità della pretesa ad essere
tradotta in termini pecuniari al momento di proposizione della
domanda o di espletamento della prestazione professionale (arg. da
Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3024 del 07/02/2011; Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 6414 del 19/03/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7757 del
20/07/1999). Ancora più chiaramente, si è ritenuto contrario al
principio, rinvenibile nell’art. 6 della deliberazione del Consiglio
Nazionale Forense 12 giugno 1993, approvata dal d.m. n. 585 del
1994, qualificare, agli effetti della liquidazione degli onorari di
avvocato, come cause di valore indeterminabile non quelle non
suscettibili di valutazione economica, quanto quelle il cui valore sia
soltanto non determinato o di difficile valutazione (Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 5905 del 24/03/2004).
D’altro canto, il convincimento espresso dal giudice di merito, in
ordine all’importanza ed al valore delle pratiche trattate dal
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quale una causa è di valore indeterminabile quando la domanda non

professionista legale, ai fini della determinazione dell’onorario
stabilito dalla tariffa, si sottrae al sindacato di legittimità sempre che
la motivazione data sull’argomento appaghi le esigenze della logica,
del corretto criterio giuridico e della completezza di esame sui dati

(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1813 del 09/07/1964).
In specie, avendosi qui riguardo alla liquidazione dell’onorario
spettante ad un avvocato, in base alle tariffe stabilite dal d.m. 5
ottobre 1994, n. 585, per una prestazione stragiudiziale di assistenza
alla redazione di un contratto volto a costituire tra la parti una
Associazione Temporanea di Imprese per l’aggiudicazione e
l’esecuzione di un contratto di un appalto di opera pubblica
(ripartendone i costi tra le partecipanti; prevedendo la costituzione
di una Società di progetto in caso di aggiudicazione dell’opera,
nonché la misura delle rispettive quote di capitale e le clausole
statutarie essenziali riguardanti le posizioni soggettive individuali
dei soci; assumendo l’obbligo di versare ad una di esse il
corrispettivo in importo stabilito per l’attività di progettazione
preliminare già svolta d’intesa con altra impresa partecipante), la
pratica non può considerarsi di valore indeterminabile, trattandosi
di prestazione comunque suscettibile di conversione in danaro, in
base all’ammontare degli apporti delle singole imprese riunite per
quanto concerne la gestione dei lavori, i rapporti con i terzi, gli
adempimenti di legge e gli oneri sociali.
Ill.Va poi considerato come tanto il terzo come il quarto motivo di
ricorso lamentano la violazione di norme processuali in maniera
impropria, ovvero sotto il profilo della violazione di norma
sostanziale ex art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., anziché sotto il
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che concorrono a caratterizzare gli affari trattati dal professionista

profilo dell’ error in procedendo, di cui al numero 4 del citato art.
360. Tuttavia, l’erronea invocazione formale del vizio di legittimità
non impedisce di ricavare dal contenuto delle due censure un
univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dai relativi

IV.E’comunque infondato il terzo motivo di ricorso. Il ricorrente
denuncia che la Corte d’Appello abbia ritenuto nuova e perciò
inammissibile la domanda di danno da svalutazione monetaria
perché proposta per la prima volta in sede di gravame. Si oppone
che tale domanda fosse stata, invece, formulata nella comparsa di
costituzione davanti al Tribunale di Trieste, e poi richiamata
nell’atto di appello.
Il compenso per prestazioni professionali di avvocato ha natura di
debito di valuta soggetto al principio nominalistico, la cui
rivalutazione monetaria non può, perciò, essere automaticamente
riconosciuta, ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c., occorrendo a tal
fine, piuttosto, a prescindere dagli oneri probatori posti a carico
della parte istante, un’apposita domanda, la quale non può essere
proposta per la prima volta in appello, stante il divieto di cui all’art.
345 c.p.c. D’altra parte, l’autonomia di tale domanda comporta che la
statuizione del giudici di primo grado, che abbia negato la relativa
pretesa attributiva del maggior danno da svalutazione, o abbia
omesso ogni statuizione in risposta ad essa, se non specificamente
impugnata, è suscettibile di passaggio in giudicato (Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 24858 del 25/11/2005).
Ne consegue che il ricorrente avrebbe avuto l’onere di formulare
specifico motivo di appello ex art. 342 c.p.c. che investisse le

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vizi segnalati e perciò non incide sull’ammissibilità di esse.

disattesa domanda del danno da svalutazione monetaria, non
potendo esaurire la sua ragione di doglianza al riguardo con la mera
riproposizione della domanda nell’atto introduttivo del gravame,
operando l’art. 346 c.p.c. per l’appellato vittorioso. Alla luce dei

processo, ex art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c. ispirata a tali
principi, pur verificata l’erroneità della declaratoria di novità della
domanda in appello operata dalla Corte di Trieste, può qui omettersi
la cassazione con rinvio sul punto della sentenza impugnata,
facendo in ogni caso difetto uno specifico motivo di gravame volto a
censurare il rigetto o l’omessa pronuncia su tale domanda da parte
del giudice di primo grado, ciò determinando l’inutilità di un ritorno
della causa in fase di merito (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2313 del
01/02/2010). Si afferma da questa Corte, invero, che la violazione di
norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per
cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando abbia
influito in modo determinante sul contenuto della decisione di
merito, ovvero allorché quest’ultima – in assenza di tale vizio – non
sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (Cass. Sez. 3, Sentenza
n. 22978 del 11/11/2015).
V.Non merita accoglimento nemmeno il quarto motivo di ricorso,
che attinge la declaratoria di inammissibilità della domanda
(subordinata) di rimborso delle spese del costo sostenuto per la
liquidazione della parcella, a fronte dell’omessa pronuncia su di essa
da parte del Tribunale. Per il ricorrente, l’omessa pronuncia
imputabile al giudice di primo grado su una domanda subordinata

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principi di economia processuale e della ragionevole durata del

non impone alla parte soccombente alcuno specifico motivo di
appello, essendo sufficiente richiedere al giudice del gravame
l’integrale riforma della sentenza impugnata. E’ esatto, piuttosto
che, allorchè una parte abbia proposto in primo grado una pluralità

del decreto ingiuntivo opposto, la condanna al pagamento del
compenso professionale, oltre accessori e rimborso del costo
sostenuto per ottenere il parere dell’ordine professionale (pur
essendo questa attività necessaria per la difesa, che fonda il diritto
alla ripetizione in favore dell’avvocato: Cass. Sez. 2, Sentenza n.
10876 del 01/10/1999), in ipotesi di rigetto o di omessa pronuncia
su una o alcune di tali domande, l’appellante ha l’onere di proporre
specifici motivi di appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., che investano
ciascuna delle istanze disattese, e non può esaurire la sua ragione di
doglianza nella generica reiterazione nell’atto introduttivo del
gravame soltanto di una o alcuna di esse, confidando nella loro
portata assorbente, in quanto il giudizio di appello rimane limitato
all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame,
in base al principio del “tantum devolutum quantum appellatum”.
Conclusivamente, devono essere accolti il primo ed il secondo
motivo di ricorso, per quanto di ragione, ed invece rigettati il terzo
ed il quarto. La sentenza impugnata deve perciò essere cassata, con
rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste
perché la decida, uniformandosi ai principi innanzi enunciati. Il
giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle
spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
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di domande in via cumulativa, quali, nella specie, in caso di revoca

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, rigetta il
terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione
alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio
di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste.

sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2016.
Il Consigliere estensore
Dott. Antonio Scarpa
Il Presidente

o

Dott. Ettore Bucciante

Il F

ano Giudiziario

NERI

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

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Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda

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