Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11055 del 05/05/2017
Cassazione civile, sez. VI, 05/05/2017, (ud. 16/02/2017, dep.05/05/2017), n. 11055
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22179-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 43,
presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO MOSCHETTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 528/24/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di VENEZIA, depositata il 19/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 16/02/2017 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La Corte,
costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e che parte controricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 528/24/2015, depositata il 19 marzo 2015, la Commissione tributaria regionale del Veneto accolse l’appello proposto dal sig. R.F. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Padova che – riuniti i ricorsi proposti dal contribuente avverso avvisi di accertamento per IRPEF ed addizionali regionale e comunale per gli anni d’imposta 2007 e 2008- li aveva solo parzialmente accolti nella parte in cui il contribuente aveva rilevato che dovesse tenersi conto del TFR percepito dal figlio.
La CTR annullò, infatti, in riforma della pronuncia impugnata, gli atti impositivi in toto, per violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, ritenuto operante, pur non trovando applicazione, in relazione alle annualità d’imposta, nel quadro di c.d. accertamento a tavolino condotto con metodo sintetico, il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, come sostituito dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 112 del 2010.
Avverso detta pronuncia l’Amministrazione finanziaria propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il contribuente resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.L. n. 78 del 2010 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, alla stregua della giurisprudenza in materia di questa Corte in tema di contraddittorio endoprocedimentale.
Posto che gli accertamenti sintetici per cui è causa riguardano le annualità 2007 e 2008, per i quali dunque non risulta applicabile il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nel testo sostituito dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito, con modificazioni, in L. n. 112 del 2010, la decisione impugnata, nell’affermare la nullità degli accertamenti, perchè non preceduti dall’invito al contraddittorio, si è discostata dal principio già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre sez. 5, n. 27069 del 18 dicembre 2006 e n. 12745 del 6 giugno 2014) secondo cui “l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’Ufficio siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per quest’ultimo la possibilità di fornire, in sede d’impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il reddito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria, sicchè la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l’annullamento dell’accertamento stesso” e ribadito, ex professo, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823.
Detta pronuncia, nell’affermare la sussistenza di un obbligo generale di contraddittorio nel solo ambito dei tributi armonizzati, ha, nel contesto di un’ampia motivazione, anche proprio dalla norma di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7 nel testo introdotto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. n. 122 del 2010, ricavato il convincimento che dalla stessa risulti asseverato, a contrario, che, allo stato attuale della legislazione, non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale, una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale.
Il contribuente, nella memoria depositata in atti, evidenzia quelle che configura come criticità che richiederebbero un ulteriore ripensamento dell’indirizzo da ultimo espresso, anche nelle more della decisione rimessa alla Corte costituzionale con ordinanze della CTR della Toscana 10 gennaio 2016, n. 736 e della CTP di Siracusa 17 giugno 2016, n. 235, in subordine insistendo sia nell’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, sia nella questione di legittimità costituzionale pure in questa sede sollevata, o, ancora, in un differimento del giudizio nell’attesa della pronuncia già sollecitata dalle succitate ordinanze al giudice delle leggi.
Va, peraltro, osservato come, allo stato, il quadro interpretativo determinato dalla succitata pronuncia delle Sezioni Unite possa dirsi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (tra le molte cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 31 maggio 2016, n. 11283 e Cass. sez. 6-5, ord. 27 settembre 2016, n. 19032, con specifico riferimento a fattispecie riguardanti accertamenti sintetici ante riforma del 2010; si vedano ancora, più di recente, Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, n. 3012 e Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875), mentre del tutto ininfluente è il richiamo da parte della controricorrente alle sentenze n. 25485 e 25486 del 18 dicembre 2015, che, deliberate in epoca anteriore alla pubblicazione della citata Cass. sez. unite n. 24823/15, sebbene successivamente depositate, attengono peraltro a fattispecie di accertamento di maggiori ricavi sulla base degli studi di settore, dove l’obbligo del contraddittorio preventivo a pena di nullità dell’atto impositivo, già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 26635 del 18 dicembre 2009 ed altre coeve conformi, risponde alla diversa ratio della necessità di personalizzazione rispetto al singolo contribuente di dati altrimenti costituenti mere rilevazioni statistiche.
La richiesta di rimessione della controversia alla Corte di Giustizia per rinvio pregiudiziale in ordine all’applicabilità anche agli atti amministrativi di natura tributaria del principio generale del contraddittorio di derivazione comunitaria e/o la prospettata questione di legittimità costituzionale s’infrangono sulle valutazioni già espresse dalla citata Cass. n. 24823/15 (in particolare, rispettivamente, par. 5 e 4-4), alle quali espressamente si fa riferimento.
Resta, dunque, un’ultima considerazione da spendere sul rilievo del contribuente che l’applicazione anche alle imposte dirette del principio del generale obbligo del contraddittorio troverebbe comunque la sua base normativa nel disposto della L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 1 che dispone che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, d’imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonchè dai principi dell’ordinamento comunitario”.
La norma, secondo il contribuente, per la sua ampiezza, riferita a tutta l’attività amministrativa, non tollererebbe alcun tipo di limitazione, ratione materiae.
In realtà – proprio in relazione agli accertamenti con metodo sintetico svolti a tavolino – la necessità dell’introduzione di una norma ad hoc quale quella del novellato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, in epoca successiva all’introduzione, con la L. n. 15 del 2005, nella portata precettiva della L. n. 241 del 1990, art. 1 del riferimento allo svolgimento dell’attività amministrativa anche secondo i principi dell’ordinamento comunitario, è ulteriore conferma, come del resto già evidenziato dalle Sezioni Unite con la più volte menzionata pronuncia, dell’insussistenza, nel settore dell’accertamento tributario in tema d’imposte dirette, di un generale obbligo di contraddittorio endoprocedimentale.
Il ricorso va dunque accolto in relazione al primo motivo, restando assorbito il secondo, con conseguente cassazione dell’impugnata pronuncia in relazione al motivo accolto e rinvio, per nuovo esame, alla luce del richiamato principio di diritto, alla CTR del Veneto, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017