Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11054 del 27/05/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 11054 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

SENTENZA
sul ricorso 3951-2012 proposto da:
PIRAINO CARMELO PRNCML39R28L950Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, alla VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio
dell’avvocato DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, rappresentato
e difeso dall’avvocato LUCIANO SCOGLIO, in virtù di procura a
margine del ricorso;

– ricorrente contro

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Data pubblicazione: 27/05/2016

UNIVERSITA’ STUDI MESSINA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

avverso la sentenza n. 630/2010 della CORTE D’APPELLO di
MESSINA, depositata il 16/12/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/04/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
udito l’Avvocato Giuseppe Curtò per delega dell’Avvocato Scoglio per il
ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il rgetto del
ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione notificato il 6 aprile 1989, Piraino Carmelo
conveniva in giudizio, dinanzi al Pretore di Messina, l’Università degli
Studi di Messina invocando una declaratoria di maturata usucapione in
relazione ad alcuni terreni dallo stesso posseduti pacificamente animo
domini, da oltre 20 anni e di proprietà dell’ente convenuto.
Nel precisare che detti immobili erano siti nel Comune di Messina e
accatastati al foglio 77 partile nn. 162 e 164 e al foglio 75 part. 12,
deduceva che il padre, Piraino Salvatore, ne era divenuto possessore sin
dal maggio del 1961, allorquando si era reso acquirente all’asta in una
procedura fallimentare di altri appezzamenti confinanti con quelli
oggetto di giudizio. Precisava che, dopo la sua morte, egli aveva

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– controricorrente –

continuato a possederli e che parte di essi erano stati da loro in parte
coltivati ed in parte adibiti a pascolo.
Costituendosi, l’Università degli Studi di Messina contestava la
domanda attorea, precisando che dette aree facevano parte di un fondo

fallimento e che esse erano incolte.
Disposta consulenza tecnica d’ufficio ed espletata la prova per testi
richiesta dall’attore, il Tribunale di Messina, con sentenza depositata il 24
settembre 2001, rigettava la domanda, condannando l’attore alla rifusione
delle spese di causa sostenute dal convenuto.
2. – Avverso la suddetta decisione proponeva appello Piraino
Carmelo, ribadendo la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento
dell’invocata usucapione.
L’Università degli Studi di Messina resisteva in giudizio, chiedendo
la conferma dell’impugnata sentenza.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata in data 16
dicembre 2010, ha respinto il gravame. In particolare, si rilevava come il
giudice di prime cure avesse correttamente valutato le deposizioni dei
testi escussi, ritenendole inattendibili in quanto palesemente in
contraddizione con le obiettive risultanze della disposta consulenza
tecnica. La Corte d’appello, inoltre, escludeva che potesse attribuirsi
valenza decisiva al testamento datato 1963 con cui Piraino Salvatore
aveva lasciato al figlio Carmelo il fondo acquistato in Tribunale
dall’eredità Luigi Rizzotti, nei cui confini sarebbero inglobati i terreni in
contestazione. Tale circostanza non era ritenuta provata e, in ogni caso,

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di maggiore consistenza acquistato nel dicembre del 1963 da un

non sarebbe stata univocamente indicativa di quella necessaria relazione
materiale con la cosa propria del possesso.
3. – Contro la sentenza, Piraino Carmelo propone ricorso per
cassazione, fondato su due motivi, cui resiste con controricorso

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art.
116 c.p.c. conseguente alla immotivata attribuzione alla consulenza
tecnica d’ufficio di un valore probatorio gerarchicamente superiore
rispetto alle deposizioni testimoniali, in relazione all’art. 360, comma 1, n.
4 c.p.c.
Con il secondo motivo parte ricorrente si duole dell’insufficiente
motivazione sull’utilizzo dei terreni in contestazione da parte del Piraino,
costituente un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Parte ricorrente denuncia una motivazione insufficiente e illogica
nonché il recepimento acritico delle conclusioni formulate nella
consulenza tecnica d’ufficio, la quale tuttavia risulterebbe gravemente
parziale, lacunosa e certamente non conclusiva, giacché il Consulente
Tecnico d’Ufficio aveva radicalmente omesso di addentrarsi all’interno
dei terreni nel corso dell’ispezione e si era limitato a eseguire una mera
perlustrazione panoramica.
Stante la stretta connessione tra i motivi di ricorso, va disposta una
loro trattazione congiunta.
1.1. Le doglianze sono infondate.

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l’Università degli Studi di Messina.

I motivi in realtà involgono la valutazione di specifiche questioni di
fatto, non consentita in sede di giudizio di legittimità.
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata
con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il

al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via
esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e
di dare adeguata contezza dell’iter logico – argomentativo seguito per
giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso
vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza,
contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo
quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia
evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della
controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della
decisione (Cass., 26 gennaio 2007, n. 1754; Cass., 21 agosto 2006, il
18214; Cass., 20 aprile 2006, n. 9234; Cass., 1 luglio 2003, n. 10330;
Cass., 9 marzo 2002, n. 3161; Cass., 15 aprile 2000, n. 4916). Il controllo
di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità – non
equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione
che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della
questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe,
sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto,

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potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta

riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla
funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità, il quale deve
limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente
– ed esistano effettivamente – vizi che, per quanto si è detto, siano

Nel caso di specie, la corte d’appello ha adeguatamente motivato la
propria decisione sulla base delle risultanze istruttorie, per cui in questa
sede risulta precluso l’apprezzamento del suo operato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la consulenza tecnica
d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di
coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella
soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, con la
conseguenza che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato
al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ( Cass.
14/02/2006 n. 3191). I giudici di appello correttamente, pertanto, hanno
utilizzato le risultanze della consulenza d’ufficio per valutare gli elementi
acquisiti attraverso le risultanze testimoniali, senza modificare l’onere
della prova che gravava, comunque, sull’attore.
Ed, infatti, costituisce ormai principio costantemente affermato
quello per il quale la consulenza tecnica d’ufficio, acanto alla tradizione
funzione deducente, volta cioè a fornire un apprezzamento in chiave
tecnica delle emergenze probatorie, ha anche una funzione percipiente,
in modo da evidenziare direttamente elementi fattuali apprezzabili solo
con l’ausilio delle conoscenze tecniche del perito.
Nel caso di specie, anche alla luce delle emergenze obiettive
desumibili dai rilievi fotografici in atti, la sentenza impugnata ha

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deducibili in sede di legittimità.

ravvisato elementi circostanziali ed obiettivi ( l’assenza di un percorso di
accesso ad una delle particele in questione, la totale mancanza di segni di
precedenti coltivazioni, ecc., ) che deponevano in maniera evidente per la
complessiva inattendibilità della prova testimoniale escussa.

supportato da adeguata e logica motivazione che pertanto, essendo
immune da vizi logico giuridici, non è censurabile in questa sede.
2. – Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo che segue.

P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle
spese del grado che liquida in € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi,
oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2′ Sezione Civile, il
20 aprile 2016.

Trattasi di un chiaro apprezzamento di circostanze di fatto,

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