Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1105 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. I, 20/01/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 20/01/2020), n.1105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – rel. Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23457/2018 proposto da:

A.S., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Giuseppe Lufrano, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno. domiciliato per legge in Roma Via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 13/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/12/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 13 giugno 2018, respinge il ricorso proposto da A.S., cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale nè lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

b) pertanto, i fatti riferiti non sono riconducibili alle previsioni della Convenzione di Ginevra;

c) neppure sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, visto che da fonti attendibili risulta che la situazione del (OMISSIS), da cui proviene il richiedente, pur non essendo stabile tuttavia non è tale da configurare i presupposti per il riconoscimento di tale forma di protezione;

d) d’altra parte, la dichiarata omosessualità si inserisce in un complessivo racconto nel quale i fatti narrati sono talmente contraddittori da risultare non credibili e del tutto indimostrati;

e) peraltro, come risulta anche dalle linee guida dell’UNHCR, l’istruttoria delle domande basate sull’orientamento sessuale postula che l’interessato appena giunto nel Paese di approdo manifesti la questione all’intervistatore, anche implicitamente, mentre nella specie ciò non è accaduto e il richiedente non ha fornito spiegazioni in merito alle lacune e alle contraddizioni della propria narrazione;

f) deve pure essere considerato che il ricorrente ha anche inoltrato domanda di protezione sia in Norvegia (con esito negativo) sia presumibilmente in Grecia, mentre in Italia ha presentato l’attuale richiesta con molto ritardo rispetto al suo arrivo avvenuto nel 2014;

g) neppure può essere concessa la protezione umanitaria perchè la situazione del Paese di provenienza esclude la sussistenza di una condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, mentre le condizioni individuali di vulnerabilità rappresentate dal ricorrente, anche se credibili e giustificate, non consentono da sole il rilascio del permesso per motivi umanitari e neppure a ciò può pervenirsi sulla base della mera promessa di un impiego allegata dall’interessato;

3. il ricorso di A.S. domanda la cassazione del suddetto decreto per due motivi; il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso è articolato in due motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 5, 7,8 e 11 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 11 sostenendosi che il Tribunale, sulla base del materiale probatorio fornito dall’interessato, avrebbe dovuto esercitare i poteri istruttori d’ufficio sia per acquisire ulteriori elementi volti a sostenere la domanda di protezione sussidiaria sia per verificare la ricorrenza della persecuzione per motivi legati all’orientamento sessuale;

1.2. con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e mancata applicazione di plurime disposizioni normative; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per omessa motivazione in ordine alle ragioni di rigetto delle domande di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria;

2. l’esame dei motivi di censura porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;

3. il primo motivo va dichiarato inammissibile perchè per consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona e qualora le dichiarazioni dell’interessato siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, evenienza che qui non viene in considerazione (vedi, per tutte: Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; Cass. 19 febbraio 2019, n. 4892);

3.1. d’altra parte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (tra le tante: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

3.2. nella specie, si contesta il mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, senza impugnare con le anzidette modalità la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente effettuata dal Tribunale, sicchè le censure proposte con il primo motivo finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente sulla base sia dei dati tratti da fonti accreditate;

4. alla medesima conclusione si perviene, per analoghe ragioni, con riferimento al secondo motivo in quanto – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nella prima parte dell’intestazione del motivo – nella sostanza le censure proposte si risolvono nella denuncia, di per sè inammissibile, di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti sulla cui base sono state respinte le domande di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria, denuncia che oltretutto viene formulata come omissione, insufficienza e contraddittorietà motivazionale mentre il vizio della motivazione così dedotto non costituisce più ragione cassatoria, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, di cui si è detto sopra;

5. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

6. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

7. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dell’art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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