Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11048 del 27/05/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 11048 Anno 2016
Presidente: MATERA LINA
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 27682 — 2011 R.G. proposto da:
MARINUCCI ETTORE — c.f. MRNTTR47P09E4720 – rappresentato e difeso in virtù di
procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Mario Prisco ed elettivamente
domiciliato in Roma, alla via Lione, n. 8, presso lo studio dell’avvocato Virgilio Maria Fabbi.
RICORRENTE
contro
D’ASCANIO LUIGI — c.f. DSCLGU61P27H444N — SACCHETTI MARIA PIA — c.f.
SCCMRP66D48G698Y – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del
controricorso dall’avvocato Luca Amedeo Melegari ed elettivamente domiciliati in Roma, alla
piazza di Villa Carpegna, n. 42, presso lo studio dell’avvocato Enrico Petrucci.
CONTRORICORRENTI
Avverso la sentenza n. 4347 dei 20.9/26.10.2010 della corte d’appello di Roma,

6?(f‘.

Data pubblicazione: 27/05/2016

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica dell’8 marzo 2016 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Mario Prisco per il ricorrente,
L

,41,

A.

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Udito l’avvocato Francesca Petrucci, per delega dell’avvocato EfifiGG Petpmei, per i
controricorrenti,

Patrone, che ha concluso per il rigetto del ricorso,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al tribunale di Latina Luigi D’Ascanio e Maria Pia Sacchetti chiedevano
ingiungersi ad Ettore Marinucci il pagamento della somma di lire 78.480.000 oltre interessi e
rivalutazione monetaria.
I ricorrenti esponevano di esser creditori del suindicato importo in virtù di scrittura privata
siglata con il Marinucci in data 1.8.1992.
Con decreto n. 163/2001 il tribunale di Latina pronunciava l’ingiunzione così come
richiesta.
Con atto di citazione del 4.5.2001 Ettore Marinucci proponeva opposizione.
Deduceva, tra l’altro, “che il documento prodotto in sede monitoria è costituito da una
informale copia fotostatica, di cui se ne disconosce il contenuto” (così ricorso, pag. 2); che la
“scrittura privata non è stata sottoscritta né è mai esistita nei termini indicati dai ricorrenti”
(così ricorso, pag. 2); che invero egli opponente ed il D’Ascanio avevano stipulato un
accordo giusta il quale quest’ultimo gli aveva ceduto le attrezzature e gli arredi esistenti
all’interno dello studio ubicato in Latina, alla via Montesanto, n. 28, a fronte del corrispettivo
di lire 18.200.000, oltre i.v.a., da versarsi mediante quattordici rate mensili da lire 1.300.000
ciascuna, rate al cui pagamento aveva puntualmente provveduto; che in ogni caso Maria Pia
Sacchetti non era “mai stata creditrice di alcuna somma” (così ricorso, pag. 2).
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Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Ignazio

Costituitisi, i ricorrenti invocavano il rigetto dell’opposizione.
Con sentenza n. 981/2004 il tribunale adito accoglieva l’opposizione e revocava il decreto
ingiuntivo.
Interponevano appello Luigi D’Ascanio e Maria Pia Sacchetti.
Resisteva Ettore Marinucci.

gravame ed, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettava l’opposizione esperita
dall’appellato in prime cure e confermava l’ingiunzione di pagamento; condannava
l’appellato a rimborsare agli appellanti le spese del doppio grado.
Esplicitava la corte che le dichiarazioni di cui all’atto di citazione in opposizione non
erano dirette “a contestare la conformità della copia al suo originale, bensì la sottoscrizione o
il contenuto del contratto, sebbene con espressioni generiche e inidonee” (così sentenza
d’appello, pag. 4); che, “dunque, detto disconoscimento era inidoneo a privare la copia del
documento della sua efficacia probatoria” (così sentenza d’appello, pag. 4).
Esplicitava ulteriormente che, “in presenza di un disconoscimento serio e circostanziato
(…) il giudice avrebbe dovuto comunque ritenere provata la conformità della copia
all’originale mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni” (così sentenza d’appello,
pag. 5); che, conseguentemente, la testimonianza resa dall’avvocato Di Micco, concernente
non già “il contenuto del documento ma solo la conformità della copia al suo originale (…),
era certamente idonea, ai fini dell’art. 2719 cod. civ. a conservare il valore probatorio della
copia nell’ambito del giudizio” (così sentenza d’appello, pag. 5).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Ettore Marinucci; ne ha chiesto sulla scorta di
quattro motivi la cassazione con ogni susseguente pronuncia in ordine alle spese di lite.
Luigi D’Ascanio e Maria Pia Sacchetti hanno depositato controricorso; hanno chiesto
dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.
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Con sentenza n. 4347 dei 20.9/26.10.2010 la corte d’appello di Roma accoglieva il

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione delle nonne di
cui agli artt. 214 — 215 1° comma n. 2) c.p.c. — 2719 c.c. e dei principi in tema di
disconoscimento di scrittura privata” (così ricorso, pag. 7).
Adduce che, contrariamente all’assunto della corte di merito, che ha negato che egli

suo credito, “il disconoscimento della scrittura privata non richiede formule sacramentali o
speciali” (così ricorso, pag. 8); che in ogni caso le enunciazioni di cui all’atto di citazione in
opposizione non lasciano “dubbi sulla loro idoneità ad integrare sia il disconoscimento del
contenuto della scrittura privata (falsità materiale del documento) (…), sia il disconoscimento
di conformità della fotocopia all’originale ex art. 2719 c.c.” (così ricorso, pag. 9); che d’altra
parte gli opposti si erano “limitati a richiedere in via istruttoria una perizia calligrafica sulla
firma del Marinucci riportata in fotocopia (…), non (…) idonea, tale mera richiesta (…), a
sostanziare l’istanza di verifica di cui all’art. 216 c.p.c.” (così ricorso, pag. 9); che al
contempo, avendo “disconosciuto non solo la conformità della fotocopia all’originale (…), ma
anche e principalmente il contenuto dello stesso documento prodotto, l’utilizzo di esso nel
processo, in mancanza della procedura di verificazione, doveva ritenersi assolutamente
precluso” (così ricorso, pag. 10).
Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione della norma
di cui all’art. 2724 c.c. in tema di ammissibilità ed utilizzabilità della prova testimoniale”
(così ricorso, pag. 10).
Adduce che a mente dell’art. 2724 c.c. “la prova testimoniale, sulla quale la sentenza di
appello fonda il proprio disposto, non poteva essere valutata e, in effetti, neppure ammessa”
(così ricorso, pag. 10); che difatti il principio di prova per iscritto postulato dal n. 1) dell’art.
2724 c.c. “non sussiste in quanto l’unico documento (…) è stato disconosciuto nella sua

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ricorrente avesse formalmente disconosciuto la scrittura cui controparte ha correlato il preteso

intrinseca sostanza (…) e, non essendone stata effettuata la verificazione, non può ritenersi
utilizzabile nel processo” (così ricorso, pag. 10); che inoltre neppure ricorrono nella
fattispecie le astratte previsioni dei nn. 2) e 3) dell’art. 2724 c.c..
Con il terzo motivo il ricorrente deduce “contraddittorietà ed incongruità della
motivazione circa un punto decisivo della controversia” (così ricorso, pag. 11).

fotocopia all’originale del documento (…), per affermare che una fotocopia è conforme
all’originale del documento riprodotto é necessario conoscere, o ricordare, di quest’ultimo
l’intrinseco contenuto, quanto meno per quanto concerne gli elementi precipui e
caratterizzanti” (così ricorso, pagg. 11 – 12); che pecca “di illogicità e contraddittorietà la
motivazione della sentenza d’appello quanto ritiene che il teste possa certificare la conformità
della copia all’originale pur non conoscendone o ricordandone, per sua stessa affermazione, il
contenuto e, specificamente, in relazione alla pretesa clausola che avrebbe pattuito
sull’avviamento, punto fondante della controversia” (così ricorso, pagg. 12 – 13).
Con il quarto motivo il ricorrente deduce “omessa pronunzia circa un punto decisivo
della controversia, relativo alla posizione dell’appellante Sacchetti Maria Pia” (così ricorso,
pag. 13).

Adduce che la sentenza d’appello non ha tenuto conto della contestazione sollevata
nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo alla cui stregua Maria Pia Sacchetti non ha mai
vantato alcun credito nei suoi confronti ed alla cui stregua giammai gli è stata notificata o
comunicata la cessione del credito da parte del D’Ascanio alla medesima Sacchetti.

Si giustifica la disamina simultanea dei primi tre motivi di ricorso.
I motivi anzidetti invero sono strettamente connessi.

Tutti in ogni caso sono destituiti di fondamento.

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Adduce che, “quando anche volesse ritenersi effettuato (…) il solo disconoscimento della

E’ ben evidente, alla luce dei passaggi motivazionali in precedenza pedissequamente
riferiti, che il dictum di seconde cure, in relazione ai profili specificamente investiti dalle
censure in disamina, è ancorato ad una duplice ratio decidendi.
Segnatamente, in ordine alla prima ratio (“detto disconoscimento era inidoneo a privare
la copia del documento della sua efficacia probatoria (…)”), nel solco dell’insegnamento di

scrittura privata, pur non richiedendo I ‘uso di formule sacramentali, postula che la parte
contro la quale la scrittura è prodotta in giudizio impugni chiaramente l’autenticità della
stessa, nella sua interezza o limitatamente alla sottoscrizione, contestando formalmente tale
autenticità, ove egli sia l’autore apparente del documento prodotto, ovvero, nel caso di erede
o avente causa dall’apparente sottoscrittore, dichiarando di non riconoscere la scrittura o la
sottoscrizione di quest ‘ultimo; e secondo cui l’idoneità delle espressioni utilizzate dalla parte
a configurare un valido disconoscimento costituisce giudizio di fatto incensurabile in sede di
legittimità se congruamente motivato: cfr. Cass. 1.7.2002, n. 9543) espresso in relazione al
disconoscimento ex art. 214 c.p.c., ma appieno reiterabile pur in relazione al disconoscimento
ex art. 2719 c.c., devesi reputar ineccepibile il giudizio di fatto alla cui stregua la corte
distrettuale ha opinato per la inidoneità del disconoscimento.
Tanto, propriamente, alla luce del testuale tenore dell’iniziale atto di opposizione che il
ricorrente ha riprodotto — per la parte che all’uopo rileva – nel corpo del ricorso (cfr. ricorso,
pagg. 8 — 9).
Segnatamente, in ordine alla seconda ratio (“in presenza di un disconoscimento serio e
circostanziato (…) il giudice avrebbe dovuto comunque ritenere provata (…)”), nel solco
dell’insegnamento di questa Corte di legittimità (secondo cui il disconoscimento della
conformità di una copia fotografica o fotostatica all’originale di una scrittura, di cui all’art.
2719 c. c., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art.

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questa Corte di legittimità (secondo cui, ai sensi dell’art. 214 c.p.c. il disconoscimento di

215, 1° co., n. 2), c.p.c., giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di
verificazione, preclude l’utilizzazione della scrittura, la contestazione ai sensi dell ‘art. 2719
c. c. non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche mediante altri
mezzi di prova, comprese le presunzioni: cfr. Cass. 15.6.2004, n. 11269; Cass. 15.5.1987, n.
4479) devesi, con precipuo riferimento al secondo motivo di ricorso, parimenti reputar

argomento per concludere nel senso della conformità della copia all’originale dalle
dichiarazioni rese dall’avvocato Di Micco escusso in qualità di testimone in prime cure.
In pari tempo, esattamente in ordine al terzo motivo di ricorso, si rappresenta quanto
segue.
Per un verso, che, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per
cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366, l° co., n. 6), c.p.c., ben avrebbe dovuto il
ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro dei propri assunti, riprodurre
più o meno testualmente nel corpo del ricorso l’intero complesso delle dichiarazioni rese dal
teste Di Micco e non già limitarsi a trascriverne singoli stralci (cfr. Cass. sez. lav. 27.2.2009,
n. 4849, secondo cui, qualora, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità o
illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di
risultanze processuali è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo
della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente
precisi – mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli
asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale
specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli
atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa)
Per altro verso, che col terzo mezzo di impugnazione Ettore Marinucci sostanzialmente
prospetta una pretesa migliore e più appagante valutazione delle dichiarazioni rese dal teste Di

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inappuntabile il dictum di seconde cure nella parte in cui la corte territoriale ha tratto

Micco. Il motivo, quindi, involge gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di
valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto
convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360, I ° co., n. 5), c.p.c.. E, perciò, si risolve in una
inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito,

ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav.
7.6.2005, n. 11789).
Si rappresenta infine, in ordine all’assunto del ricorrente (di cui al primo motivo) in virtù
del quale il disconoscimento da lui operato “non verteva sull’autenticità della firma riportata
in fotocopia, ma sul contenuto del documento” (così ricorso, pag. 9), che, una volta acclarata
la conformità della copia all’originale, non poteva e non può che esplicar valenza
l’insegnamento di questo Giudice del diritto a tenor del quale la scrittura privata fa piena
prova, fino a querela di falso, della provenienza della dichiarazione da chi l’ha sottoscritta, se
colui contro la quale è prodotta ne riconosce la sottoscrizione ovvero se questa è legalmente
considerata come riconosciuta (cfr. Cass. 29.4.1991, n. 4749).

Non merita seguito il quarto motivo di ricorso.
Si rappresenta che Ettore Marinucci, totalmente vittorioso in primo grado, senz’altro
avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., riproporre in modo chiaro e preciso le questioni,
le eccezioni ovvero le prospettazioni difensive risultate superate od assorbite alla luce della
statuizione di primo grado, in modo da manifestare in forma non equivoca la volontà di
chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un
comportamento omissivo (cfr. Cass. 11.6.2010, n. 14086).

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in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura

In questi termini si rappresenta che del pari in dipendenza del principio di cosiddetta
“autosufficienza” del ricorso per cassazione, ben avrebbe dovuto il ricorrente

(cfr. Cass.

30.4.2010, n. 10605) riprodurre testualmente nel corpo del ricorso le espressioni con cui
aveva in seconda istanza riproposto, in ossequio al disposto dell’art. 346 c.p.c., la quaestio
concernente la qualità di creditrice di Maria Pia Sacchetti, quaestio che non era “stata oggetto

titolo sul quale si basava la pretesa creditizia” (così ricorso, pag. 15) (cfr. Cass. 20.9.2006, n.
20405, secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito,
riconosciuto al giudice di legittimità qualora sia denunciato un error in procedendo — è il
caso del rilievo de quo agitur – presuppone comunque l ‘ammissibilità del motivo di censura,
onde il ricorrente non è dispensato dagli oneri correlati alla regola dell’ “autosufficienza”).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, Ettore Marinucci, a rimborsare ai
controricorrenti, Luigi D’Ascanio e Maria Pia Sacchetti, le spese del presente giudizio di
legittimità che si liquidano nel complesso in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

(…) di trattazione nella sentenza di primo grado (…), avendo dichiarato l’insussistenza del

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