Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11048 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 27/04/2021), n.11048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12593/2014 R.G. proposto da:

S.R., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Lombardi e

dall’avv. Fabrizio Imbardelli, elettivamente domiciliata presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, via Porta Pinciana, n. 4.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione n. 63, n. 250/63/13,

pronunciata il 02/07/2013, depositata il 12/11/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 gennaio

2021 dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.R. ricorre, con un unico motivo, illustrato con una memoria, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con atto ex art. 370 c.p.c., comma 1, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (sezione di Brescia), menzionata in epigrafe, che, nella controversia concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento IRPEF, per il 2004, ha confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia (n. 52/16/11), che aveva rigettato il ricorso della contribuente;

2. la CTR premette che, nell’atto di appello, era fatta valere una circostanza successiva all’instaurazione del giudizio, e cioè che un altro atto impositivo, riguardante il 2005, notificato alla contribuente in data 29/10/2010, fondato sugli stessi motivi posti a base della rettifica del reddito del 2004 (oggetto di questo giudizio), era stato definito con la procedura di accertamento con adesione, al termine della quale il Fisco aveva ridotto la propria pretesa, previo accoglimento delle stesse eccezioni sollevate dalla contribuente rispetto all’avviso per il 2004; soggiunge che, come motivo d’appello, era dedotta la violazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, degli obblighi di collaborazione e buona fede, sanciti dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, in quanto, in presenza di identici presupposti fattuali, le somme richieste per due annualità consecutive (il 2004 e il 2005) erano del tutto diverse; infine, disattende la censura della contribuente sul rilievo che: da un lato, l’avviso di accertamento, per il 2004, era divenuto definitivo nel febbraio 2010, e da allora l’A.F. non poteva più esercitare i propri poteri di annullamento e/o revoca, che non costituiscono un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali non esperiti, anche perchè, diversamente opinando, si darebbe ingresso all’impugnazione di un atto impositivo divenuto definitivo; dall’altro, a cartella di pagamento (notificata il 03/08/2010) era da confermare, “nella sua interezza e totalità” (pag. 3 della sentenza), non essendo state sollevate contro di essa eccezioni per “vizi propri” (ibidem).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di ricorso (“Art. 360, n. 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 10”), la contribuente assume che l’avviso di accertamento, propedeutico alla cartella impugnata, aveva rideterminato il suo reddito, per il 2004, a causa dell’acquisto di un immobile, nel 2007, al prezzo di Euro 770.000,00, a fronte del mutuo di Euro 500.000,00 acceso dall’acquirente, sicchè la rettifica complessiva del reddito, con metodo sintetico, nella misura di Euro 270.000,00, era stata ripartita nel quinquennio 2003-2007; aggiunge che (come dianzi accennato) l’accertamento per il 2005 si era concluso con un atto di adesione, con il quale l’A.F. aveva ridotto la propria pretesa, avendo riconosciuto che parte della provvista utilizzata per l’acquisto dell’immobile (Euro 200.000,00) traeva giustificazione da un bonifico dei genitori del compagno dell’opponente; indi, addebita alla CTR di non avere considerato che, nella specie, non si richiedeva all’Amministrazione di provvedere, in autotutela, alla rimozione o alla correzione di un atto impositivo definitivo, visto che l’Agenzia aveva precedentemente riconosciuto (per altra annualità) la fondatezza delle ragioni della contribuente; da ultimo, ascrive alla Commissione regionale di non avere affermato che era illegittimo, per violazione dei canoni di collaborazione, buona fede e affidamento, sanciti dall’art. 10, cit., che il Fisco perseverasse in una pretesa che aveva già (pag. 14 del ricorso per cassazione) “giudicato illegittima e ciò per il semplice fatto che l’accertamento che ne costitui(va) il presupposto non (era) stato tempestivamente impugnato”;

1.1. il motivo non è fondato;

è ius receptum, cui va data continuità, in assenza di ragioni ostativi, che “In tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perchè, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo.” (Cass., Sez. U., 16/02/2009, n. 3698; conf.: Cass. 12/05/2010, n. 11457; 12/09/2012, n. 15220);

questa Sezione tributaria (Cass. 28/02/2018, n. 4614) ha anche avuto modo di chiarire che “La tutela del legittimo affidamento, sancita in materia tributaria dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, ed espressione dei principi di cui agli artt. 3,23,53 e 97 Cost., resta peraltro assoggettata al rispetto delle regole generali del processo, sicchè il contribuente che intende contestare una pretesa ritenuta illegittima, anche per violazione dello stesso, ha l’onere di proporre tempestivamente ricorso avverso il relativo atto impositivo. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha ritenuto inammissibile il ricorso originario proposto soltanto contro la cartella di pagamento e non nei confronti dell’avviso di accertamento, pur ritualmente notificato, emesso dall’Amministrazione dopo l’annullamento in via di autotutela di un primo atto impositivo concernente il medesimo tributo).”;

del resto, la Corte, attraverso il progressivo affinamento dell’esegesi del dato normativo, ha definito, compiutamente, il significato del principio del legittimo affidamento e ha precisato che “Il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, commi 1 e 2, l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi.” (Cass. 25/03/2015, n. 5934; conf., in tema di tributi armonizzati: Cass. 9/01/2019, n. 370);

va dato conto, infine, del sicuro orientamento di legittimità (ex multis: Cass. 31/10/2017, n. 25995) secondo cui “La cartella esattoriale recante intimazione di pagamento di credito tributario, avente titolo in un precedente avviso di accertamento notificato a suo tempo non impugnato, può essere contestata innanzi agli organi del contenzioso tributario ed essere da essi invalidata solo per vizi propri, non già per vizi suscettibili di rendere nullo o annullabile l’avviso di accertamento presupposto.”;

nella specie, la CTR si è uniformata ai superiori principi di diritto, là dove ha negato alla contribuente la possibilità di mettere in discussione l’intimazione di pagamento del debito fiscale contenuta nella cartella, conseguente a un avviso ormai definitivo;

2. ne consegue il rigetto del ricorso;

3. nulla si dispone sulle spese del giudizio di cassazione, nel quale l’Agenzia non s’è difesa.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

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