Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11047 del 27/05/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 11047 Anno 2016
Presidente: MATERA LINA
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 23630 — 2011 R.G. proposto da:
MELLO SARTOR RICCARDO — c.f. MLLRCR67A18A326.1 — elettivamente domiciliato in
Roma, alla via Germanico, n. 211, presso lo studio dell’avvocato Riccardo Andriani che
congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Maurizio Longo lo rappresenta e difende in
virtù di procura speciale a margine del ricorso.
RICORRENTE
contro
CRETIER LORENZO — c.f. CRTLNZ46C20F367U — CRETIER 1SIDA — c.f.
CRTSD144D67F367R CRET1ER IRMA — c.f. CRTRMI48R71F367Q — CRETIER INES —
c.f. CRTNSI51D56F367P — elettivamente domiciliati in Roma, alla via Cosseria, n. 5, presso
Io studio dell’avvocato Guido Francesco Romanelli che congiuntamente e disgiuntamente
all’avvocato Maria Grazia Dal Toè li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in
calce al controricorso.

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Data pubblicazione: 27/05/2016

CONTRORICORRENTI — RICORRENTI INCIDENTALI
Avverso la sentenza n. 1308 dei 25.6/24.8.2010 della corte d’appello di Torino,
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica dell’8 marzo 2016 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Maurizio Longo per il ricorrente,

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Ignazio
Patrone, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento del ricorso
incidentale,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 3/22/23.2.2006 il geometra Riccardo Mello Sartor citava a comparire
innanzi al tribunale di Aosta Lorenzo Cretier, Isida Cretier, Irma Cretier e Ines Cretier, quali
eredi di Rita Cretier, deceduta in data 26.9.2004.
Esponeva che con preliminare siglato il 7.5.2004 aveva promesso di acquistare e Rita
Cretier aveva promesso di vendergli un fabbricato in Champorcher già destinato ad albergo e
da trasformare in edificio residenziale; che contestualmente alla stipula del preliminare la
promittente venditrice lo aveva immesso, consegnandogli le chiavi, nel possesso di due vani
al piano terra dell’edificio, affinché fossero adibiti ad ufficio — vendite; che in data 5.12.2005,
benché non fosse stata ancora accordata la concessione edilizia necessaria ai fini della
trasformazione dell’edificio, gli eredi Cretier gli avevano inoltrato una diffida con la quale gli
avevano indicato il termine del 20.12.2005, da un lato, ai fini della corresponsione del 50%
del corrispettivo pattuito, dall’altro, ai fini della sottoscrizione di clausole prefiguranti
pattuizioni contrattuali del tutto nuove; che, palesata ai convenuti l’inaccettabilità delle
innovative condizioni economiche, costoro nondimeno, nel febbraio del 2006,

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Udito l’avvocato Guido Francesco Romanelli per i controricorrenti,

illegittimamente lo avevano privato della disponibilità dei locali a pian terreno ed
illegittimamente si erano sciolti dal vincolo contrattuale.
Chiedeva che le controparti fossero condannate a risarcirgli il danno sofferto, computato
nella complessiva somma di euro 737.800,00 con interessi e spese.
Costituitisi, i convenuti instavano per il rigetto dell’avversa domanda; in via

contratto stante il grave inadempimento dell’attore” (così sentenza d’appello, pag. 5).
Con sentenza n. 218/2009 il tribunale adito “dichiarava risolto per fatto e colpa dell’attore
il contratto preliminare oggetto del giudizio e condannava il Mello Sartor all’immediata
restituzione delle chiavi dei locali in suo possesso ed alla rifusione delle spese di lite” (così
sentenza d’appello, pag. 5).
Interponeva appello Riccardo Sartor Mello.
Resistevano Lorenzo, Isida, Irma e Ines Cretier.
Con sentenza n. 1308 dei 25.6/24.8.2010 la corte d’appello di Torino accoglieva il
gravame ed in totale riforma dell’impugnata sentenza dichiarava risolto il preliminare in data
7.5.2004 per fatto e colpa degli appellati e condannava i medesimi Cretier a risarcire il danno
cagionato all’appellante, liquidato equitativamente in euro 50.000,00, oltre interessi, nonché a
rimborsargli le spese del doppio grado.
Esplicitava la corte di merito che, contrariamente a quanto opinato dal primo giudice, dal
documento contrattuale “emerge inequivocamente, attese le espressioni letterali usate (…),
che la volontà delle parti era nel senso che la verificazione del fatto condizionante l’efficacia
del contratto era rappresentata dalla concessione della licenza edilizia per la trasformazione
d’uso e cioè ad un evento futuro ed incerto, al cui mancato accadimento era connessa la
caducazione degli effetti del negozio” (così sentenza d’appello, pag. 11); che “il preliminare
era quindi sottoposto ad una condizione sospensiva negativa (e non ad un termine),
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riconvenzionale chiedevano, tra l’altro, “la declaratoria (…) di intervenuta risoluzione del

consistente nell’emanazione di un provvedimento essenzialmente rimesso all’esercizio di una
facoltà discrezionale della PA.” (così sentenza d’appello, pag. 11).
Esplicitava, altresì, per un verso, che non poteva “essere addebitata al Mello Sartor alcuna
condotta improntata ad apprezzabile negligenza” (così sentenza d’appello, pag. 15), per altro
verso, che fosse “il mancato rilascio della concessione o, meglio, il sostanziale abbandono

Esplicitava, segnatamente, alla stregua del rilievo per cui doveva “ritenersi assodato,
proprio a tenore del complesso delle pattuizioni, che entrambe le parti contraenti avessero un
interesse all’avveramento della condizione” (così sentenza d’appello, pag. 17) e del rilievo
ulteriore per cui non era possibile “formulare alcuna ipotesi su quella che sarebbe stata la
determinazione della P.A.” (così sentenza d’appello, pag. 17), che doveva reputarsi che il
contratto si fosse “risolto per colpa dei Cretier che con il loro comportamento nel corso della
pendenza della condizione hanno, in violazione del principio della buona fede e correttezza
(…), contribuito a modificare l’iter attuativo del contratto” (così sentenza d’appello, pag. 17),
sicché ne doveva scaturire la condanna al risarcimento dei danni in favore dell’appellante.
Esplicitava, dunque, in ordine al quantum del danno, invocato sub specie di lucro
cessante ed “identificato nella mancata percezione dell’utile dell’operazione, quantificato
nella somma di £ 647.800,00, risultante dal predisposto e prodotto cronoprogramma, cui
doveva aggiungersi la somma di C 90.000,00 per progettazione e direzione lavori” (così
sentenza d’appello, pag. 18), che “il cosiddetto cronoprogramma non reca alcuna data né
sottoscrizione né attestazione di presentazione all’istituto bancario e tanto meno una
dichiarazione di congruità da parte dello stesso, che non risulta neppure la metratura/cubatura
complessiva ricavabile” (così sentenza d’appello, pag. 19); che “la progettazione e soprattutto
la direzione dei lavori (…) non erano computati nel preliminare e non potevano quindi che far
carico allo stesso Mello Sartor” (così sentenza d’appello, pag. 19).
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della pratica (…) da ascrivere agli eredi Cretier” (così sentenza d’appello, pag. 15).

Esplicitava, inoltre, che il contratto era subordinato al rilascio di concessione
amministrativa, sicché il promissario acquirente “avrebbe dovuto limitarsi a contatti da
perfezionare e non addivenire ad effettive promesse di vendita” (così sentenza d’appello, pag.
19); che in sostanza, in dipendenza della presenza della condizione sospensiva negativa,
l’obbligo risarcitorio degli appellati aveva un contenuto simile a quello destinato a

lucro cessante, che presuppone un contratto venuto in essere, ma (…) solo le spese vive e
l’attività svolta in funzione della realizzazione della condizione” (così sentenza d’appello,
pag. 19); che, propriamente, era da risarcire l’attività consistita “nella predisposizione dei due
progetti (…) e nelle relative e ben ipotizzabili spese, tra cui quelle (…) dei cartelli pubblicitari
(…)” (così sentenza d’appello, pag. 19).
Esplicitava, pertanto, che “in assenza di oggettivi elementi la liquidazione deve essere
effettuata equitativamente” (così sentenza d’appello, pag. 20); che, più esattamente, era da
reputare congruo l’importo di euro 50.000,00, risultante dalla somma delle spese vive e
dell’onorario dovuto per la progettazione di un’opera di valore pressoché corrispondente ad
euro 1.500.000,00 ed indicativamente pari, giusta tariffa professionale, ad euro 30.000,00.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Riccardo Mello Sartor; ne ha chiesto sulla
scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di
lite.
Lorenzo, Isida, Irma e Ines Cretier hanno depositato controricorso contenente ricorso
incidentale articolato in un unico motivo; hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso ed, in
accoglimento della spiegato ricorso incidentale, cassarsi la sentenza della corte d’appello di
Torino; con il favore delle spese di lite.
Il ricorrente ha depositato controricorso onde resistere all’avverso ricorso incidentale.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
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configurarsi in ipotesi di responsabilità precontrattuale, sicché non poteva “essere risarcito il

I controricorrenti parimenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente principale deduce “violazione o falsa applicazione
degli artt. 1362 e ss. c.c.. Insufficiente e/o contraddittoria motivazione”

(così ricorso

principale, pag. 10).

siglare con Rita Cretier; che il contratto “non era un mero preliminare, bensì presentava dei
contenuti di immediata efficacia” (così ricorso principale, pag. 11); che invero, da un lato, era
destinato a produrre effetti in via anticipata, quali l’immissione in possesso, dall’altro, gli
attribuiva, “nel comune interesse delle parti, un mandato d’opera professionale d’immediata
efficacia, nonché il diritto di rivendere, tanto per Io stato di fatto dell’immobile quanto,
condizionatamente, per la sua configurazione futura” (così ricorso principale, pag. 11); che,
in particolare, la previsione della facoltà di rivendere ovvero di ripromettere in vendita
l’immobile “ in essere” (così ricorso principale, pag. 12) rivestiva
“valenza elisiva dell’ulteriore clausola disciplinante la sopravvenuta inefficacia del rapporto
in caso di decorso dei termini previsti in assenza del rilascio della concessione per la
trasformazione della destinazione” (così ricorso principale, pag. 12); che, difatti, nei termini
previsti ben avrebbe potuto concludere promessa di rivendita dell’immobile nello stato di
fatto in cui si trovava, sicché “la clausola di inefficacia era destinata ad operare per il solo
caso di mancata rivendita per lo stato di fatto in essere dell’immobile” (così ricorso
principale, pag. 12).
Adduce, pertanto, che, se è vero che “il termine utile era ancora in essere allorché
illegittimamente i Cretier hanno ritenuto di sciogliersi dal vincolo del preliminare (…) e se è
vero (…) che nel predetto termine (…) poteva liberamente vendere tanto per lo stato di fatto

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Adduce che la corte di merito non ha interpretato correttamente il preliminare che ebbe a

dell’immobile quanto per la configurazione futura, (…) detta illegittima condotta ha
provocato danni (…), in concreto e potenziali” (così ricorso principale, pag. 13).
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce “violazione o falsa applicazione
dell’art. 1353 c.c. e contraddittorietà della motivazione” (così ricorso principale, pag. 13).
Adduce che la corte di merito ha erroneamente qualificato come sottoposto a condizione

principale, pag. 14); che, infatti, il preliminare di compravendita era sottoposto a “condizione
risolutiva negativa”.
Adduce, propriamente, che “la sussistenza di una condizione sospensiva poteva affermarsi
(…) solo in relazione all’effetto traslativo connaturato alla compravendita definitiva (peraltro
per la sola ipotesi in cui (…) avesse rinunciato all'(…) alternativa della rivendita
dell’immobile nello stato in essere), mentre (…) gli ulteriori effetti discendenti dal negozio
stipulato erano (…) sottoposti a condizione risolutiva” (così ricorso principale, pag. 17); che
“dunque si verteva in un negozio immediatamente efficace, suscettibile di risolversi
divenendo inefficace nel caso di mancato conseguimento, nei termini previsti, del
provvedimento concessorio” (così ricorso principale, pag. 17).
Con il terzo motivo il ricorrente principale deduce “violazione o falsa applicazione
dell’art. 1359 c.c.. Contraddittorietà della motivazione” (così ricorso principale, pag. 18).
Adduce che, diversamente da quanto affermato dalla corte distrettuale, gli eredi Cretier
avevano un interesse contrario all’avveramento della condizione, se è vero che si sono
“pretestuosamente attivati per cercare di modificare il contenuto del negozio stipulato dalla
loro dante causa” (così ricorso principale, pag. 18); che, perciò, devesi ritenere che “nella
fattispecie la condizione, qualunque natura giuridica avesse, fosse da considerarsi, per fictio
iuris, avverata, trovando quindi pieno titolo il diritto (…) di conseguire in via risarcitoria

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sospensiva negativa, “anziché risolutiva, il preliminare di cui è causa” (così ricorso

l’utile che sarebbe disceso dalla regolare attuazione dell’operazione” (così ricorso principale,
pag. 19).
Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce “violazione o falsa applicazione
degli aitt. 1223 e 1337 c.c., 115 e 116 c.p.c.. Contraddittorietà della motivazione” (così
ricorso principale, pag. 19).

era un contratto d’immediata efficacia fra le parti” (così ricorso principale, pag. 20), sicché
“ne deriva la risarcibilità ex art. 1223 c.c. del lucro cessante per la risoluzione del contratto a
causa dell’illegittima condotta dei Cretier” (così ricorso principale, pag. 21).
Adduce, con riferimento all’ammontare del risarcimento del danno, che la corte torinese
erroneamente ha reputato non “provato l’utile di C 737.800 dell’operazione immobiliare
complessiva (…) ovvero C 647.800 per le vendite degli alloggi ed E 90.000 per la
progettazione e direzione dei lavori” (così ricorso principale, pag. 23); che, invero, fuor di
discussione che “avesse effettivamente sottoscritto dei preliminari di vendita di cose future”
(così ricorso principale, pag. 22), il corrispettivo della vendita delle unità realizzande, quale
risultante dal “cosiddetto cronoprogramma dei lavori e relativo impegno economico alle voci
ed ” (così ricorso principale, pag. 22),
cronoprogramma per nulla contestato dalla controparte, “era stato computato in misura
perfettamente aderente ai valori di mercato risultanti dall’Osservatorio immobiliare
dell’Agenzia delle entrate” (così ricorso principale, pag. 23).
Adduce, specificamente in relazione all’utile per la progettazione e direzione dei lavori,
che, “esposto fra le spese nel cronoprogramma, risultava assorbito, pro quota, nei prezzi delle
varie vendite delle unità immobiliari e come tale rientra certamente nel lucro cessante sofferto
(…) a causa del comportamento illegittimo degli eredi Cretier” (così ricorso principale, pag.
24); che, d’altra parte, la corte d’appello, ai fini della liquidazione equitativa del danno, aveva

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Adduce che, contrariamente a quanto opinato della corte territoriale, “il negozio de quo

contraddittoriamente assunto a parametro di riferimento anche la progettazione, progettazione
“che, se l’operazione prevista avesse avuto regolare corso (…), avrebbe costituito una
specifica voce di utile” (così ricorso principale, pag. 24).
Con il quinto motivo il ricorrente principale deduce “violazione o falsa applicazione
dell’art. 112 c.p.c. ed insufficienza e contraddittorietà della motivazione”

(cosi ricorso

Adduce che alla stregua degli esiti istruttori “risultava comprovato il possesso dei due
locali (…) dal 7.5.2004 (data del preliminare) al febbraio 2006, data in cui (…) ha subito lo
spoglio clandestino dei locali in questione”

(così ricorso principale, pag. 27); che

“ricorrevano quindi tutti i presupposti (…) per azionare la domanda risarcitoria connessa al
subito spoglio” (così ricorso principale, pag. 27).
Adduce, dunque, che il primo giudice “era tenuto in ogni caso a considerare
autonomamente l’assetto possessorio del caso di specie ed a valutare gli eventuali danni
conseguenti al comportamento dei convenuti” (così ricorso principale, pag. 28).
Adduce, ulteriormente, che la corte di merito, giacché ha ritenuto che il contratto si è
risolto per colpa degli eredi Cretier, avrebbe dovuto, piuttosto, accogliere la domanda relativa
al sofferto spoglio; che, del resto, la domanda concernente il sofferto spoglio era “stata
azionata in via concorrente ed autonoma onde conseguire non una reintegra possessoria, bensì
una declaratoria d’illegittimità dello spoglio subito ed il correlativo risarcimento dei danni”
(così ricorso principale, pag. 29).

Con l’unico motivo i ricorrenti incidentali deducono “violazione e/o falsa applicazione
di norme in relazione agli artt. 2697 — 1226 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.). Omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5
c.p.c.)” (così ricorso incidentale, pag. 20).
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principale, pag. 26).

Adducono che “per la determinazione del danno emergente la Corte territoriale ha fatto
ricorso, in assenza di prova del corrispettivo pattuito per l’attività di progettazione (…) alla
liquidazione in via equitativa” (così ricorso incidentale, pag. 20); che nondimeno può
precedersi alla liquidazione equitativa “solo a fronte della obbiettiva impossibilità o estrema
difficoltà della parte interessata a dar prova del danno nel suo preciso ammontare” (così

(…) le parti avevano concordato (ovvero in via subordinata il geom. Mello (…)) aveva
indicato in euro 25.000,00 (…) il valore e/o corrispettivo dell’attività di progettazione” (così
ricorso incidentale, pag. 22).

Si giustifica la disamina simultanea dei primi due motivi del ricorso principale.
I motivi anzidetti invero sono strettamente connessi.
Entrambi i motivi in ogni caso sono destituiti di fondamento.
Innegabilmente le censure che i motivi de quibus veicolano, si risolvono in una quaestio
ermeneutica.
Intese in tal guisa (in linea, d’altronde, con le prefigurazioni del ricorrente: “la Corte
territoriale non ha interpretato il contratto sulla base della comune intenzione dei contraenti
ed ha violato i criteri ermeneutici codicistici”: così ricorso principale, pag. 10; “si richiede
quindi che codesta Suprema Corte, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’Appello,
appuri che il negozio inter partes fosse, in relazione ad una serie di effetti (…),
risolutivamente e non sospensivamente condizionato (…)”: così ricorso principale, pagg. 17 18), non possono che esplicar valenza gli insegnamenti di questo Giudice del diritto.
Innanzitutto, l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto e degli atti di
autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede
di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per
lo

ricorso incidentale, pag. 21); che la corte d’appello “non ha tenuto in alcun conto (…) che

vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non
consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass.
22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).
Altresì, l’insegnamento secondo cui né la censura ex n. 3) né la censura ex n. 5) del I° co.
dell’art. 360 c.p.c. possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal

d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data
dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in
astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola
contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte
che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di
legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass.
2.5.2006, n. 10131).
Nel segno delle enunciate indicazioni nomofilattiche l’interpretazione patrocinata dalla
corte di merito è in toto inappuntabile, giacché, per un verso, non si prospetta in spregio ad
alcun criterio ermeneutico legale, giacché, per altro verso, risulta sorretta da motivazione
esaustiva, congrua e logica.
Si rappresenta in particolare che, in perfetta aderenza all’elaborazione giurisprudenziale di
questa Corte di legittimità (il canone ermeneutico previsto dall’art. 1362 c.c., nel sancire che
l’interprete, nell’individuare la comune intenzione delle parti, non deve limitarsi al senso
letterale delle parole, non svaluta affatto l’elemento letterale del contratto; intende piuttosto
ribadire, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni adoperate, riveli con
chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo
spirito della convenzione, che non è ammissibile una diversa interpretazione; ed infatti, solo
quando le espressioni letterali del contratto non sono chiare, precise ed univoche, è possibile

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giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione;

per il giudice ricorrere agli altri elementi interpretativi di cui all’art. 1362 ss. c. e., aventi
evidentemente carattere sussidiario: cfr. Cass. 16.2.2012, n. 2231; Cass. 3.7.1982, n. 3974),
la corte distrettuale ha ancorato l’operazione ermeneutica cui ha atteso, a ben precise
espressioni figuranti nel testo della scrittura in data 7.5.2004 (“tale operazione se risulta
possibile è subordinata al rilascio della concessione edilizia”; se il progetto di

autorità competenti il presente contratto sarà da intendersi inefficace”), il cui tenore letterale
e logico fornisce riscontro della correttezza dell’esito ermeneutico cui la stessa corte è
pervenuta.

Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale sono del pari significativamente
correlati.
Il che analogamente ne suggerisce l’esame simultaneo.
Ambedue i motivi comunque sono privi di fondamento.
Si rappresenta previamente, specificamente in ordine al quarto motivo del ricorso
principale, che, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per
cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366, 1° co., n. 6), c.p.c., ben avrebbe dovuto il
geometra Mello Sartor, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro, il compiuto
vaglio dei propri assunti, riprodurre più o meno testualmente nel corpo del ricorso i
documenti menzionati alle pagine 22 e 23 della propria impugnazione, segnatamente il tenore
del cosiddetto “cronoprogramma” (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980, secondo cui,
qualora, con il ricorso per cassazione, venga dedotto il vizio di motivazione della sentenza
impugnata per l’asserito omesso esame di un documento, è necessario, al fine di consentire al
giudice di legittimità il controllo della decisività del documento non valutato (o
insufficientemente valutato), che il ricorrente precisi – mediante integrale trascrizione del

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trasformazione del complesso alberghiero in edificio residenziale non fosse accettato dalle

contenuto dell’atto nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o
insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di
cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività
della risultanza stessa).
Si rappresenta in ogni caso che sia, da un canto, la deduzione secondo cui gli eredi Cretier

avrebbe dovuto considerarla avverata, sia, dall’altro, la deduzione secondo cui “è stata versata
in atti documentazione sufficiente a comprovare il quantum della domanda risareitoria” (così
ricorso principale, pagg. 24 — 25), si risolvono nella prospettazione di una migliore e più
appagante “lettura” delle risultanze istruttorie.
I motivi de quibus, dunque, involgono gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale
ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto
convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360, 10 co., n. 5), c.p.c..
I motivi pertanto si traducono in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e
dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una
nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr.
Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

Non merita seguito il quinto motivo del ricorso principale.

Si evidenzia innanzitutto che il controllo di legittimità da parte di questa Corte, eccettuata
l’ipotesi della cosiddetta revisio per saltum, ha per oggetto la sola decisione di appello e non
anche la decisione di primo grado e le considerazioni che la sorreggono (cfr. Cass. sez. lav.
18.7.1989, n. 3367; Cass. 6.2.1989, n. 722). Sono quindi da reputare in questa sede tamquam
non essent le censure e i rilievi che il ricorrente principale ha formulato con riferimento non
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avevano un interesse contrario all’avveramento della condizione, sicché la corte di Torino

già alla sentenza di seconde cure bensì a quella di prime cure (cfr. ricorso principale, pagg.
26 — 28).
Si evidenzia altresì che risultano in proposito appieno da condividere, sicché per nulla
sono censurabili, le puntualizzazioni della corte di merito.
Ovvero, da un canto, la puntualizzazione per cui del tutto infondato era il motivo di

pronuncia in ordine al sofferto spoglio dei locali al piano terra, giacché la reiezione — in prime
cure – della domanda al riguardo esperita dall’originario attore scaturiva naturaliter dalla
reiezione — in prime cure – della domanda principale.
Ovvero, dall’altro, la puntualiz7nzione per cui, a fini risarcitori, “non può assumere
rilievo la privazione dei locali concessi in possesso immediato all’atto del compromesso,
proprio perché una effettiva attività di vendita non poteva essere attuata sino al rilascio della
concessione” (così sentenza d’appello, pagg. 19 – 20).

Fondato e meritevole di accoglimento è il ricorso incidentale.
Si ribadisce, previamente, che la tariffa professionale è stata, propriamente, assunta dalla
corte d’appello a parametro di riferimento ai fini della determinazione del quantum del danno
emergente liquidato in via equitativa.
Rigorosamente in questi limiti possono perciò esplicar valenza, esattamente quali indici
della deficienza ed incongruenza motivazionale — tra l’altro – denunciata cola ‘unico motivo
di) ricorso incidentale, i rilievi addotti esclusivamente con la memoria ex art. 378 c.p.c. da
Lorenzo, Isida, Irma e Ines Cretier ed a tenor dei quali “la progettazione effettuata dal Mello
Sartor esula completamente dalle competenze proprie del geometra”, “la trasformazione
dell’opus da edificio alberghiero a residenziale (…) non rientra nelle competenze determinate

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gravame con cui Riccardo Mello Sartor aveva censurato il primo dictum per omessa

ex lege del geometra”, vi è “conseguente nullità (…) rilevabile in ogni stato e grado del
procedimento”.
Su tale scorta si specifica quanto segue.
In primo luogo — a mente dell’insegnamento per cui presupposto necessario per la
liquidazione del danno, anche se questa sia effettuata in via equitativa ex art. 1226 c.c., è

di un danno causato dall’inadempimento (cfr. Cass. 19.3.1980, n. 1837) — che devesi nel caso
di specie reputar ontologicamente riscontrata unicamente la sussistenza del danno emergente
costituito dalle “spese vive e [dal]l’attività svolta in funzione della realizzazione della
condizione” (così sentenza d’appello, pag. 19) con esclusione di qualsivoglia attività esulante
dalle competenze professionali dei geometri.
In secondo luogo — a mente dell’insegnamento per cui il giudice deve procedere, anche
d’ufficio, alla liquidazione equitativa dei danni di cui riconosca l’esistenza, tanto nell’ipotesi
in cui sia completamente mancata la prova del loro ammontare, a causa dell’impossibilità di
fornire congrui ed idonei elementi a riguardo, quanto nell’ipotesi in cui, pur essendosi svolta
attività processuale per fornire tali elementi, per la notevole difficoltà di una precisa
quantificazione, gli elementi all’uopo acquisiti non siano stati ritenuti di sicura efficacia (dì..
Cass. 27.3.1997, n. 2745; cfr. Cass. 6.2.1998, n. 1201, secondo cui l’impossibilità di provare
il danno nel suo preciso ammontare richiesta dall’art. 1226 c. c. come condizione
dell’esercizio da parte del giudice del potere di procedere alla liquidazione equitativa, non va
intesa in senso assoluto e pertanto deve ritenersi sussistente anche quando in relazione alla
peculiarità del fatto dannoso la precisa determinazione del danno si presenti difficoltosa) —
che devesi nel caso di specie attendere alla liquidazione equitativa dei danni ontologicamente
riscontrati (“spese vive e l’attività svolta in funzione della realizzazione della condizione”), a

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comunque la prova, da fornirsi dalla parte che si assume danneggiata, della effettiva esistenza

condizione che la determinazione del loro ammontare si sia prospettata siccome, quanto
meno, notevolmente difficoltosa.
In terzo luogo — a mente dell’insegnamento per cui nel liquidare equitativamente il danno
il giudice non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata della
corrispondenza tra ciascuno degli elementi esaminati e l’ammontare del danno liquidato,

processuale globalmente considerata (cfr. Cass. 18.4.2005, n. 8004), e dell’insegnamento
ulteriore per cui, ai fini della liquidazione equitativa del danno, il giudice è tenuto a dare
chiara ed esauriente motivazione dell’impossibilità o della notevole difficoltà di fornire la
prova del quantum nonché della stessa valutazione equitativa operata, che, per non risultare
arbitraria, richiede l’indicazione ancorché sommaria delle congrue ragioni del processo logico
seguito (cfr. Cass. 3.7.1982, n. 3977) — che devesi nel caso di specie, in parte qua agitur,
senz’altro assolvere l’obbligo della motivazione in conformità agli enunciati paradigmi.
Ebbene alla luce dei parametri giurisprudenziali testé indicati, segnatamente del terzo, la
motivazione del dictum della corte piemontese è all’evidenza significativamente deficitaria.
In particolare ed al di là dell’indebito riferimento all’onorario per l’attività di
progettazione, è del tutto apparente (motivazione “apparente” ricorre allorquando il giudice
di merito, pur individuando, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il
proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica,
tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito: cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762)
la motivazione sostanziantesi nella quantificazione sic et simpliciter delle “spese vive”— per
differenza — in euro 20.000,00.

In accoglimento del ricorso incidentale la sentenza n. 1308 dei 25.6/24.8.2010 della corte
d’appello di Torino va cassata con rinvio ad altra sezione della medesima corte.

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essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di
legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza n.
1308 dei 25.6/24.8.2010 della corte d’appello di Torino; rinvia ad altra sezione della stessa
corte d’appello anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

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