Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11047 del 19/05/2011

Cassazione civile sez. I, 19/05/2011, (ud. 07/02/2011, dep. 19/05/2011), n.11047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17259/2009 proposto da:

S.C. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

20/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

07/02/2011 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Napoli ha liquidato, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, Euro 6.250,00 a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale subito dal sig. S.C., dipendente pubblico, per l’irragionevole durata di un processo per il riconoscimento di differenze retributive dal medesimo iniziato davanti al TAR Campania e protrattosi per circa 8 anni e 9 mesi.

L’interessato ha quindi proposto ricorso per cassazione per dieci motivi, cui l’Amministrazione intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si pone la questione se la L. n. 89 del 2001, e specificamente l’art. 2, costituisca applicazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e se, in ipotesi di contrasto tra la legge la Convenzione, ovvero di lacuna della legge nazionale si debba disapplicare quest’ultima ed applicare la prima.

2. – Con gli altri motivi, in larga misura ripetitivi o comunque connessi, parte ricorrente lamenta poi, in definitiva, che la Corte d’appello abbia:

a) in violazione degli standard ricavabili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, mancato di riconoscere, a titolo di riparazione del danno non patrimoniale, almeno 1.000,00 – 1.500,00 Euro per ciascun anno di durata del processo presupposto;

b) sempre in violazione della giurisprudenza della Corte europea, omesso di riconoscere un ulteriore bonus di Euro 2.000,00 trattandosi di causa di lavoro;

c) illegittimamente e immotivatamente ridotto, nella liquidazione delle spese processuali in favore dei ricorrenti, gli importi indicati nella nota depositata dal difensore.

3. – Quanto alla questione posta con il primo motivo, rilevante solo per l’incidenza che può avere su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea.

Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sent. n. 1338 del 2004). In termini analoghi è il principio enunciato dalla Corte costituzionale, che, contrariamente all’assunto dell’istante (che si palesa perciò manifestamente erroneo), ha affermato che al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora, invece, ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, il giudice nazionale deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo e che, applicato nel caso qui in esame, impone di accertare se il decreto impugnato abbia correttamente applicato le norme della CEDU, nell’osservanza della regola dell’interpretazione conforme.

4. – Proprio in applicazione della regola appena ricordata devono essere respinte le censure sopra sintetizzate al par. 2 sub a) e b).

4.1. – In ordine alla prima, invero, va ribadito quanto questa Corte ha già avuto plurime occasioni di affermare, è cioè che la Corte europea, in due recenti decisioni (Volta et autres e, Italia, del 16 marzo 2010; Falco et autres e, Italia, del 6 aprile 2010) ha anche ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille euro annui normalmente liquidata, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue (cfr., per tutte, Cass. 14754/2010). Ciò, appunto, ha legittimamente fatto la Corte napoletana nel caso in esame, in cui ha ritenuto la scarsa incidenza, sul piano personale, della pendenza della lite.

4.2. – In ordine alla censura sub b), va poi ribadito che è escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere – come ha invece sostenuto l’istante – una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed hanno quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. 18012/2008). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante: per tutte, Cass. 1630/2006, 1631/2006, 19029/2005, 19288/2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. 6898/2008, 1630/2006, 1631/2006).

Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus – qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul ed. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. 18012/2008).

5. – La censura sub e), invece, deve essere accolta, avendo effettivamente la Corte d’appello violato i minimi tariffari liquidando Euro 20,00 per esborsi, Euro 480,00 per diritti; i minimi non sono violati, invece, nella liquidazione di Euro 535,00 per onorari, considerato lo scaglione di valore della causa da determinare in relazione alla somma per la quale è stata pronunciata condanna.

Sul punto, tuttavia, alla cassazione del decreto impugnato non segue il rinvio ad altro giudice. E’ infatti possibile la decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, con la liquidazione di Euro 43,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti.

6. – Le spese del giudizio li legittimità vanno compensate fra le parti in ragione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, liquida a titolo di spese del giudizio di merito Euro 43,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti; dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2011

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