Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11047 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4622-2019 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO ALLEVA;

– ricorrente –

contro

AZIENDA ULSS (OMISSIS) (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TORTONA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO LATELLA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO DE POLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 194/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

Che:

La Corte d’appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda avanzata da G.M., dipendente della predetta azienda con funzioni di “tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro”, nei confronti di Azienda ULSS (OMISSIS) (OMISSIS), diretta all’accertamento di condotte mobbizzanti nei suoi confronti;

la Corte territoriale non riteneva rilevante, quale manifestazione del dedotto intento persecutorio, la lettera del 6/11/2009 inoltrata dai dirigenti del servizio (OMISSIS) di Venezia ai vertici aziendali, perchè diretta non già a screditare o denigrare la professionalità della ricorrente ma a segnalare l’esistenza di una situazione oggettiva di tensione venutasi a creare all’interno dell’ambiente di lavoro situazione confermata da missive a firma della stessa ricorrente – in funzione di una sollecita soluzione, mentre nessuna esautorazione o indebita ingerenza era stata posta in essere dal superiore M., in quanto la condotta del medesimo rientrava nei suoi poteri quale dirigente responsabile, così come in relazione agli altri episodi denunciati l’istruttoria aveva portato a escludere qualsiasi condotta di tipo mobbizzante;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione G.M. sulla base di due motivi;

l’Azienda ha resistito con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo si deduce error in iudicando sulla ricorrenza della fattispecie di mobbing in relazione ai suoi elementi costitutivi e finalistici;

con il secondo motivo si deduce travisamento della prova in ordine alla emergenza dalla lettera del 6/11/2009 della volontà di richiedere interventi quale conseguenza di comportamenti negativi e incompatibili della D.ssa G. e il suo allontanamento dalla (OMISSIS);

entrambe le censure sono inammissibili giacchè propongono, sub specie di violazione di legge, una nuova lettura delle risultanze istruttorie (Cass. n. 8758 del 04/04/2017);

specificamente, con il primo motivo, piuttosto che censurare la sentenza per l’erronea individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie del mobbing, la ricorrente chiede a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede, prospettando una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito;

con il secondo motivo si propone l’interpretazione di un mezzo istruttorio (lettera dei dirigenti (OMISSIS)) difforme da quella offerta dai giudici dell’appello, con prospettazione che differisce dall’ipotesi dedotta del travisamento della prova, la quale implica l’accertamento che una data informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale, e, quindi, con esso inconciliabile, sicchè al giudice compete accertare il travisamento, ossia l’esistenza di un dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi (Cass. n. 10749 del 25/05/2015);

il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

in considerazione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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