Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11044 del 19/05/2011

Cassazione civile sez. I, 19/05/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 19/05/2011), n.11044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Vallebona

10, presso l’avv. LANARI Egidio, che lo rappresenta e difende per

procura in atti;

– ricorrente –

contro

s.p.a. BANCA NAZIONALE DEL LAVORO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Francesco Denza 27, presso l’avv. PIPERNO Paolo, che la rappresenta e

difende per procura in atti;

– controricorrente –

e

A.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Francesco

Denza 27, presso l’avv. Paolo Piperno, che lo rappresenta e difende

per procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2275 del 29

maggio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 24

novembre 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

uditi, per i controricorrenti, l’avv. Rossella Cini per delega;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 36.342 del 2002 il Tribunale di Roma respingeva la domanda con la quale C.G. aveva convenuto in giudizio la Banca Nazionale del Lavoro (BNL), A.A. e C. S., chiedendo che il Tribunale accertasse, in primo luogo, che egli non aveva sottoscritto gli assegni che avevano portato alla situazione debitoria del conto corrente a lui intestato ed inoltre che gli assegni in questione, sottoscritti a suo nome dal padre C.S., erano stati pagati per ordine del direttore dell’agenzia, A.A., e che pertanto nulla era dovuto alla Banca Nazionale del Lavoro, con conseguente ordine di cancellazione di tutti i protesti e con condanna di C. S. e A.A. al risarcimento del danno. Il giudice di primo grado respingeva anche la domanda riconvenzionale, con la quale la Banca Nazionale del Lavoro aveva chiesto la condanna di S. e C.G. al pagamento della somma di L. 44.360.000.

Su appello principale dell’attore e appello incidentale della banca, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2275/08 del 29 maggio 2008, respingeva il gravame principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, condannava C.G. a pagare alla BNL la somma di Euro 22.910,02, oltre a interessi legali dalla domanda.

2. A fondamento della decisione, la corte di merito così argomentava:

a) sul conto corrente di C.G. erano stati contabilizzati, nell’arco temporale dall’1 luglio 1987 al 30 giugno 1989, sessantotto assegni; di questi, secondo quanto genericamente affermato dall’attore nell’atto di citazione in primo grado, solo 4/5 assegni sarebbero stati da lui firmati; in tale lasso di tempo egli non aveva inoltrato alla banca alcuna doglianza, nè aveva presentato denunce penali; appariva pertanto evidente l’assoluta mancanza di diligenza dimostrata dall’attore, titolare del conto corrente sul quale erano stati tratti gli assegni, che non soltanto non aveva custodito i titoli con cura, ma neppure si era mai premurato di controllare l’andamento del proprio contro corrente nell’arco di quasi due anni, omettendo altresì di comunicare alla banca il cambio del proprio indirizzo ai fini dell’invio degli estratti conto;

b) oggetto del giudizio non era l’accertamento della falsità della firma del C., come sostenuto dall’appellante principale, ma la riconoscibilità di tale falsità da parte del cassiere della banca al quale erano stati presentati gli assegni apparentemente sottoscritti da C.G.; ciò in quanto, per giurisprudenza consolidata, la banca trattaria, alla quale sia stato presentato per l’incasso un assegno bancario, ha il dovere di pagarlo se le eventuali falsificazioni o alterazioni dei requisiti esteriori non siano rilevabili con la normale diligenza richiesta per l’esercizio dell’attività bancaria, essendo necessario che dette falsificazioni o alterazioni siano percepibili ictu oculi, senza il ricorso a particolari attrezzature strumentali o chimiche; pertanto il richiamo da parte dell’appellante all’art. 214 c.p.c., appariva del tutto inconferente, dovendo essere oggetto di accertamento soltanto l’uso da parte del cassiere della dovuta diligenza nel ritenere la firma apposta sugli assegni presentati all’incasso riconducibile a quella del correntista;

e) al fine dell’accertamento nella specie della diligenza del cassiere della banca, doveva farsi riferimento alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva accertato che dei sessantotto assegni esaminati, cinque erano di mano dubbia, presentando uguaglianze ma anche differenze rispetto agli a tutti gli altri, facendo così ipotizzare un tentativo di imitazione o di dissimulazione, quarantasette sembravano firmati dallo stesso C., mentre i restanti sedici non erano stati valutati dal consulente d’ufficio per la scarsa qualità della fotocopia esaminata; i risultati portavano ad escludere che vi fossero elementi sufficienti per affermare la mancanza di diligenza del cassiere della banca e comunque per sostenere che l’eventuale falsificazione degli assegni fosse percepibile dal banchiere medio, fermo restando che la mancanza degli originali degli assegni non aveva determinato la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, tenuto anche conto che non era stato possibile acquisire gli originali dei titoli, in quanto la consulenza medesima era stata effettuata nel 2001 quando detti originali erano già stati inviati al macero.

2. Per la cassazione di tale sentenza ricorre C.G. sulla base di cinque motivi. Resistono con controricorso la Banca Nazionale del Lavoro e A.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il C., denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., deduce che la Corte di appello non si è pronunciata sull’oggetto principale della causa, costituito dall’accertamento e dalla dichiarazione della falsità delle firme di traenza degli assegni attribuite al ricorrente, nè sulla nullità della consulenza tecnica d’ufficio, eseguita su fotocopie di qualità scadente, nè, infine, sull’avvenuta distruzione delle prove, fatto costituente reato ai sensi degli artt. 388, 476, 490 e 491 cod. pen..

Il ricorrente chiede che la Corte di Cassazione si pronunci sulla questione se il giudice possa sottrarsi alle disposizioni di cui all’art. 112 c.p.c., e se sia nulla la sentenza, qualora il giudice stesso non decida tutta la causa, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., e omesso esame di prove decisive. Chiede in particolare che la Corte di cassazione si pronunci sulle seguenti questioni:

– se il cliente possa rispondere della falsificazione dello specimen, nel caso in cui il fascicolo in cui questo venga conservato si trovi negli uffici della banca e l’accesso al fascicolo stesso sia riservato solo ai funzionari e ai dipendenti della banca, o se invece della falsificazione debba rispondere la banca insieme con i dipendenti;

– se la falsificazione dello specimen possa essere operata dal cliente; se tale falsificazione costituisca prova significativa e decisiva ai fini della sentenza;

– se il giudice possa omettere di esaminare la notitia criminis contenuta nell’atto di citazione e le denunce penali allegate;

– se il giudice abbia il dovere giuridico e processuale di trasmettere al pubblico ministero la notitia criminis relativa alla falsificazione degli assegni.

Con la terza censura il C. denuncia violazione degli artt. 214, 215 e 216 c.p.c., e deduce che la Corte, affermando che la domanda introduttiva del giudizio non aveva come oggetto l’accertamento della falsità delle firme attribuite all’attore, ha travisato i fatti e mutato l’oggetto del giudizio. Si chiede che la Corte di cassazione si pronunci sulle seguenti questioni:

– se il giudice possa ignorare gli artt. 214, 215 e 216 c.p.c.;

– se le domande proposte dall’attore si riferiscono chiaramente al disconoscimento delle firme e all’accertamento della loro falsità;

– se il giudice possa ritenere inconferente il richiamo alle sopra menzionate norme processuali in presenza di un chiaro e inequivoco disconoscimento delle firme e di una domanda di accertamento della loro falsità, con richiesta di consulenza tecnica d’ufficio;

– se il giudice possa travisare l’oggetto del giudizio, affermando che la domanda riguarda l’accertamento, non di un falso, ma della capacità del cassiere della banca di riconoscere la falsità della firma o della diligenza del bonus pater familias da parte del cassiere medesimo.

Con il quarto motivo si deduce vizio di omessa o errata motivazione in ordine alle domande di accertamento dei falsi proposte dall’attore.

Con il quinto e ultimo motivo si prospetta vizio di mancato esame e omessa o errata motivazione in ordine alla soppressione, distruzione e occultamento degli originali degli assegni da parte della banca convenuta.

Si chiede che la Corte di cassazione si pronunci sulle seguenti questioni:

– se una parte possa distruggere, sopprimere, occultare documenti veri (assegni in originale) durante il giudizio;

– se il giudice possa non esaminare tali fatti, al fine di decidere e di motivare la sentenza.

2. Il primo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, sono inammissibili. Va premesso che la Corte ha interpretato la domanda introduttiva del giudizio, nell’esercizio del potere a tale scopo riconosciuto al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti del vizio di motivazione (Cass. 2008/22893; 2009/21228), ritenendo, alla stregua del contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (Cass. 2004/22665; 2007/19331; 2010/3012), che il suo oggetto principale fosse l’accertamento dell’inesistenza di una situazione debitoria dell’attore nei confronti della BNL, con le conseguenti richieste di cancellazione dei protesti e di condanna di C. S. e A.A. al risarcimento dei danni.

Coerentemente con tale interpretazione i giudici di appello hanno ulteriormente ritenuto che la domanda medesima fosse rivolta alla dichiarazione di responsabilità della banca in ordine al pagamento degli assegni asseritamente alterati e che, rispetto a tale finalità, fosse pregiudiziale l’accertamento della riconoscibilità dell’eventuale falsificazione, esclusa la quale, le ulteriori domande, compresa quella di accertamento della falsità della firma di traenza degli assegni, dovevano ritenersi assorbite. Deve altresì rilevarsi che la Corte di merito, con riferimento alla denuncia di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, ha escluso che la mancanza degli originali comportasse le nullità della consulenza, ritenendo infine che l’omessa denuncia di fatti asseritamente di rilevanza penale non fosse riconducibile alla violazione dell’art. 112 c.p.c., non comportando violazione del principio della domanda.

Rispetto al complessivo decisimi della sentenza di appello impugnata e dell’articolata attività valutativa e interpretativa su cui il decisum stesso si fonda, i plurimi quesiti di diritto formulati dal ricorrente con il primo e terzo motivo sono inconferenti e del tutto generici, non consentendo l’enunciazione di specifici principi di diritto utili alla decisione da assumere nel presente giudizio di legittimità (Cass. S.U. 2007/36; 2007/14385; 2007/22640), mentre la censura di travisamento dei fatti si risolve nella prospettazione di un sindacato, non sorretto dalla formulazione di alcun vizio di motivazione e quindi non consentito nel giudizio di legittimità, sull’accertamento dei fatti di causa compiuto dal giudice del merito.

3. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere formulato per le censure svolte con il secondo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, da esaminarsi anche esse congiuntamente attesa la loro stretta connessione. Le doglianze sollevate, infatti, non sono attinenti al decisum della sentenza impugnata e sono illustrate da quesiti di diritto inconferenti e privi di utilità rispetto alla decisione da assumere. Anche le censure sul mancato esame di domande e prove ritenute decisive si configurano come inammissibili, da un lato, riguardando circostanze di fatto estranee al tema decisivo della riconoscibilità dell’asserita falsificazione delle firme di traenza degli assegni e, sotto altro profilo, risolvendosi in non consentite richieste di riesame del merito della causa da parte del giudice di legittimità.

Infine le critiche relative alla omessa valutazione, da parte dei giudici di appello, delle vicende riferite dal ricorrente e concernenti la soppressione, la distruzione e l’occultamento di assegni in originale da parte della banca convenuta non tengono conto che la corte di merito, con argomentazioni non specificamente censurate dal ricorrente, ha escluso la nullità della consulenza tecnica d’ufficio ed ha anzi ritenuto che la medesima abbia comunque fornito elementi di valutazione utili per la decisione.

Le considerazioni che precedono conducono alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso e le spese processuali, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza. Non si ravvisano, diversamente da quanto dedotto e richiesto dai controricorrenti, gli estremi della responsabilità aggravata del C. e della sua conseguente condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 2.000,00 ciascuno, di cui Euro 1.800,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2011

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