Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11040 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 27/04/2021), n.11040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2195/2018 proposto da:

F.M.D. e F.R., rappresentate e difese

dall’avv. Luigi Quercia ed elettivamente domiciliate presso lo

studio dell’avv. Livia Ranuzzi in Roma, Viale del Vignola n. 5;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– controricorrente –

e contro

F.L.

– Intimato –

avverso la sentenza n. 2206/11/17 della Commissione tributaria

Regionale della Puglia, depositata il 16/06/2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/01/2021

dal Consigliere Dott. Stefano Pepe.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. Con avviso di liquidazione ed irrogazione sanzioni n. (OMISSIS), l’Agenzia delle entrate chiedeva a F.M.D., F.R. e F.L. il pagamento di Euro 10.186,46 a titolo di imposte di registro, ipotecarie e catastali oltre interessi per l’errata autoliquidazione dell’imposta principale relativa all’atto con il quale i contribuenti, il (OMISSIS), erano addivenuti allo scioglimento della comunione ereditaria a seguito del loro genitore F.A.G.; atto nel quale si dava atto del conferimento alla massa ereditaria da parte di F.R. di una precedente donazione operata nei suoi confronti da parte del de cuius per un valore di Euro 123.750,00.

2. I contribuenti impugnavano il suindicato avviso rilevandone la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 34 e 56, del D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 8 e 9, e il difetto di motivazione.

3. La CTR, con sentenza n. 2206/11/2017, depositata il 16/06/2017, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate e, per l’effetto, rigettava l’originario ricorso dei contribuenti.

3. Avverso tale sentenza F.M.D. e F.R. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

4. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

5. Non si è costituito F.L..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i contribuenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza della CTR per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto per omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello in violazione dell’art. 112 c.p.c., e, in particolare, sull’eccepita omessa motivazione dell’atto impugnato.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza della CTR per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto per omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello in violazione dell’art. 112 c.p.c., e, in particolare, sulla rilevata illegittimità dell’atto impugnato per violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52. Con tale specifico motivo di appello i contribuenti avevano eccepito l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto richiedere le maggiori imposte attraverso un avviso di rettifica e non già con un atto di liquidazione come avvenuto nel caso di specie.

3. Con il terzo motivo i contribuenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 34, e del D.Lgs. n. 346 del 1990, artt. 8 e 9.

I ricorrenti censurano la sentenza della CTR nella parte in cui avrebbe erroneamente interpretato le norme indicate affermando che in materia tributaria, occorre astrarre dalla massa ereditaria ciò che il de cuius ha donato in vita agli eredi; affermazione, questa, che si pone in netto contrasto con i principi civilistici in materia di cui l’interprete non può non tenere conto per effetto del loro richiamo operato dal citato art. 20. In ragione di ciò, concludono i ricorrenti, la collazione indicata nell’atto di divisione non poteva non essere considerata ai fini del calcolo della intera massa ereditaria e, dunque, sottoposta anch’essa, quanto al suo valore, alla relativa imposta.

4. Il primo e il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente stante la loro connessione, non sono fondati.

Con tali censure i ricorrenti ritengono che la CTR abbia omesso l’esame degli originari motivi di impugnazione dell’avviso di liquidazione riproposti in sede di appello e afferenti alla mancata motivazione dell’avviso impugnato e alla violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52.

Tale tesi difensiva non tiene conto del complessivo decisum della CTR che, dopo aver riportato il fondamento della decisione di primo grado e i motivi di appello proposti dall’Amministrazione ne ha condiviso le ragioni. La pronuncia dei giudici del gravame, quindi, accogliendo l’appello con il quale si riteneva errata la presunta violazione del citato art. 52, e fondata la pretesa contenuta nell’avviso ex art. 34 cit., ha ritenuto, in senso improprio implicitamente assorbiti i motivi posti a fondamento dell’originario ricorso dei contribuenti, comportando la decisione assunta dalla CTR un implicito loro rigetto.

5. Il terzo motivo non è fondato.

La questione rimessa al Collegio attiene alla riconducibilità dei beni oggetto di collazione alla massa ereditaria oggetto di divisione ereditaria ai fini dell’applicabilità delle imposte di registro, ipotecaria e ipocatastale o se tali beni devono essere assoggettati a tassazione quale trasferimento.

Ai fini dell’individuazione del regime applicabile in tema di imposta di registro, catastale e ipotecaria va rilevato che la divisione, in quanto rientrante nella categoria degli “atti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura” (D.P.R. n. 131 del 1986 TUR, allegata Tariffa, Parte Prima, art. 3) è tassata con l’imposta di registro con l’aliquota dell’1 per cento (citato art. 3). Se la divisione ha ad oggetto, come nel caso di specie, beni immobili, si applicano anche le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa (rispettivamente ai sensi del D.Lgs. n. 347 del 1990, Tariffa, allegata, art. 4, e del citato D.Lgs., art. 10, comma 2).

Quanto alla base imponibile cui applicare le suindicate aliquote, l’art. 34 TUR, comma 1, secondo periodo, nella parte afferente alle divisioni ereditarie, sancisce che “la massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione”.

Il criterio impositivo viene, pertanto, stabilito attraverso una norma di rinvio, richiamando cioè una nozione derivante dalla normativa che regola l’imposta di successione.

Ebbene, in base al D.Lgs. n. 346 del 1990, l’imposta di successione è applicabile solo in quanto l’asse ereditario relitto abbia un valore economico positivo e sia idoneo a determinare un effettivo incremento patrimoniale a favore dei successori. La base imponibile del tributo si identifica perciò col valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote e quindi col valore complessivo dei beni e diritti costituenti l’attivo ereditario, diminuito delle passività (art. 8, comma 1). Il valore delle donazioni soggette a collazione viene, invece, aggiunto al valore dell’asse ereditario globale netto nonchè a quello delle singole quote, secondo la formula usata dal legislatore all’art. 8, comma 4, ai soli fini della determinazione dell’aliquota applicabile, fermo restando che le aliquote così determinate si applicano al solo valore dei beni caduti in successione.

In altri termini l’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d’imposta.

Gli stessi principi debbono essere applicati, in base al rinvio operato dall’art. 34, anche per la individuazione della massa comune ereditaria sulla quale verranno calcolate le quote di diritto.

L’interpretazione normativa sopra indicata ha trovato conferma nel principio affermato da questa Corte (Cass. n. 25929 del 2018) secondo cui “In tema d’imposta di registro dovuta sugli atti di divisione ereditaria, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, prevedendo che la massa comune è costituita dal valore dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione, richiama le disposizioni relative a quest’ultima imposta (nella specie, il D.P.R. n. 637 del 1972, art. 7), le quali identificano la base imponibile con il valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote, prevedendo che del valore delle donazioni soggette a collazione si tenga conto soltanto ai fini della determinazione delle aliquote, da applicarsi al solo valore dei beni caduti in successione: ne deriva che l’istituto della collazione non trova applicazione nella determinazione della base imponibile, la quale è costituita esclusivamente dall’incremento patrimoniale verificatosi in favore dei successori, senza che assuma alcun rilievo il valore dei beni già appartenenti a questi ultimi, il cui assoggettamento a tassazione si tradurrebbe d’altronde in una duplicazione d’imposta, trattandosi di beni sui quali, nella normalità dei casi, è stata già pagata l’imposta sulle donazioni”.

Risulta, pertanto, evidente l’infondatezza della tesi difensiva dei contribuenti volta a far rientrare, per effetto della collazione, il bene nella massa ereditaria: di talchè, in sede di divisione ereditaria, la differenza tra la quota determinata senza tener conto del donatum e quella risultante a seguito dell’aggiunta dei beni oggetto di collazione dal donatario deve considerarsi conguaglio.

In ragione di quanto sopra il ricorso deve essere respinto.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

– Rigetta il ricorso.

– Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate che si liquidano in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

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