Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11038 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 27/04/2021), n.11038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1413/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

INDUSTRIE MECANICHE SICILIANE s.r.l. in liquidazione, in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per

procura speciale, dall’Avv. Stefano Cavanna e dagli Avv.ti Prof.

Massimo Coccia e Luca Pardo, con domicilio eletto presso lo studio

di questi ultimi in Roma, piazza Adriana, n. 15;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia – sezione staccata di Siracusa n. 293/16/13, depositata il

29 luglio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre

2020 dal Consigliere Michele Cataldi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia-sezione staccata di Siracusa n. 293/16/13, depositata il 29 luglio 2013, che ha rigettato l’appello erariale avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Siracusa, che aveva accolto il ricorso della Industrie Meccaniche Siciliane s.r.l. contro il silenzio-rifiuto tenuto dall’Amministrazione sull’istanza di rimborso della stessa contribuente, che chiedeva la restituzione delle maggiori imposte versate – a titolo di Iva e ritenute Irpef – per gli anni 1991 e 1992.

L’istanza era fondata sulla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, relativa alla definizione agevolata, con riduzione al 10% delle imposte, riconosciuta ai residenti delle province di Siracusa, Ragusa e Catania, colpite dal sisma del 13 e del 16 dicembre 1990. La contribuente, assumendo di essere destinataria del beneficio in questione, ed avendo pagato le imposte per l’intero, riteneva di avere diritto alla restituzione del 90% del versato.

2. La contribuente si è costituita con controricorso ed ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo l’Ufficio ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, per avere il giudice d’appello ritenuto che il dies a quo del termine decadenziale biennale del diritto al rimborso, dettato da tale disposizione, coincidesse con 111 ottobre 2007, data di deposito della sentenza n. 20641 di questa Corte, che ha deciso che ” In tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma diciasettesimo, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la definizione può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto “ex post”. “.

Secondo la CTR, dopo tale pronuncia, definita jus receptum, sarebbe iniziata la decorrenza del termine decadenziale biennale, entro il quale la contribuente avrebbe tempestivamente presentato – il 18 marzo 2008 (data di deposito ammessa nel ricorso dalla stessa Agenzia) – l’istanza di rimborso.

Il motivo è infondato e va respinto, sebbene vada corretta la motivazione in diritto della sentenza impugnata, dovendosi applicare lo ius superveniens di cui alla L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 665, sopravvenuto al deposito della sentenza d’appello ed alla notifica del ricorso erariale, che fa decorrere il termine biennale di decadenza dalla data di entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, ovvero dall’1 marzo 2008.

Infatti, all’esito di tale intervento legislativo, con orientamento anche recentemente riaffermato da questa Corte, è stato chiarito che “In tema di agevolazioni tributarie, la L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, (legge di stabilità 2015) costituisce norma di interpretazione autentica, sicchè i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, i quali abbiano versato imposte per il triennio 19901992 per l’importo superiore al 10 per cento, previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, hanno diritto al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l’istanza di rimborso entro il termine di due anni decorrente dalla data di entrata in vigore della L. n. 31 del 2008 di conversione del D.L. n. 248 del 2007.” (Cass. 26/02/2020, n. 5167), ovvero dall’1 marzo 2008 (conforme Cass. 22/07/2016, n. 15252. Cfr. altresì Cass., 02/05/2013, n. 10242, che, prima della L. n. 190 del 2014, aveva individuato la scadenza del termine decadenziale, prorogato per effetto di un complesso di interventi legislativi, nella data del 31 marzo 2008, prima della quale è stata comunque depositata l’istanza qui sub iudice).

In ragione delle predette sopravvenienze, normative e conseguentemente giurisprudenziali, non sussistono, peraltro, neppure i presupposti per la rimessione, auspicata dall’Amministrazione ricorrente, alle Sezioni Unite di questa Corte della questione relativa alla data di inizio della decorrenza del predetto termine decadenziale.

Tanto meno, poi, sussistono i presupposti per la rimessione alla Corte costituzionale della questione incidentale di legittimità ipotizzata dalla controricorrente nella memoria, con riferimento all’ipotetica violazione ingiustificata del principio di parità che deriverebbe dall’eventuale differenza di trattamento – in ordine al diritto all’agevolazione ed alla decorrenza del termine decadenziale per accedere ad essa o per ripetere quanto già pagato – tra quei contribuenti che hanno già versato le imposte comprensive della percentuale agevolabile e quelli che invece hanno adempiuto il debito tributario già al netto del beneficio. Infatti, in applicazione dei citati precedenti giurisprudenziali, non viene differenziata, in senso deteriore, la posizione della controricorrente in ragione della mera circostanza che essa abbia già pagato le imposte in ipotesi agevolabili ed agisca per ottenere il rimborso della percentuale rispetto alla quale avrebbe eventualmente potuto beneficiare della riduzione de qua.

2. Tanto premesso, vi sono ulteriori elementi di ius superveniens che incidono sulla fattispecie in decisione.

Infatti, la L. n. 190 del 2014, lo stesso art. 1, comma 665, dispone altresì che “(…) l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea” per quei contribuenti “che svolgono attività d’impresa”.

2.1. Al riguardo, la Commissione UE, con la decisione n. C (2015) 5549 finale del 14/08/2015, ha stabilito all’art. 1 che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90, e successive modifiche e integrazioni; L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 363, e successive modifiche e integrazioni; L. 27 dicembre 2006, n: 296, art. 1, comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 109, e successive modifiche e integrazioni; D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, commi 4-bis e 4-ter, e successive modifiche e integrazioni; L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 28, e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, Par. 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono incompatibili con il mercato interno”.

E’ fatta tuttavia salva (art. 3 dec. cit.) l’ipotesi che si tratti di un “aiuto individuale” che “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal Reg. (CE) n. 1407 del 2013 o dal Reg. (CE) n. 717 del 2014”, ovvero dai regolamenti che prevedono gli aiuti cd. de minimis (art. 2 decisione cit.), o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione del Reg. (CE) n. 994 del 1998, art. 1” (sull’applicazione del Trattato, artt. 92 e 93 – ora artt. 87 e 88 – a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali), “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (decisione cit., art. 2).

Secondo la Commissione, infatti, “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sè aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perchè il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perchè il beneficio individuale è in linea (con) il regolamento de minimis applicabile oppure perchè il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esecuzione)” (p. 134 dec. cit.).

La decisione della Commissione UE, impugnata da una società siciliana (T172/16), è stata confermata dal Tribunale di primo grado UE, con sentenza del 26 gennaio 2018, che non risulta essere stata impugnata.

2.2. E’ altresì sopraggiunta l’ordinanza della Corte di giustizia 15 luglio 2015, nella causa C-82/14, che, in sede di rinvio pregiudiziale, ha dichiarato che “La sesta Dir. 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE del Consiglio, artt. 2 e 22, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione nazionale, come la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Finanziaria 2003), la quale prevede, in seguito al terremoto che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, a beneficio delle persone colpite da quest’ultimo, una riduzione del 90% dell’imposta sul valore aggiunto normalmente dovuta per gli anni 1990, 1991 e 1992, riconoscendo in particolare il diritto al rimborso, in tale proporzione, delle somme già corrisposte a titolo di imposta sul valore aggiunto, in quanto la suddetta disposizione non soddisfa i requisiti del principio di neutralità fiscale e non consente di garantire la riscossione integrale dell’imposta sul valore aggiunto dovuta nel territorio italiano.”.

2.3. La decisione della Commissione UE e l’ordinanza della Corte di giustizia appena citate hanno quindi sciolto, in senso negativo (nei termini richiamati), quella riserva, sulla verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea, alla quale la L. n. 190 del 2014, lo stesso art. 1, comma 665, subordinava l’applicazione dell’agevolazione, che infatti nelle more sospendeva per quei contribuenti “che svolgono attività d’impresa”.

Relativamente all’effetto di tali pronunce, questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che ” La sopravvenuta decisione della Commissione Europea è immediatamente applicabile trattandosi, ai sensi dell’art. 288 del T.F.U.E, di atto normativo vincolante e, dunque, di “ius superveniens”, sicchè il giudice di legittimità è tenuto a dare immediata attuazione, anche d’ufficio, alla nuova regolamentazione della materia oggetto della decisione comunitaria, decidendo nel merito ovvero, se sia necessario un accertamento dei presupposti di fatto, cassando la sentenza impugnata e rimettendo al giudice di rinvio il relativo compito.” (Cass. 30/06/2016, n. 13458).

E’ stato quindi precisato che “In tema di agevolazioni tributarie in favore di vittime di calamità naturali, la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, (recante benefici fiscali in favore delle vittime del sisma del 13 e 16 dicembre 1990 in Sicilia) non è applicabile ai contribuenti che svolgono attività d’impresa, costituendo un aiuto di stato illegittimo, ai sensi dell’art. 108 TFUE, par. 3, come stabilito dalla decisione della Commissione (UE) 14 agosto 2015, n. 5549, la quale ha pure precisato che, per quanto riguarda gli aiuti individuali già concessi prima della data di avvio della decisione e dell’ingiunzione di sospensione, il regime va considerato compatibile con il mercato interno se, in virtù della deroga prevista dall’art. 107, par. 2, lett. b) del TFUE, può essere stabilito un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dall’impresa in seguito alla calamità naturale e l’aiuto di Stato concesso, dovendosi evitare i casi di sovracompensazione rispetto ai danni subiti, dovuta al cumulo di aiuti, oppure se i benefici risultino in linea con il regolamento “de minimis” applicabile.” (Cass. 25/01/2019, n. 2208). Pertanto, “spetta al giudice di merito valutare se nella singola fattispecie ricorra l’ipotesi di un aiuto individuale che, al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dai regolamenti UE che prevedono gli aiuti cd. “de minimis” o quelle previste dal regolamento CE n. 994 del 1998 del Consiglio, sull’applicazione degli artt. 92 e 93 del trattato che istituisce la Comunità Europea a determinate categorie di aiuti di stato orizzontali ovvero da ogni altro regime di aiuti approvato, fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per tale tipo di aiuti” (Cass. 27/11/2019, n. 30927).

In ordine, in particolare, all’oggetto ed alle modalità di tale verifica, è stato altresì puntualizzato che: “In tema di agevolazioni tributarie erogate a un’impresa per calamità naturali, il giudice nazionale è tenuto a verificare se il beneficio individuale sia compatibile con il regolamento “de minimis” applicabile ovvero se ricorrano le condizioni che rendono l’aiuto compatibile con il mercato interno (ai sensi dell’art. 107, p. 2, lett. b), TFUE) in quanto destinato a compensare i danni causati da calamità naturali, con la conseguenza che il contribuente che vuole fruire del beneficio deve fornire la prova, per il rispetto del limite del “de minimis”, che l’ammontare totale degli aiuti ottenuti nel periodo di tre anni, decorrente dal momento dell’ottenimento del primo aiuto, non supera la soglia prevista nel regolamento, ovvero, per l’applicazione dell’ipotesi prevista dall’art. 107, p. 2, lett. b) TFUE, di avere la sede operativa nell’area colpita dalla calamità al momento dell’evento ed anche l’assenza di una sovracompensazione dei danni subiti, scorporando dal pregiudizio accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o derivanti da altre forme di aiuto). Ai fini di detta prova, per effetto dello “ius superveniens” costituito dalla decisione della Commissione (UE) 2015/5549 del 14 agosto 2015 e della sua immediata applicabilità, è consentita alle parti l’esibizione di documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di fatti che non erano in precedenza indispensabili” (Cass. 26/06/2019, n. 17199).

E’ stato peraltro precisato che ” benchè la Commissione UE abbia espressamente previsto un’eccezione all’obbligo di recupero degli aiuti già erogati, ove sia giustificata dalla scadenza del termine decennale di conservazione dei documenti contabili (decisione cit., (p. 150), tale eccezione va interpretata in maniera restrittiva. Non è, infatti, possibile autorizzare, per analogia, successivamente all’adozione della decisione impugnata, l’erogazione automatica degli aiuti dichiarati incompatibili, senza privare di efficacia pratica detta decisione e l’intero sistema di controllo degli aiuti di Stato (Trib. UE, 26/01/2018, Centro Clinico e Diagnostico G.B. Morgagni, p.p. 96-97 e 98-104)” (Cass. 27/11/2019, n. 30927, in motivazione).

2.4. Quanto alla predetta decisione sopravvenuta della Corte di giustizia, si tratta di un provvedimento al quale questa Corte attribuisce in genere natura di ius superveniens, producendo mutamenti normativi che hanno efficacia immediata nell’ordinamento nazionale (Cass. 12/09/2014, n. 19301), purchè non siano necessari nuovi accertamenti di fatto, e valenza retroattiva (Cass. 09/10/2019, n. 25278); senza che esistano preclusioni alla rilevabilità, anche d’ufficio e per la prima volta, in sede di legittimità della questione relativa alla compatibilità della norma interna con vena comunitaria sopravvenuta, essendo tenuto il giudice di ultima istanza al tale controllo (cfr. Cass. 02/07/2014, n. 15032), in quanto “La verifica della compatibilità del diritto interno con le disposizioni comunitarie vincolanti deve essere effettuata di ufficio dal giudice, tenuto all’applicazione di queste ultime” (Cass. 10/12/2015, n. 24952).

Tanto premesso, nell’applicazione dell’ordinanza della Corte di giustizia del 15 Luglio 2015, causa C-82/14, questa Corte ha già precisato che “la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, non è applicabile in materia d’IVA atteso che, nel prevedere a beneficio delle persone colpite dal terremoto che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa una riduzione del 90 per cento di tale imposta, normalmente dovuta per gli anni 1990, 1991 e 1992, con riconoscimento del diritto al rimborso, in tale proporzione, delle somme già corrisposte, non soddisfa il principio di neutralità fiscale e non consente di garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta nel territorio italiano, sicchè si pone in contrasto con l’ordinamento comunitario, come chiarito dall’ordinanza 15 Luglio 2015 della Corte di Giustizia nella causa C-82/14″ (così Cass. n. 18205 del 16/09/2016; conf. Cass. n. 25278 del 16/12/2015; Cass. n. 16923 del 10/08/2016; Cass. n. 17563 del 04/07/2018). (…) Ovviamente, come già segnalato al punto 4.2., la riduzione dei tributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali non è applicabile in materia d’IVA, atteso che il riconoscimento del diritto al rimborso proporzionale delle somme già corrisposte, non soddisfacendo il principio di neutralità fiscale e non garantendo la riscossione integrale dell’IVA dovuta nel territorio italiano, si pone di per se stesso in contrasto col diritto dell’UE.” (Cass. 27/11/2019, n. 30927, cit., anche in motivazione). Con la conseguenza, pertanto, che, in materia d’Iva, il diritto all’agevolazione de qua, e di conseguenza anche quello al rimborso delle somme già pagate, non spetta neppure nei predetti limiti entro i quali, per le imposte dirette, potrebbe essere in ipotesi concesso all’esito dei necessari accertamenti in fatto.

3. Nel caso sub iudice, ai fini dell’applicazione dei principi sinora richiamati, deve considerarsi pacifico che la contribuente, società di capitali, svolga attività d’impresa e sia quindi sottoposta ai limiti che, per effetto delle citate disposizioni nazionali e comunitarie, derivano dalla disciplina in materia di aiuti di Stato e del tributo armonizzato costituito dall’Iva, che è altrettanto pacifico sia una delle imposte oggetto della domanda di rimborso.

Deve, inoltre, darsi atto che tra le parti è tuttora controverso, in questa sede, l’an debeatur del diritto al rimborso.

Non appare peraltro determinante, al fine di escludere tale conclusione, la circostanza che, nel ricorso, l’Ufficio abbia premesso “L’Agenzia (…), dichiarando acquiescenza circa il punto concernente la debenza del rimborso di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17 (…)”.

Infatti, la lettura ragionata di tale premessa deve essere innanzitutto correlata a quella che era stata sino a quel momento una delle questioni pregiudiziali rispetto all’accertamento del diritto al rimborso controverso, ovvero se alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, fossero legittimati anche i contribuenti che avevano già pagato per intero le imposte dovute per gli stessi periodi, oltre che quelli che invece ancora le dovevano.

Inoltre, la medesima premessa deve essere interpretata considerando che, contemporaneamente, la stessa Amministrazione, ribadendo l’eccezione di decadenza della contribuente dal diritto al rimborso, ha negato comunque in radice il relativo an debeatur, con argomentazione che prescinde dal contenuto effettivo del relativo diritto e dalla sua quantificazione, rispetto ai quali è potenzialmente assorbente.

Non può quindi ipotizzarsi nessuna “acquiescenza” dell’Amministrazione che ecceda il mero riconoscimento della legittimazione “astratta” della contribuente al rimborso, nel senso che l’accesso alla definizione ed il relativo diritto non vengono negati solo perchè la stessa contribuente, che ha già adempiuto le relative imposte, non chiede di pagare di meno, ma di ripetere quanto eventualmente pagato in più.

Si tratta, quindi, del riconoscimento di affermazioni contenute nella premessa logica della statuizione adottata, che non sono destinate a conservare un’autonoma efficacia precettiva ove venga in ipotesi caducata la statuizione conclusiva costituente l’unico capo della sentenza, ovvero l’affermazione del diritto della contribuente al rimborso, che la ricorrente ha impugnato, e non costituiscono pertanto giudicato interno relativamente all’an ed al quantum debeatur (cfr. Cass. 18/10/2005, n. 20143; Cass. 29/04/2006, n. 10043; Cass. 30/10/2007, n. 22863).

Restano quindi estranee allo spettro dell'”acquiescenza” le questioni relative all’accertamento dell’effettivo contenuto, qualitativo e quantitativo, del contestato diritto al rimborso, interessate dallo ius superveniens richiamato, ed in particolare quelle relative all’incompatibilità parziale o totale del diritto interno con disposizioni comunitarie vincolanti, destinate ad incidere sull’an debeatur, attinto dal ricorso.

Ed è opportuno, peraltro, sottolineare al riguardo come, nella presente controversia, lo ius superveniens costituito dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, abbia un ruolo essenziale rispetto a tutte le questioni controverse, nell’interesse di ciascuna delle parti, sia attraverso il riconoscimento legislativo espresso della legittimazione sostanziale “astratta” (nel senso già precisato) anche al rimborso e del dies a quo della relativa decadenza; sia per la clausola di riserva, nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea, riferita ai contribuenti che svolgono attività d’impresa e da leggere in combinato disposto con la predetta successiva decisione della Commissione Europea e con la ridetta successiva ordinanza della Corte di giustizia.

Tanto premesso, va anche considerato che comunque, nel caso di specie, neppure potrebbe ipotizzarsi un'”acquiescenza” parziale rilevante ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2, in quanto, perchè un tale effetto si verifichi, occorre che le “parti della sentenza non impugnate” costituiscano parti autonome e non dipendenti da quella che è oggetto dell’impugnazione, il che può verificarsi solo se la sentenza da impugnare contenga più capi contro i quali la parte ha interesse a proporre impugnazione (Cass. 24/05/2017, n. 13047, in motivazione), mentre nel caso sub iudice il capo della sentenza d’appello è unico ed il ricorso dell’amministrazione lo attinge negando lo stesso an debeatur, ovvero il diritto del contribuente al rimborso della somma di denaro che assume versata in eccedenza, che costituisce il bene-interesse unico oggetto effettivo del petitum controverso.

Nello stesso senso, è stato rilevato che “La formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza per mancata impugnazione può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi perchè fondati su distinti presupposti di fatto e di diritto, sicchè l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongano in nesso conseguenziale con altra e trovino in essa il suo presupposto.” (Cass. 25/06/2020, n. 12649; conforme Cass. 23/09/2016, n. 18713, che ha confermato la pronuncia che aveva escluso l’acquiescenza della parte che aveva contestato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della liquidazione equitativa, in relazione all’inesattezza dell’inadempimento nonchè al parametro adottato per la liquidazione).

Peraltro, con riferimento alla relazione tra gli accertamenti relativi a diversi elementi del medesimo credito oggetto della stessa sentenza, questa Corte ha anche avuto modo di precisare che ” Tra l’accertamento della sussistenza del diritto ed i criteri per la sua quantificazione sussiste un legame indissolubile che, in caso di appello limitato alla contestazione delle modalità di calcolo, inibisce il formarsi di un giudicato interno sul primo, o la configurabilità di una forma di acquiescenza, e non preclude l’applicazione della sopravvenuta pronuncia di illegittimità costituzionale della norma che riconosceva il diritto.” (Cass. 06/10/2015, n. 19949).

Tanto premesso in ordine all’insussistenza, nel caso di specie, di un giudicato interno derivante dalla predetta “acquiescenza” erariale, deve in ogni caso darsi atto della peculiarità del rapporto tra lo ius superveniens di matrice comunitaria che qui viene in rilevo e l’ipotetico giudicato nazionale, in considerazione dell’obbligo del giudice nazionale, specie di ultima istanza, di verificare la compatibilità del diritto interno con le disposizioni comunitarie vincolanti.

Invero la Corte di Giustizia (Grande Sezione), con la sentenza del 18/07/ 2007, nel procedimento C-119/05, Lucchini, ha deciso che “Il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’ari, 2909 c.c., volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione delle Comunità Europee divenuta definitiva.”

In senso conforme è stato altresì recentemente rilevato che ” il diritto dell’Unione osta a che l’applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata impedisca il recupero di un aiuto di Stato concesso in violazione di tale diritto e la cui incompatibilità sia stata constatata con una decisione della Commissione divenuta definitiva.” (Corte di Giustizia, sentenza 04/03/2020, nella causa C-587/18, CSTP Azienda della Mobilità SpA; conforme Corte di Giustizia, sentenza 04/03/2020, nella causa C-586/18, Buonotourist Srl, con riferimento anche al caso nel quale l’esistenza di un aiuto di Stato illegittimo sia stata disattesa da un giudicato nazionale precedente alla decisione della Commissione).

Inoltre, in materia d’Iva, la Corte di Giustizia, con la sentenza del 16/07/2020, nella causa C-424/19, Cabinet de avocat UR, ha statuito che ” Il diritto dell’Unione osta a che, nell’ambito di una controversia relativa all’imposta sul valore aggiunto (IVA), un giudice nazionale applichi il principio dell’autorità di cosa giudicata, qualora tale controversia non verta su un periodo d’imposta identico a quello di cui trattavasi nella controversia che ha dato luogo alla decisione giurisdizionale munita di tale autorità, nè abbia il medesimo oggetto di quest’ultima, e l’applicazione di tale principio costituisca un ostacolo a che tale giudice prenda in considerazione la normativa dell’Unione in materia di IVA.” (cfr. altresì Corte di giustizia, sentenza del 3/09/2009, nella causa C-2/08, Fallimento Olimpiclub; Cass. 04/05/2016, n. 8855, secondo cui le controversie in materia di Iva sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08, la certezza del diritto non può tradursi in una violazione dell’effettività del diritto Euro-unitario).

4. Va quindi cassata la sentenza impugnata, con rimessione al giudice a quo affinchè provveda ai necessari accertamenti in fatto, seguendo i criteri ed i principi già illustrati.

P.Q.M.

Rigetta il motivo e, decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia-sezione staccata di Siracusa, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

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