Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11038 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 05/05/2017, (ud. 09/02/2017, dep.05/05/2017),  n. 11038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1712-2013 proposto da:

M.A., (OMISSIS), MI.GI. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo

studio dell’avvocato GAETANO ALESSI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VINCENZO CORDOLA per proc. speciale del

(OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

G.I.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MARCELLO PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

PALLINI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3995/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2017 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato Cordola Vincenzo che ha depositato nota spese, e

chiede l’accoglimento delle difese esposte ed in atti;

udito l’avv. Mara Pargaglioni con delega orale dell’avv. Pallini

Massimo difensore della controricorrente che ha chiesto il rigetto

del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata in data 11 dicembre 2012, ha accolto l’appello principale proposto da G.I.M. avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 14293 del 2008, e nei confronti di Mi.Gi. e M.A..

1.1. Il Tribunale rigettò la domanda della sig.ra G. di rescissione per lesione del contratto preliminare in data (OMISSIS), con il quale la suddetta aveva promesso in vendita al sig. M. la nuda proprietà di due appartamenti ubicati alla (OMISSIS), al prezzo di Euro 155.000,00, e la nuda proprietà di negozio con annessa cantina ubicato nel medesimo stabile di (OMISSIS), al prezzo di Euro 50,650,00, con la pattuizione che la stipula del contratto definitivo sarebbe avvenuta dopo la morte dei genitori della promittente venditrice, usufruttuari degli immobili.

2. La Corte d’appello ha riformato la decisione sul rilievo che erroneamente il Tribunale aveva valutato, ai fini della sussistenza della lesione, il valore della nuda proprietà, mentre oggetto della vendita era costituito dalla proprietà piena degli immobili, rispetto al cui valore la lesione la lesione sussisteva. Ricorrevano, ad avviso della Corte territoriale, gli altri requisiti previsti dall’art. 1448 c.c., e cioè lo stato di bisogno in cui versava da tempo la promittente venditrice, peraltro non contestato dai promissari acquirenti, e agli stessi noto, attesi i rapporti di amicizia ed affari tra le parti.

Ciò posto, la Corte d’appello ha ritenuto che la rescissione non potesse essere pronunciata in quanto i promissari acquirenti avevano formulato tempestivamente domanda di riduzione ad equità del contratto, e offerto l’ulteriore importo di Euro 100.000,00, che doveva ritenersi equo tenuto conto che il preliminare prevedeva una data imprecisata per la stipula del contratto definitivo, potenzialmente assai distante, e nel frattempo gli immobili erano rimasti nel godimento della promittente venditrice, la quale aveva ricevuto un acconto consistente.

3. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso Mi.Gi. e M.A., sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, G.I.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Risulta prioritario l’esame del secondo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. assumendo che la Corte territoriale avrebbe accolto il secondo motivo dell’appello proposto dalla sig.ra G. su un profilo che non era stato dedotto.

L’appellante G. aveva contestato soltanto la determinazione del valore degli immobili promessi in vendita, come effettuata dal CTU e recepita dal Tribunale, mentre la Corte d’appello aveva proceduto ad una nuova qualificazione della domanda, introducendo d’ufficio un profilo che non aveva costituito oggetto di contraddittorio.

1.2. La doglianza è priva di fondamento.

La Corte d’appello ha accolto il gravame proposto con riferimento alla determinazione del valore degli immobili (secondo motivo di appello G.), facendo applicazione del criterio generale secondo cui, ai fini della verifica della congruità o non del corrispettivo pattuito in qualsiasi negozio, occorre avere riguardo alla valutazione economica dell’oggetto del contratto. E in questa prospettiva, legittimamente, la Corte d’appello ha proceduto all’interpretazione del contratto preliminare sottoscritto dalle parti in causa, pervenendo alla qualificazione dello stesso come preliminare di vendita della piena proprietà e non della nuda proprietà degli immobili.

La questione della individuazione dell’oggetto del contratto era devoluta al giudice del gravame, in quanto presupposto della verifica di congruità della stima del valore degli immobili, e pertanto non è configurabile la violazione del principio sancito dall’art. 112 c.p.c. che preclude la pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (ex plurimis, Cass. 24/07/2012, n. 12943).

3. Con il primo motivo è denunciata violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. nonchè vizio di motivazione, e si contesta la ricostruzione della volontà dei contraenti operata dalla Corte d’appello, che non aveva tenuto conto che i promissari acquirenti avevano accettato gli immobili nello stato di fatto e di diritto in cui si trovavano, e quindi con l’usufrutto di entrambi i genitori della promittente venditrice. Nè rilevava la circostanza che il presupposto dell’esistenza di usufrutto si fosse poi rivelato erroneo, giacchè al momento della stipula le parti lo avevano considerato esistente e neppure dopo la morte dell’unico usufruttuario, il padre della sig.ra G., avvenuta il giorno successivo a quello della sottoscrizione del preliminare, i promissari acquirenti avevano preteso o anche soltanto sollecitato la stipula del contratto definitivo.

3.1. La doglianza, che attinge alla interpretazione del contratto, è infondata.

La sentenza dà atto che il contratto preliminare prevedeva il trasferimento della proprietà degli immobili, senza riferimento alcuno alla nuda proprietà, e correlava il trasferimento all’evento morte di entrambi i genitori della promittente venditrice, cioè ad un evento che determinava il consolidamento della proprietà degli immobili in capo alla promittente venditrice. Anche prescindendo dalla circostanza che titolare dell’usufrutto era soltanto il padre della promittente venditrice, deceduto il giorno dopo la sottoscrizione del preliminare, la struttura del contratto e il dato letterale indicavano che la promessa di vendita aveva ad oggetto la piena proprietà degli immobili.

La valutazione effettuata dalla Corte d’appello risulta, oltre che rispettosa dei canoni di ermeneutica, plausibile e logicamente argomentata, mentre rimane non sindacabile il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, con conseguente inammissibilità della critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (ex plurimis, Cass. 10/02/2015, n. 2465).

4. Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 1448 c.c., comma 1, nonchè vizio di motivazione, e si censura la valutazione dei presupposti dello stato di bisogno e del relativo approfittamento, anche sotto il profilo della contraddittorietà delle affermazioni rese dalla Corte d’appello, che dopo avere riferito che i convenuti avevano contestato tutti i presupposti di applicazione della norma citata, aveva poi rilevato che nessuna contestazione era stata proposta in ordine alla sussistenza dello stato di bisogno.

4.1. La doglianza, che solo formalmente prospetta anche il vizio di violazione di legge, è inammissibile in quanto attinge alla valutazione dei fatti operata dalla Corte d’appello, a fronte di una motivazione che non presenta deficit censurabili ai sensi del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5 (ex plurimis, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053), applicabile ratione temporis al presente ricorso.

La norma richiamata, nell’interpretazione assurta a diritto vivente, consente di denunciare in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

4.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha evidenziato gli elementi fattuali sintomatici sia dello stato di bisogno in cui versava la promittente venditrice al momento della sottoscrizione del contratto preliminare, sia dell’approfittamento da parte dei promissari acquirenti, senza cadere in contraddizione.

Non v’è alcun contrasto, infatti, tra quanto riferito dalla Corte d’appello a proposito della difesa dei convenuti (che “nel merito sostenevano l’insussistenza di tutti i presupposti dell’azione”), e l’affermazione, di valore decisorio, secondo cui nessuno degli elementi fattuali riguardanti le condizioni economiche dell’attrice erano state contestate.

5. Con il quarto motivo è denunciata violazione dell’art. 1450 c.c. nonchè vizio di motivazione, e si contesta che l’importo riconosciuto dalla Corte d’appello a favore della promittente venditrice non era sufficiente a coprire la differenza, come accertata, tra il presunto valore commerciale degli immobili al momento della sottoscrizione del contratto preliminare ed il corrispettivo pattuito, senza considerare che l’offerta formulata in più occasioni dai promissari acquirenti aveva il significato di proposta transattiva.

5.1. La doglianza, peraltro generica e assertiva, è palesemente infondata.

La Corte d’appello ha fatto applicazione dei principi consolidati in materia di reductio ad aequitatem del contratto rescindibile, valutando a tal fine l’adeguatezza dell’offerta formulata dai promissari acquirenti non solo ad eliminare la sproporzione ultra dimidium, ma anche ad avvicinare le prestazioni, ed ha argomentato tale giudizio sulla base degli elementi peculiari del caso concreto, che rendono non implausibile la conclusione raggiunta.

Nessuna rilevanza, infine, può essere riconosciuta alla dedotta intenzione transattiva dei promissari acquirenti, che in ogni caso non avrebbe privato l’offerta del significato oggettivo ad essa attribuito dall’art. 1450 c.c..

6. Con il quinto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e si contesta la statuizione di condanna dei convenuti appellati alle spese del doppio grado, che la Corte d’appello aveva argomentato facendo riferimento al criterio della soccombenza virtuale. La decisione contrastava anche con la disciplina dettata per l’ipotesi di accoglimento della domanda in misura non superiore alla proposta conciliativa rifiutata dalla parte senza giustificato motivo.

6.1. La doglianza è infondata in quanto i convenuti-appellati erano soccombenti, e pertanto non sussiste violazione dell’art. 91 c.p.c.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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